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Bonus Psicologico 2023: cos’è e come funziona

Il bonus psicologico 2023 è una nuova agevolazione prevista dallo Stato italiano per sostenere la salute mentale e il benessere psicologico della popolazione. Questo bonus prevede un sostegno economico per accedere ai servizi e alle cure psicologiche, così come a interventi di supporto per situazioni di crisi o stress. In questo articolo, cercheremo di approfondire le caratteristiche del bonus psicologico 2023, rispondendo alle domande più comuni e analizzando i suoi potenziali benefici.

Cos’è il bonus psicologico 2023?

Il bonus psicologico 2023 è un’agevolazione economica prevista dal Governo italiano per sostenere la salute mentale e il benessere psicologico della popolazione. L’obiettivo è quello di incentivare l’accesso ai servizi e alle cure psicologiche, così come a interventi di supporto per situazioni di crisi o stress, fornendo un sostegno economico alle persone che ne hanno bisogno.

Chi può richiedere il bonus psicologico?

Tutti i cittadini italiani maggiorenni che hanno bisogno di supporto psicologico possono richiedere il bonus psicologico 2023. Non ci sono restrizioni di reddito o di stato di salute, quindi chiunque abbia bisogno di supporto psicologico può fare richiesta per ottenere il bonus.

Come si fa a richiedere il bonus psicologico?

Per richiedere il bonus psicologico 2023, sarà necessario presentare una domanda online, attraverso il portale dedicato che sarà messo a disposizione dal Ministero della Salute. La procedura di richiesta è semplice e veloce, e richiede solo pochi minuti per essere completata. Sarà necessario fornire alcune informazioni personali, come il proprio nome, cognome, codice fiscale e indirizzo di residenza, così come una descrizione delle proprie esigenze psicologiche.

Qual è l’importo del bonus psicologico?

L’importo del bonus psicologico 2023 non è ancora stato comunicato ufficialmente dal Governo italiano. Tuttavia, si prevede che il bonus avrà un valore significativo, in modo da coprire completamente o parzialmente i costi delle cure psicologiche o dei servizi di supporto richiesti.

Quali sono i requisiti per ottenere il bonus psicologico?

Non ci sono requisiti particolari per ottenere il bonus psicologico 2023, se non quello di essere un cittadino italiano maggiorenne e di avere bisogno di supporto psicologico. Non ci sono restrizioni di reddito o di stato di salute, quindi chiunque abbia bisogno di supporto psicologico può fare richiesta per ottenere il bonus.

Quali servizi o interventi sono coperti dal bonus psicologico?

Il bonus psicologico 2023 copre una vasta gamma di servizi e interventi per la salute mentale e il benessere psicologico. In particolare, il bonus può essere utilizzato per accedere a servizi di psicoterapia, counseling, supporto psicologico online, interventi di supporto per situazioni di crisi o stress, e molto altro ancora. Saranno fornite ulteriori informazioni sui servizi specifici che possono essere coperti dal bonus una volta che il Ministero della Salute avrà comunicato i dettagli dell’agevolazione.

C’è una scadenza per richiedere il bonus psicologico?

Al momento non ci sono informazioni ufficiali riguardo ad una possibile scadenza per la richiesta del bonus psicologico 2023. Tuttavia, è possibile che il bonus abbia una scadenza per la richiesta o che sia a disponibilità limitata, pertanto è consigliabile fare richiesta il prima possibile una volta che la procedura di richiesta sarà aperta.

Posso richiedere il bonus psicologico se sono già in cura psicologica?

Sì, è possibile richiedere il bonus psicologico 2023 anche se si sta già seguendo un percorso di cura psicologica. Il bonus può essere utilizzato per coprire parzialmente o completamente i costi delle cure psicologiche o dei servizi di supporto richiesti, anche se si è già in cura.

Il bonus psicologico è cumulabile con altri bonus o agevolazioni?

