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Crolla il token di Crypto.com, contagiato dalla crisi di Ftx

AGI – Il fallimento di Ftx rischia di innescare un effetto domino tra le borse di criptovalute, e ora finisce nel mirino anche Crypto.com, il cui token nativo è crollato ai minimi di 22 mesi. La società ha annunciato che l’amministratore delegato Kris Marszalek andrà in diretta su YouTube per rispondere alle domande su alcune transazioni sulla piattaforma che hanno scatenato speculazioni e ritiri di fondi.

Le preoccupazioni per la posizione finanziaria della borsa si sono intensificate nel fine settimana dopo i dati che hanno mostrato che a ottobre aveva accidentalmente inviato circa l’82% delle sue riserve di Ethereum – circa 400 milioni di dollari – a un portafoglio collegato a Gate.io.

Sebbene i fondi siano stati recuperati, gli operatori hanno affermato che il trasferimento contraddice le affermazioni di Crypto.com secondo cui tutti i fondi degli utenti sono tenuti offline in portafogli “freddi”.

Il Wall Street Journal ha riferito che i prelievi presso Crypto.com sono aumentati durante il fine settimana. Crypto.com è tra i primi 10 exchange per fatturato a livello globale, ma è più piccolo di Ftx e del leader di mercato Binance.

Ha fatto notizia nel 2021 dopo aver firmato un accordo da 700 milioni di dollari per ribattezzare lo Staples Center di Los Angeles come Crypto.com Arena. Nel frattempo, gli effetti del crollo di Ftx, società con sede alle Bahamas, che ha presentato istanza di fallimento venerdì scorso dopo un’ondata di prelievi da parte dei clienti e un fallito accordo di salvataggio con la borsa rivale Binance, hanno continuato a influenzare i mercati.

L’autorità di regolamentazione dei titoli delle Bahamas e gli investigatori finanziari stanno indagando su potenziali comportamenti scorretti. Bloomberg news ha riferito che la borsa Aax ha interrotto i prelievi. Visa Inc, il più grande processore di pagamenti al mondo, ha detto di aver interrotto gli accordi per le carte di credito globali con la piattaforma.


Crolla il token di Crypto.com, contagiato dalla crisi di Ftx

Snap, numeri da crisi. Che sta succedendo in casa del fantasma

AGI – Snap, la società madre di Snapchat, social delle foto a scomparsa, è ancora in grado di attirare nuovi utenti (+19% anno su anno), nonostante le pesanti difficoltà che attraversa come società: perdite per 360 milioni di dollari, contro i 72 milioni dello stesso periodo del 2021. 

È un po’ il quadro che è emerso dalla trimestrale presentata dalla compagnia di Evan Spiegel. Dunque i numeri. Snap ha chiuso gli ultimi tre mesi con ricavi pari 1,13 miliardi di dollari, in crescita del 6% ma sotto le attese degli analisti: è la prima volta che la società cresce a cifra singola dal debutto in borsa nel 2017. Le perdite, pesanti. Crescono però gli utenti, che salgono a 363 milioni. La crescita degli utenti “espande le nostre opportunità a lungo termine mentre navighiamo in questo ambiente macroeconomico volatile” ha spiegato Spiegel. 

Le perdite

A leggere nel dettaglio i numeri, è emerso che la perdita nel trimestre include 155 milioni di dollari di spese di ristrutturazione. Snap ad agosto ha confermato un piano per tagliare il 20% del personale.

Gli utenti crescono, però…

Luci e ombre anche sul fronte utenti. Se da una parte la compagnia amplia la propria base, è anche vero che le entrate medie per utente sono diminuite dell′11%: più utenti, per essere chiari, che valgono meno.

Cura dimagrante dolorosa

È evidente dai numeri rilasciati giovedì (ma anche da quelli del trimestre precedente) che la società ha bisogno di un cambio di passo. Non a caso, ad agosto, Snap ha annunciato che avrebbe licenziato il 20% dei circa 6.000 dipendenti dell’azienda nell’ambito di un importante piano di ristrutturazione. Che però pesa. Il TFR e i relativi costi hanno costituito una parte importante delle perdite di questo trimestre (155 milioni su 360). Meno dipendenti e anche tagli ai progetti che non sono decollati, come il drone Pixy e la produzione di spettacoli Snap Originals.

Meno budget dalla pubblicità

A fare la loro parte nel segno meno dei ricavi anche la contrazione del mercato pubblicitario. “La nostra crescita dei ricavi ha continuato a decelerare nel terzo trimestre e continua a essere influenzata da una serie di fattori che abbiamo notato nel corso dell’ultimo anno, tra cui modifiche alle politiche della piattaforma, venti contrari macroeconomici e maggiore concorrenza – è la spiegazione di Snap agli investitori  – stiamo scoprendo che i nostri partner pubblicitari in molti settori stanno riducendo i loro budget di marketing, soprattutto di fronte a venti contrari dell’ambiente operativo, pressioni sui costi guidate dall’inflazione e aumento dei costi del capitale”. E poi c’è sempre l’aggiornamento iOS 2021 di Apple che continua ad essere un ostacolo per società come Snap (ma anche per Facebook di Meta) di tracciare gli utenti sul Web, indebolendo l’attività di raccolta pubblicitaria online. 

Le previsioni

In questo quadro a tinte fosche, la compagnia di Spiegel non ha fatto previsioni per il prossimo trimestre (è già la seconda volta che fa questa scelta). Da Snap si fa sapere però che è probabile che la crescita dei ricavi continui a decelerare, perché storicamente è un momento dell’anno ”più dipendente dalle entrate pubblicitarie orientate al marchio”. Si aspetta poi un’ulteriore crescita degli utenti, la stima è 375 milioni.

Dove investire

Per uscire dall’angolo la società ha dichiarato che si concentrerà sulla crescita della sua base di utenti, sulla diversificazione delle sue fonti di reddito e sull’investimento in tecnologie di realtà aumentata.


Snap, numeri da crisi. Che sta succedendo in casa del fantasma

I ristoranti nel “cuore” di Londra sono in crisi

AGI – Era il cuore pulsante della vita economica e finanziaria di Londra ma ora la City rischia di diventare il fantasma di se stessa: lo dimostra il fatto che un ristorante su sette ha chiuso i battenti dall’inizio della pandemia, soprattutto a causa del ‘boom’ dello smart working. Tra marzo 2020 e giugno di quest’anno, il 14% dei locali con licenza nello Square Mile ha abbassato la saracinesca, secondo i dati raccolti da AlixPartners e dalla società di monitoraggio del settore CGA e riportati dal Financial Times.

Circa il 14% dei ristoranti ha chiuso anche a Birmingham, la seconda città più grande d’Inghilterra. La città più colpita è stata Glasgow, dove ha chiuso il 10% delle attività ricettive. Queste percentuali sono superate solo dai distretti londinesi di Croydon, Ealing e Hounslow. Prima della pandemia, nella capitale inglese, in controtendenza rispetto al resto del Regno Unito, molti ristoranti avevano iniziato la loro attività: il numero di locali era aumentato del 10% nei cinque anni tra marzo 2014 e marzo 2019.(

Ma i dati di quest’anno rivelano i cambiamenti apportati dalla pandemia alla City e ad altri distretti commerciali, dove i ristoranti, i pub e le caffetterie si affidavano tipicamente ai lavoratori d’ufficio. All’inizio di agosto, le visite ai luoghi di lavoro nella City di Londra sono diminuite del 33% rispetto ai livelli pre-pandemia. È stata la zona della Capitale colpita più duramente dalle restrizioni di viaggio. 

Tra le perdite di alto profilo registrate nello Square Mile negli ultimi due anni ci sono Kym’s, il ristorante dello chef stellato Andrew Wong nella Bloomberg Arcade, Mark Hix’s Oyster and Chop House vicino a Smithfield Market e il ristorante giamaicano Tracks & Records vicino alla stazione di Liverpool Street, dell’atleta Usain Bolt. C’è da considerare inoltre che molte aziende della City hanno adottato una settimana lavorativa di soli tre giorni, dal martedì al giovedì.

Il lunedì è il giorno con il minor afflusso di persone nel centro di Londra.Prima della pandemia, la City attirava in genere 530.000 pendolari al giorno. Ma si sta già pensando ad un rilancio. La City of London Corporation ha investito 2,5 milioni di sterline nei settori dell’arte e dell’ospitalità dell’area, e il quartiere ospiterà diversi festival all’aperto, musica e altri eventi nel corso dell’autunno. 


I ristoranti nel “cuore” di Londra sono in crisi

La crisi (e la disperazione) senza fine dello Sri Lanka

AGI – La crisi economica morde lo Sri Lanka e la disperazione dilaga al punto che i residenti si rivolgono ai social media in cerca di aiuto mentre il Governo sta chiedendo assistenza alimentare ai Paesi vicini. In particolare, come ha dichiarato a Ft J Krishnamoorthy, commissario per l’alimentazione del paese asiatico, l’appello è stato rivolto all’Associazione per la Cooperazione Regionale dell’Asia Meridionale, che ha fornito riso e altri prodotti di base agli Stati membri durante le crisi alimentari.L’obiettivo è quello di ottenere circa 100.000 tonnellate di cibo sotto forma di donazioni o vendite sovvenzionate. L

a richiesta evidenzia come lo Sri Lanka stia scivolando da un Paese a reddito medio-alto, il più prospero tra i suoi vicini, a uno dipendente da donazioni e prestiti d’emergenza per cibo, medicine e carburante.  Si tratta della sua peggiore crisi economica dall’indipendenza del 1948, colpita da una combinazione di fattori tra cui l’impatto della COVID-19 sull’economia dipendente dal turismo, l’aumento del prezzo del petrolio e i tagli al bilancio pubblico.

La mancanza cronica di valuta estera ha portato a un’inflazione dilagante e alla carenza di importazioni, tra cui carburante, medicine e altri beni di prima necessità. Il mese scorso è andato in default su un debito internazionale di oltre 50 miliardi di dollari, e a quel punto è stato colpito da gravi carenze di beni essenziali da quando ha esaurito le riserve estere.