Al momento non ci sono informazioni ufficiali riguardo alla cumulabilità del bonus psicologico 2023 con altre agevolazioni o bonus previsti dallo Stato italiano. Tuttavia, è possibile che il bonus possa essere cumulato con altre agevolazioni o bonus, in base alle eventuali disposizioni che saranno comunicate dal Governo italiano.

Quali sono i potenziali benefici del bonus psicologico per la salute mentale delle persone?

Il bonus psicologico 2023 potrebbe avere molti potenziali benefici per la salute mentale delle persone. In particolare, l’agevolazione potrebbe aumentare l’accesso alle cure psicologiche, ridurre i costi delle cure psicologiche e dell’assistenza sanitaria, migliorare l’inclusione sociale e la lotta alla discriminazione, fornire supporto psicologico per le persone in situazioni di crisi, prevenire il burnout e la sindrome da stress lavorativo, sostenere i lavoratori impegnati in attività stressanti, migliorare la produttività e il benessere sul lavoro, e avere un impatto positivo sulle relazioni interpersonali e familiari.

Argomenti correlati

Oltre alle domande già affrontate, ci sono molti altri argomenti correlati al bonus psicologico 2023 che potrebbero essere di interesse per la salute mentale e il benessere psicologico. Ad esempio, si potrebbe approfondire il tema dell’accesso alle cure psicologiche, discutere della copertura assicurativa per i servizi psicologici, analizzare i costi delle cure psicologiche e dell’assistenza sanitaria, esplorare l’inclusione sociale e la lotta alla discriminazione, analizzare il sostegno psicologico per le persone in situazioni di crisi, approfondire la prevenzione del burnout e della sindrome da stress lavorativo, discutere del supporto ai lavoratori impegnati in attività stressanti, analizzare i potenziali benefici del supporto psicologico per la produttività e il benessere sul lavoro, e esplorare l’impatto del sostegno psicologico sulle relazioni interpersonali e familiari.

Conclusioni

Il bonus psicologico 2023 è un’agevolazione molto importante per sostenere la salute mentale e il benessere psicologico della popolazione italiana. Grazie a questa agevolazione, sarà possibile accedere a servizi e cure psicologiche a prezzi accessibili, così come a interventi di supporto per situazioni di crisi o stress. La procedura di richiesta è semplice e veloce, e non ci sono restrizioni di reddito o di stato di salute. Non appena saranno comunicati i dettagli dell’agevolazione dal Ministero della Salute, sarà possibile fare richiesta per ottenere il bonus psicologico 2023 e accedere al supporto psicologico di cui si ha bisogno.



Bonus Psicologico 2023: cos’è e come funziona

Assegno Unico Gennaio 2023: Cos’è e Come Funziona

Assegno Unico Gennaio 2023: Cos’è e Come Funziona

L’assegno unico gennaio 2023 è un’agevolazione prevista dal Governo italiano per sostenere le famiglie italiane che hanno bisogno di sostegno economico. Questo assegno sostituisce il precedente sistema di detrazioni fiscali per i figli a carico e prevede un importo che varia in base al numero e all’età dei figli. In questo articolo, cercheremo di approfondire le caratteristiche dell’assegno unico gennaio 2023, rispondendo alle domande più comuni e analizzando i suoi potenziali benefici.

Cos’è l’Assegno Unico Gennaio 2023?

L’assegno unico gennaio 2023 è un’agevolazione prevista dal Governo italiano per sostenere le famiglie italiane che hanno bisogno di sostegno economico. Questo assegno sostituisce il precedente sistema di detrazioni fiscali per i figli a carico e prevede un importo che varia in base al numero e all’età dei figli.

Quali Famiglie Possono Beneficiare dell’Assegno Unico?

Tutte le famiglie italiane con figli a carico possono beneficiare dell’assegno unico gennaio 2023. Non ci sono restrizioni di reddito o di condizione lavorativa, pertanto qualsiasi famiglia con figli a carico può fare richiesta per ottenere l’assegno unico.

Qual è l’Importo dell’Assegno Unico Gennaio 2023?