Nelle ultime settimane, la carenza di carburante ha portato a lunghi blackout con la chiusura delle centrali elettriche, mentre gli ospedali stanno rimandando le cure a causa della mancanza di medicinali. L’inflazione sta crescendo a due cifre, e la gente ha fame.

A peggiorare la situazione anche il fatto che i raccolti sono diminuiti drasticamente dopo che il presidente Gotabaya Rajapaksa ha vietato bruscamente i fertilizzanti chimici lo scorso anno. La decisione è stata rapidamente revocata, ma da allora le importazioni di riso nello Sri Lanka – che in precedenza era autosufficiente – sono aumentate del 368%.

Gli aiuti internazionali

Per questo motivo, il governo sta cercando urgentemente assistenza di emergenza da altri Paesi. L’India ha fornito più di 3 miliardi di dollari quest’anno attraverso linee di credito e swap di valuta, mentre la Cina ha offerto “qualche centinaio di milioni di dollari” in prestiti ed anche il Giappone e lo stato indiano del Tamil Nadu hanno donato cibo e medicinali.

È di questi giorni, la richiesta alla banca alimentare della SAARC, istituita nel 2007 per fornire riso e grano ai Paesi durante le emergenze, ma che e’ stata utilizzata per la prima volta solo nel 2020, quando il Bhutan ha ricevuto un carico di riso.

L’appello via social

Intanto i residenti soffrono la disperazione e si rivolgono sempre piu’ spesso alle piattaforme dei social media, tra cui Facebook, WhatsApp, Instagram e Twitter, per reperire beni di prima necessità e contribuire alla raccolta di fondi per i bisognosi.

Ci sono più di 11 milioni di utenti di Internet in Sri Lanka, circa la metà della popolazione: quando le proteste contro la gestione della crisi da parte del governo sono diventate violente all’inizio di aprile, le autorità hanno imposto un blackout dei social media a livello nazionale per circa 15 ore “per mantenere la calma”, una mossa che ha attirato critiche da parte del governo. Peraltro gli srilankesi trovano più facile fare richieste online perche’ si sentono meno inibiti negli spazi virtuali.  


La crisi (e la disperazione) senza fine dello Sri Lanka

La crisi dei chip pesa sui ricavi in borsa di Stellantis

AGI – Il titolo di Stellantis perde slancio dopo l’iniziale entusiasmo seguito alla pubblicazione dei risultati del terzo trimestre e alla conferma della guidance per l’intero anno.

Sui conti della casa automobilistica nata all’inizio dell’anno dalla fusione di Fiat Chrysler con la francese continua a pesare la carenza di chip

Stellantis chiude il trimestre con ricavi in flessione del 14% a 32,6 miliardi di euro e il 27% in meno delle consegne a 1,31 milioni di unità. Il titolo in Borsa passa da un +1,7% iniziale a +0,16%, dopo essere sceso brevemente sotto la parità. 

I motivi delle perdite 

La debolezza nelle consegne, spiega la società, si deve principalmente “alla perdita di circa 600mila unità, pari a circa il 30% della produzione pianificata del terzo trimestre 2021, dovuta a ordini inevasi di semiconduttori“. I ricavi, tuttavia, sono scesi meno delle consegne in quanto, come sottolineato dal gruppo, sono state vendute sempre più auto con margini più elevati e i prezzi di vendita sono stati più alti. È in questo contesto che Stellantis conferma la guidance per l’intero 2021, ovvero di arrivare a un margine operativo rettificato di circa il 10%, partendo però dal presupposto “che non vi sia un ulteriore deterioramento nelle forniture di semiconduttori e che non vi siano ulteriori lockdown in Europa e negli Stati Uniti” a causa del Covid.

Il gruppo rivede poi le prospettive per l’intero anno in alcuni mercati strategici rispetto al primo semestre dell’anno: “il Nord America a +5% da +10%; il Sud America a +15% da +20%; l’Europa allargata a +5% dal +10%. Previsioni in crescita invece in Medio Oriente e Africa a +20% da +15%, mentre restano invariate India e Asia Pacifico a +10% e la Cina a +5%”.  


La crisi dei chip pesa sui ricavi in borsa di Stellantis

Fine degli incentivi e crisi dei microchip affossano il mercato dell’auto

AGI – Fine degli incentivi e crisi dei microchip affossano il mercato dell’auto. Ad agosto le immatricolazioni hanno registrato un nuovo drastico calo del 27,3% (64.689 unità) dopo la riduzione di luglio (-19,4%). Resta comunque positivo il saldo sui primi otto mesi. Nel complesso, sono state immatricolate 1.060.182 vetture, il 30,9% in più rispetto alle 809.978 vendute nel corrispondente periodo del 2020. 

Stellantis ha immatricolato ad agosto 21.636 autoveicoli, il 36,3% in meno rispetto ai 33.961 venduti nello stesso mese dell’anno scorso. Negli otto mesi, le immatricolazioni sono 412.580, il 31,3% in più rispetto alle 314.329 registrate nel corrispondente periodo del 2020.

Gli esperti del settore indicano prospettive fosche: secondo l’Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri), la situazione del mercato dell’auto nei prossimi mesi “non può che peggiorare visto il rapido esaurimento dell’ecobonuscon cui rimangono inutilizzabili anche i fondi complementari stanziati per finanziare l’extrabonus. 