L’importo dell’assegno unico gennaio 2023 varia in base al numero e all’età dei figli a carico. In particolare, l’assegno prevede un importo di 400 euro al mese per il primo figlio fino a 3 anni, 300 euro al mese per il secondo figlio fino a 3 anni, e 150 euro al mese per il terzo figlio e successivi fino a 3 anni. Inoltre, l’assegno prevede un importo di 280 euro al mese per ogni figlio di età compresa tra i 3 e i 18 anni, e di 400 euro al mese per ogni figlio con disabilità grave e certificata.

Quali Sono i Requisiti per Ricevere l’Assegno Unico?

Per ricevere l’assegno unico gennaio 2023, sarà necessario essere residenti in Italia e avere figli a carico. Non ci sono restrizioni di reddito o di condizione lavorativa, pertanto qualsiasi famiglia con figli a carico può fare richiesta per ottenere l’assegno unico.

Come Si Fa a Richiedere l’Assegno Unico?

Per richiedere l’assegno unico gennaio 2023, sarà necessario presentare una domanda online attraverso il portale dell’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale). La procedura di richiesta sarà resa disponibile dal 1° gennaio 2023 e potrà essere effettuata sia dai genitori che dai tutelati legali dei figli a carico.

C’è una Scadenza per la Richiesta dell’Assegno Unico Gennaio 2023?

Al momento non ci sono informazioni ufficiali riguardo ad una possibile scadenza per la richiesta dell’assegno unico gennaio 2023. Tuttavia, è possibile che l’agevolazione abbia una scadenza per la richiesta o che sia a disponibilità limitata, pertanto è consigliabile fare richiesta il prima possibile una volta che la procedura di richiesta sarà aperta.

L’Assegno Unico è Cumulabile con Altri Bonus o Agevolazioni?

Al momento non ci sono informazioni ufficiali riguardo alla cumulabilità dell’assegno unico gennaio 2023 con altre agevolazioni o bonus previsti dallo Stato italiano. Tuttavia, è possibile che l’assegno unico possa essere cumulato con altre agevolazioni o bonus, in base alle eventuali disposizioni che saranno comunicate dal Governo italiano.

L’Assegno Unico Gennaio 2023 è Destinato Solo ai Figli Minori?

L’assegno unico gennaio 2023 è destinato a sostenere le famiglie italiane con figli a carico di qualsiasi età. L’importo dell’assegno varia in base all’età dei figli, pertanto anche i figli maggiorenni possono essere considerati a carico e contribuire alla determinazione dell’importo dell’assegno.

L’Assegno Unico Gennaio 2023 è Erogato Solo una Volta o Viene Erogato Mensilmente?

L’assegno unico gennaio 2023 è erogato mensilmente. L’importo dell’assegno viene suddiviso in dodicesimi e viene erogato mensilmente per tutta la durata dell’anno.

Quali Sono i Potenziali Benefici dell’Assegno Unico per le Famiglie Italiane?

L’assegno unico gennaio 2023 potrebbe avere molti potenziali benefici per le famiglie italiane. In particolare, l’agevolazione potrebbe migliorare il sostegno economico alle famiglie con figli a carico, ridurre la povertà infantile, aumentare l’inclusione sociale, migliorare le politiche familiari, fornire un sostegno economico per le famiglie a basso reddito, migliorare la qualità della vita delle famiglie italiane, aumentare la disponibilità di servizi e di tutele sociali, e migliorare il benessere dei minori e dei loro genitori.

Argomenti Correlati

Oltre alle domande già affrontate, ci sono molti altri argomenti correlati all’assegno unico gennaio 2023 che potrebbero essere di interesse per le famiglie italiane. Ad esempio, si potrebbe discutere dell’importanza dell’assegno unico per il sostegno economico alle famiglie, dell’impatto dell’assegno unico sulla riduzione della povertà infantile, dell’importanza dell’inclusione sociale e delle politiche familiari, delle possibili agevolazioni fiscali per le famiglie italiane, dei diritti dei minori e della protezione sociale, delle tutele sociali e dell’importanza del welfare state.