Per Federauto, la Federazione dei concessionari auto, il brusco calo di agosto dimostra le enormi difficoltà che attraversa il settore, soprattutto a causa della carenza dei componenti elettronici. Inoltre, i fondi non riusciranno a coprire gli acquisti fino al 31 dicembre, riproponendo il problema delle misure stop and go e gli inevitabili effetti regressivi sul mercato.

Il Centro studi Promotor parla di “una tempesta perfetta” prodotta dall’esaurirsi dello stanziamento per l’ecobonus, l’inutizzabilità dell’extrabonus e la mancanza di microchip. La situazione del mercato dell’auto appare “decisamente peggiore di quella del contesto economico italiano” e “la ripresa nel 2021 per l’auto è decisamente più lenta”. “Il pasticcio sugli incentivi alle auto elettriche e dintorni – fa notare Promotor – rischia di compromettere il lavoro fatto per vincere le resistenze della gente verso la transizione ecologica”

Di fronte a tale situazione l’Unrae chiede l’immediato rifinanziamento dell’Ecobonus per le fasce 0-20 e 21-60 g/Km CO2 attraverso un qualsiasi veicolo normativo disponibile in tempi brevi, oppure, in via emergenziale, con un trasferimento parziale nell’Ecobonus delle risorse ferme nell’Extrabonus.

Il Centro studi Promotor ritiene indispensabile rifinanziare immediatamente gli ecobonus per le auto verdi e gli incentivi per le auto da 61 a 135 gr/km di CO2 e utilizzare poi la Legge di Bilancio 2022 per creare le premesse di una politica per l’auto che dia una concreta prospettiva alla transizione verso l’auto elettrica.

Federauto sostiene che è necessario trovare una soluzione rapida per rifinanziare il fondo Ecobonus, nonché proseguire nelle politiche di incentivazione volte al rinnovo del parco circolante auto più vetusto e inquinante in un orizzonte temporale medio-lungo e rivedere il termine dei 180 giorni per completare le prenotazioni in corso, unitamente a una sostanziale riforma della fiscalità dell’auto.


Fine degli incentivi e crisi dei microchip affossano il mercato dell’auto

La crisi all’ombra dei Cedri, il Libano è sull’orlo del crack

AGI – Peggiora la crisi economica in Libano, con la mancanza di benzina che sta innescando sempre più rabbia e violenze tra la popolazione. Secondo i media locali, nella sola giornata di ieri i prezzi del carburante sono aumentati fino al 70% in seguito all’ennesimo taglio dei sussidi pubblici, con il costo della benzina che è quasi triplicato negli ultimi due mesi, da quando cioè la banca centrale ha iniziato a tagliare il suo sostegno alle importazioni per mancanza di soldi.

Ad alimentare le tensioni, l’annuncio in tv del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che le consegne di carburante iraniano arriveranno “nei giorni a venire”. “La prima nave, dal momento in cui cui salperà fino a quando sarà nel Mediterraneo sarà considerata territorio libanese. Lo dico a israeliani e americani: sarà territorio libanese”, ha detto Nasrallah. Secondo il leader di Hezbollah “i milioni di litri di gasolio e diesel sequestrati dall’esercito israeliano confermano che la crisi è stata creata di proposito”.

Secondo molti analisti il Libano è un paese già fallito. Per altri manca molto poco al crack. Certo è che il paese sta subendo una grave e prolungata depressione economica. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale, Bank Lebanon Economic Monitor (Lem), pubblicato a giugno, la crisi economica e finanziaria del Paese dei cedri è tra le peggiori di sempre nella storia, addirittura da metà del 1800.

Per alcuni economisti quella libanese rientra nella top 10 dei default finanziari, per altri addirittura nella top 3. “Di fronte a sfide colossali, la persistente inazione politica e l’assenza di un governo pienamente funzionante, continuano ad aggravare condizioni socio-economiche già disastrose e una fragile pace sociale senza un chiaro punto di svolta all’orizzonte”, scrive l’istituto di Washington.      

Il titolo del rapporto della Banca Mondiale non promette nulla di buono: “Lebanon Sinking: To the Top 3”. La pubblicazione presenta i recenti sviluppi economici ed esamina le prospettive del paese con i rischi annessi. Per oltre un anno e mezzo, il Libano ha affrontato sfide differenti: la più grande crisi economica e finanziaria in tempo di pace, la pandemia da Covid-19 e l’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto dell’anno scorso. 

Come evidenziato dagli osservatori internazionali tutte le risposte politiche ed economiche della politica libanese a queste sfide sono state completamente inadeguate e fallimentari. Nel paese non si è mai arrivati a un consenso su iniziative politiche efficaci. L’unità d’intenti, invece, si è trovata nella difesa strenua di un sistema economico fallimentare che continua a favorire pochi a danno della maggioranza. A peggiorare la situazione, una prolungata guerra civile che ha aggravato condizioni socio-economiche sempre più disastrose che rischiano di provocare fallimenti nazionali sistemici con effetti regionali e potenzialmente globali. 

I numeri impietosi della Banca Mondiale

I numeri della banca Mondiale non lasciano scampo e tratteggiano uno scenario con moltissime ombre. L’istituto stima che nel 2020 il Pil si sia contratto del 20,3%, dopo un calo del 6,7% nel 2019. Di fatto, il Pil libanese è crollato dai quasi 55 miliardi di dollari nel 2018 a circa 33 miliardi di dollari nel 2020, mentre il prodotto pro capite è sceso di circa il 40%. Una contrazione così forte, normalmente, è associata, spiega la Banca Mondiale, a conflitti o guerre. “Le condizioni monetarie e finanziarie rimangono altamente volatili; nel contesto di un sistema di tassi di cambio multipli”. Il cambio medio della Banca Mondiale si è deprezzato del 129% nel 2020. L’effetto sui prezzi si è tradotto in un’impennata dell’inflazione, con una media dell’84,3% nel 2020. Soggetto a un’incertezza eccezionalmente alta, si prevede che il Pil si contrarrà di un ulteriore 9,5% anche quest’anno. 

“Il Libano affronta un pericoloso esaurimento delle risorse, compreso il capitale umano, e la manodopera altamente qualificata è sempre più propensa a cogliere opportunità all’estero, creando una perdita sociale ed economica permanente per il paese”, ha detto Saroj Kumar Jha, direttore regionale del Mashreq della Banca Mondiale. “Solo un governo riformista, che intraprenda un percorso credibile di ripresa economica e finanziaria, e che lavori a stretto contatto con tutte le parti interessate, può invertire la rotta di un’ulteriore caduta e prevenire una maggiore frammentazione nazionale”.       

Le condizioni del settore finanziario continuano a deteriorarsi. L’onere dell’aggiustamento in corso nel settore finanziario è altamente regressivo, concentrato sui depositanti più piccoli, sulla maggior parte della forza lavoro e sulle pmi. Più della metà della popolazione è al di sotto della soglia di povertà nazionale, con la maggior parte della forza lavoro – pagata in lire – che soffre per il crollo del potere d’acquisto. Con il tasso di disoccupazione in aumento, una quota crescente di famiglie sta affrontando difficoltà di accesso ai servizi di base, compresa l’assistenza sanitaria in questo periodo più importante che mai.

Elettricità, acqua, istruzione: dove morde la crisi 

L’istituto di Washington sottolinea anche l’impatto delle crisi su quattro servizi pubblici di base: elettricità, approvvigionamento idrico, servizi igienici e istruzione. La depressione ha ulteriormente minato i già deboli servizi pubblici attraverso due effetti: ha aumentato significativamente i tassi di povertà, con un numero maggiore di famiglie che non possono permettersi beni sostitutivi privati, diventando così più dipendenti dai servizi pubblici. Pone a forte rischio la sostenibilità finanziaria e l’operatività di base del settore, aumentandone i costi e riducendone le entrate.    

La fornitura di servizi pubblici essenziali è fondamentale per il benessere dei cittadini. Il forte deterioramento dei servizi di base continuerà a creare implicazioni nel lungo termine: migrazione di massa, perdita di apprendimento, cattivi servizi sanitari, mancanza di reti di sicurezza adeguate. Il danno permanente al capitale umano, evidenzia la Banca Mondiale, sarebbe molto difficile da recuperare. E forse proprio questa dimensione della crisi libanese la rende unica rispetto ad altre. 

Perché la Svizzera del Medio Oriente è sull’orlo del tracollo

I motivi del crollo di un paese che un tempo era noto come la Svizzera del Medio Oriente sono molteplici. La corruzione ha reso impossibile, dopo la guerra civile durata dal 1975 al 1990, una ripresa forte anche perché la forza del paese era il capitale umano, ormai allo stremo, e i servizi.  Alcuni economisti hanno parlato del sistema finanziario del Libano come di uno schema Ponzi regolato a livello nazionale, dove si prende in prestito nuovo denaro per pagare i creditori esistenti. Funziona fino a quando il denaro fresco non si esaurisce.      

Dopo la guerra civile, il Libano ha provato a mettere a posto i conti pubblici, con il turismo, gli aiuti stranieri, l’industria finanziaria e la generosità degli stati arabi del Golfo, che hanno finanziato lo stato sostenendo le riserve della banca centrale di Beirut. Altra fonte affidabile di dollari erano le rimesse dei milioni di libanesi che andavano all’estero a lavorare. Anche durante il crollo finanziario globale del 2008, i flussi nelle banche libanesi hanno continuato. 

Le rimesse hanno iniziato a rallentare a partire dal 2011, con il deterioramento politico dell’area e con la caduta nel caos della vicina Siria. Gli stati musulmani sunniti del Golfo si sono allontanati a causa della crescente influenza nel paese dell’Iran, attraverso Hezbollah, il gruppo sciita libanese armato il cui potere politico è cresciuto notevolmente.     Il deficit di bilancio è salito alle stelle e la bilancia dei pagamenti è sprofondata ancora di più. Questo fino al 2016, quando le banche hanno iniziato a offrire tassi di interesse più alti per i nuovi depositi in dollari, una valuta ufficialmente accettata nell’economia. Il tutto mentre in altre parti del mondo i tassi andavano verso lo zero.  I dollari hanno ripreso a scorrere e le banche a finanziare la spesa sempre maggiore. Mai tassi d’interesse alti vanno pagati. E ora il conto è stato servito. 


La crisi all’ombra dei Cedri, il Libano è sull’orlo del crack

Aeroporti di Roma, per noi una crisi “senza precedenti”

AGI –  “I risultati del 2020 nel segno di una crisi senza precedenti a causa del Covid-19, che Adr ha affrontato assicurando in ogni momento la funzionalità dell’aeroporto e dando priorità alla sicurezza dei passeggeri e del personale”.

E’ quanto si legge nel bilancio approvato dal cda di Aeroporti di Roma, secondo il quale la società ha chiuso l’esercizio con una perdita di 143,4 milioni di euro rispetto a un utile di 245,2 milioni di euro registrato nel 2019

I ricavi da gestione aeroportuale consolidati, pari a 260,7 milioni di euro, si sono ridotti complessivamente del 72,3% (-681 milioni di euro) rispetto all’esercizio a confronto, registrando un andamento negativo in tutte le componenti. Nel cda che ha varato il bilancio, si è “ricordato l’esempio di professionalità e di impareggiabile umanitàche il presidente Prof. Avv. Antonio Catricalà ha lasciato nel ricordo di tutto il personale di Aeroporti di Roma”.

Il traffico passeggeri, sottolinea il comunicato di Adr, è stato particolarmente impattato dalla diffusione globale del Covid-19, complessivamente è diminuito del 76,8% rispetto al 2019, con 11,5 milioni di passeggeri transitati a Fiumicino e Ciampino.

In particolare, dopo i valori minimi registrati nei mesi di aprile e maggio 2020, il segmento domestico ha mostrato un lieve recupero chiudendo con una variazione del -67,5% rispetto al 2019; più  colpiti invece il segmento UE in diminuzione del -77,1%, e il segmento Extra UE, in diminuzione del -84,2% (di cui -86,0% relativo alle tratte di lungo raggio).

L’esercizio si è chiuso con una perdita di 143,4 milioni di euro rispetto ad un utile di 245,2 milioni di euro registrato nel 2019. Per preservare la liquidità, si è deciso di non procedere alla distribuzione di dividendi nel corso del 2020, riportando a nuovo l’utile del 2019 pari a 245,2 milioni di euro.

Nel corso dell’anno sono state attivate nuove fonti di finanziamento per complessivi 980 milioni di euro, sia sul mercato obbligazionario che bancario, che portano al 31/12/2020 la liquidità del Gruppo a 1,097 miliardi di euro.

Le attività aeronautiche, direttamente correlate all’andamento del traffico, hanno subito una flessione del 74,6%, mentre il complesso delle altre attivita’ ha fatto registrare una riduzione del 66,5%.

Sin dal mese di marzo, Adr ha garantito la continuità del servizio pubblico essenziale di collegamento aereo con Roma mantenendo gli scali di Fiumicino e Ciampino sempre in funzione, attivando prontamente un piano di contenimento dei costi con risparmi di oltre il 30%, ovvero più di 100 milioni di euro, rispetto al 2019.

Le iniziative hanno riguardato la razionalizzazione dell’utilizzo delle infrastrutture con la chiusura dei Terminal e delle aree di imbarco non pienamente utilizzate e la riorganizzazione delle attività operative, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali a sostegno dei dipendenti in un contesto di forte riduzione dell’attivita’ operativa, l’attivazione di un piano di incentivazione all’esodo volontario destinato alle fasce di età più prossime alla pensione, l’azzeramento dei bonus variabili e delle assunzioni, oltre ad una rinegoziazione delle condizioni contrattuali con i principali fornitori del Gruppo.

Anche grazie a queste iniziative l’Ebitda di Gruppo è rimasto positivo (25,6 milioni di euro), con una diminuzione di 568,4 milioni di euro rispetto al 2019.

“Il 2020 – ha commentato l’amministratore delegato, Marco Troncone, – è stato l’anno più difficile della nostra storia: il Covid-19 ha imposto una rapida revisione delle priorità strategiche. Le nostre azioni si sono immediatamente concentrate sull’implementazione delle misure necessarie a garantire la massima sicurezza sanitaria dei passeggeri e del personale aeroportuale, oltre ad assicurare tempestivamente al Gruppo le necessarie condizioni di stabiliTà finanziaria”.

“Nonostante l’estrema severità della crisi – ha proseguito – Adr ha continuato nel 2020 a rafforzare la propria mission aziendale sui fronti considerati strategici: Qualita’ e sicurezza dei servizi offerti, Innovazione e Sostenibilita’ ambientale e sociale”. 

“Adr rimane fortemente impegnata, al fianco delle Istituzioni, affinché nel 2021 si possa avviare un percorso di ripresa, lavorando attivamente per promuovere le condizioni per il riavvio della connettività e contribuire cosi’ allo sviluppo economico nazionale” ha affermato Troncone.

E ha così concluso: “La grande determinazione nell’offrire un aeroporto massimamente sicuro, l’integrazione in aeroporto di ampie strutture di testing, il concreto contributo alla campagna vaccinale e la definizione ed implementazione di protocolli di viaggio innovativi e sicuri, come i voli Covid-tested, hanno distinto il ruolo di Adr a livello internazionale”. 


Aeroporti di Roma, per noi una crisi “senza precedenti”

Turismo in crisi: aziende pronte a licenziare, tonfo per le compagnie aeree

AGI – Le imprese del turismo sono al collasso e a settembre prevedono chiusure e licenziamenti. Aidit Federturismo Confindustria, Assoviaggi Confesercenti, ASTOI Confindustria Viaggi e Fto Confcommercio, lanciano un ultimo SOS e chiedono che il Governo annunci pubblicamente cosa intende fare per evitare la chiusura di agenzie di viaggi e tour operator. In assenza di interventi, gli imprenditori sono pronti ad azioni di protesta.

 “Non c’è più tempo – sostengono le associazioni del settore turismo – A settembre ci sarà la resa dei conti: molte aziende hanno già previsto di chiudere, molte altre lo faranno sicuramente nei mesi successivi. Migliaia di lavoratori e di famiglie verranno messi sul lastrico, andando comunque a gravare sulle casse dello Stato. E ciò rende ancora più incomprensibile i mancati aiuti a questo comparto”. In assenza di coinvolgimento e di aiuti concreti, le associazioni annunciamo che “il turismo organizzato non morirà nel silenzio e non accetterà questo destino senza reagire”.

Per questo, chiedono al Governo di “dare evidenza pubblica di ciò che intende fare per tour operator e agenzie di viaggi, anche con riferimento alle aziende sopra i 5 milioni di fatturato, che non hanno nemmeno beneficiato del contributo a fondo perduto di cui all’art. 25 del DL Rilancio. La pazienza dimostrata fino ad oggi da imprese e lavoratori è stata ormai sostituita da indignazione e sconcerto”. Aidit, Astoi Confindustria Viaggi, Assoviaggi e Fto “pretendono risposte urgenti. In difetto, “si renderanno promotrici di una protesta senza precedenti che coinvolgerà tutto il settore”.

 “Quelle che a marzo erano solo previsioni – fanno notare le associazioni del settore turismo – ad inizio agosto sono divenuti dati certi che, nella loro crudezza, confermano decrementi che dovrebbero portare qualsiasi Governo a introdurre con urgenza ogni misura utile. Non si è perso solo il fatturato da marzo ad agosto, è a rischio quello di un intero anno. Le associazioni plaudono al risultato ottenuto dal Governo in Europa sul Recovery Fund, ma ora “si attendono una pronta risposta alle richieste di tour operator e agenzie di viaggi, le uniche aziende ad essere rimaste sino ad oggi senza alcuna forma sostanziale di aiuto”.

“Dopo il decreto ‘Cura Italia’ – prima occasione mancata – la politica – sottolineano le imprese – aveva rassicurato le categorie affermando che il successivo decreto avrebbe previsto misure straordinarie per il turismo. Nel decreto ‘Rilancio, invece, nulla è stato previsto, a parte la ridicola e complessa misura del Bonus Vacanze che, per come è strutturato, non ha raccolto nemmeno il consenso degli albergatori. è stato chiesto di attendere gli emendamenti, ma dopo un intenso scambio di informazioni e dopo l’invio di numerose proposte elaborate dalle categorie, nessuna norma ha dato ossigeno ad un settore tra i più colpiti, che ha zero prospettive di ripresa per il prossimo anno e che, quindi, sta sostanzialmente morendo”.

“E’ davvero impossibile riuscire a capire – prosegue la nota – come il comparto di tour operator, agenzie di viaggi e agenzie di eventi, con un volume d’affari di 20 miliardi di euro e oltre 80 mila dipendenti, sia stato privato di ogni misura di sostegno, nonostante abbia subito una perdita di oltre l’80% del fatturato annuo”. “Molte imprese – vista la stagionalità e le bassissime marginalità di questo tipo di business – oltre all’Italia, programmano mete estere e, su questo fronte, sappiamo che la ripresa sarà lentissima: si stima un ritorno alla normalità, Covid permettendo, a fine 2022. Eppure, non solo non è arrivato un sostegno attraverso lo strumento del fondo perduto, ma sono stati chiusi quasi tutti i corridoi turistici extra Ue e, per i pochi rimasti aperti, è stata prevista la quarantena al rientro per soggiorni superiori a 5 giorni, quando la permanenza minima all’estero per turismo è di 7 notti. In più, non è stato fatto alcun distinguo tra Paesi esteri sostanzialmente ‘covid free ed altri”.

“Ora, da più fonti, si sente parlare di un prossimo decreto dedicato al turismo o di un pacchetto di misure mirate per il settore, a valere sul prossimo scostamento di bilancio. Auspichiamo – concludono – un immediato ed effettivo coinvolgimento delle categorie nell’elaborazione di queste misure e, soprattutto, ci auguriamo che il governo non intenda, per l’ennesima volta, riservare le ‘briciole al settore più colpito per antonomasia. Invitiamo quindi il governo a non mancare anche quest’ultima chance”.

Tonfo delle compagnie aeree

Intanto oggi i titoli delle maggiori compagnie aeree e turistiche europee sono in profondo rosso. I nuovi focolai e le conseguenti restrizioni ai viaggi deprimono il settore che ha già scontato il dramma del lockdown. Ryanair è in calo dell’8% dopo aver annunciato di aver perso 185 milioni nel trimestre aprile-giugno, il peggiore nei suoi 35 anni di vita e prevede di chiudere l’anno fiscale con un calo del 60% dei passeggeri. Il tonfo in borsa riguarda easyJet (-13%), che ha annunciato giorni fa un taglio di 4.500 posti di lavoro, Iag (che controlla British Airways, pronta a ridurre il suo personale di 12 mila unita’) e’ in perdita di oltre l’8%, Lufthansa, arretra del 6%.

Il tour operator anglo-tedesco Tui, che ha sospeso tutti i viaggi nella Spagna continentale almeno fino al 9 agosto, cede più del 13%.
Le nuove misure per frenare la pandemia hanno schiacciato la speranza di un rilancio del turismo ad agosto. Il Regno Unito e la Francia hanno messo in guardia i viaggiatori a frequentare alcune aree della Spagna. Questo perché sono scoppiati nuovi focolai e in particolare in Catalogna i casi di Coronavirus sono triplicati nelle ultime due settimane.

Il governo di Londra ha cosi’ deciso che i britannici che tornano dalle vacanze in Spagna devono stare in isolamento per 14 giorni. Naturalmente anche negli Stati Uniti la situazione delle compagnie aeree è drammatica: American Airlines ha registrato nel secondo trimestre perdite per 2,1 miliardi. Secondo la Iata, le perdite complessive del settore aereo ammontano a 84,3 miliardi di dollari, i voli cancellati a 7,5 milioni e la domanda e’ scesa del 54%. 

 

Agi

La crisi della pubblicità in tv negli Usa 

​I grandi inserzionisti statunitensi, da General Motors a PepsiCo a General Mills intendono cancellare una grande fetta degli impegni di spesa presi con le reti televisive. Lo rivela il Wall Street Journal, il quale nota che la spesa pubblicitaria televisiva è diminuita nelle prime settimane della pandemia di coronavirus, ma non più di tanto.

Questo perché la maggior parte dei circa 42 miliardi di dollari spesi in pubblicità televisive nazionali negli Stati Uniti è vincolata da impegni contrattuali che sono presi con largo anticipo in vista delle nuove stagioni televisive, che iniziano ogni settembre.

Tuttavia, nell’ambito di tali accordi “anticipati”, la prima vera opportunità da quando la pandemia ha colpito gli inserzionisti per ridurre gli impegni di spesa futuri è iniziata il primo maggio. Le aziende ora hanno la possibilità di annullare fino al 50% della spesa pubblicitaria del terzo trimestre.

Gli inserzionisti hanno avuto queste opzioni nei loro contratti per anni, ma le hanno esercitate molto raramente, rivelano al Wsj gli stessi acquirenti di annunci pubblicitari. Secondo il giornale statunitense ora molte aziende stanno cercando di sfruttare questa opzione a vari livelli.

Tra le big interessate ci sarebberoi General Motors, PepsiCo, Cracker Barrel Old Country Stores, General Mills, Domino’s e il colosso farmaceutico Sanofi.  

Gli inserzionisti stimano che tra 1 e 1,5 miliardi di dollari di impegni per spese pubblicitarie del terzo trimestre potrebbero essere annullati. “I tagli saranno piuttosto profondi”, ha dichiarato al Wsj Dave Campanelli, Chief Investment Officer presso l’acquirente di supporti multimediali Horizon Media. 

Intanto, il Congresso Usa sta cercando di trovare il modo di aiutare i giornali, le radio e le tv locali in difficoltà, consentendogli di beneficiare degli stimoli federali per il coronavirus. Lo rivelano al Wall STreet Journal fonti vicine all’operazione, secondo le quali una nuova legge dovrebbe essere introdotta alla Camera non appena questa settimana i parlamentari includeranno i giornali e le emittenti locali definendoli idonei a percepire i prestiti a fondo perduto destinati alle piccole imprese.

Il Wsj fa sapere che i senatori democratici Maria Cantwell e Amy Klobuchar stanno lavorando per trovare il modo di far avanzare la proposta anche al Senato, dove i repubblicani hanno la maggioranza. “La crisi di Covid-19 ci ha mostrato quanto le notizie e le informazioni locali siano essenziali per noi”, ha detto Cantwell.

“Ora non è il momento di tagliare i lavori in redazione, fondamentali per fornire al pubblico dati regionali e notizie sugli scoppi di Covid-19”. Molte agenzie di stampa locali non sono state in grado di richiedere i prestiti a fondo perduto del Programma di protezione degli stipendi  per le piccole imprese a causa della regolamentazione di questa legge, che costringe i media locali a essere commisurati in base alle dimensioni delle loro società madri.

La nuova disposizione che sarà presa in considerazione dal Congresso rinuncerebbe a tale regola per quanto riguarda i notiziari locali.

 

Agi