Inoltre, si potrebbe approfondire il tema del reddito di cittadinanza e delle politiche sociali per il sostegno alle famiglie a basso reddito, dell’importanza della parità di genere e dell’inclusione delle famiglie monoparentali, del ruolo della scuola e dei servizi sociali nella protezione dei minori e delle loro famiglie, e delle sfide legate alla gestione del sostegno economico alle famiglie italiane.

Conclusioni

L’assegno unico gennaio 2023 rappresenta un’importante agevolazione per le famiglie italiane con figli a carico. Grazie a questa agevolazione, sarà possibile avere un sostegno economico per sostenere i propri figli, migliorare la qualità della vita e avere accesso a tutele sociali e servizi per le famiglie a basso reddito. La procedura di richiesta dell’assegno unico sarà resa disponibile dal 1° gennaio 2023 e sarà possibile effettuare la richiesta online attraverso il portale dell’INPS. Non ci sono restrizioni di reddito o di condizione lavorativa per accedere all’assegno unico, pertanto qualsiasi famiglia con figli a carico può fare richiesta per ottenere questa importante agevolazione.



Assegno Unico Gennaio 2023: Cos’è e Come Funziona

Google avrebbe raggiunto la “supremazia quantistica”. Cos’è e cosa vuol dire

Google ha annunciato di aver costruito un computer quantistico in grado di risolvere calcoli più velocemente del più potente computer oggi in commercio. È la prima volta che accade. Chi ha avuto modo di leggere un documento apparso venerdì e poi rimosso dal blog ufficiale del motore di ricerca, ha letto che il processore sviluppato dei ricercatori di Mountain View avrebbe risolto in 3 minuti un calcolo che il Summit di Ibm, attualmente la macchina più potente al mondo, avrebbe potuto risolvere in non meno di 10.000 anni.

La società avrebbe così ottenuto per la prima volta quella viene chiamata la “supremazia quantistica”, cioè la capacità di un processore quantistico di risolvere problemi altrimenti non risolvibili se non con calcoli che necessitano tempi di elaborazione enormi: “Questo esperimento rappresenta il primo calcolo computazionale che può essere risolto solo da un processore quantistico”, si leggeva nel documento.

Google a distanza di 24 ore dalla messa online del documento non ha smentito la notizia che il Financial Times è riuscito a dare prima il documento fosse rimosso. Ma che la società fosse vicina alla supremazia quantistica era qualcosa di cui molti erano già piuttosto certi. Ora manca ancora l’ufficialità, come manca la validazione della comunità scientifica. Ma oggi è lecito pensare che quello che fino a qualche anno fa era poco più di un progetto teorico, cioè che fosse possibile creare un computer con la logica della fisica quantistica e non con quella della fisica classica, oggi sia una realtà.

“La notizia è da accogliere con cauto ottimismo. Quello che lascia intendere però è che ci sono le condizioni per la supremazia quantistica”, commenta ad Agi Raffaele Mauro, managing director di Endeavor Italia. “Da quello che risulta dal paper di Google, sembra che il il computer quantistico sia stato in grado di risolvere un problema di complessità enorme in duecento secondi. Questo però non vuol dire che possa risolvere tutte le tipologie di problemi. E ovviamente nemmeno che a breve avremo personal computer quantistici”.

 

Cos’è un computer quantistico e come funziona

Un computer quantistico usa le leggi della meccanica quantistica per fare i calcoli e risolvere problemi. Se i computer classici hanno come unità fondamentale il bit e la logica binaria (fatta di successioni di 0 e 1), i computer quantistici hanno il qubit, che grazie alla sovrapposizione di strati quantistici possono ‘essere’ 0 e 1 contemporaneamente, in strati diversi. Il numero di stati che può rappresentare un qubit è enormemente superiore ai due stati 0 e 1. Mettendo insieme più qubit il numero di stati possibili elaborati nel tempo aumenta enormemente.

Un esempio: immaginate di cercare la parola ‘quantistico’ in un documento. Anche se non ce ne accorgiamo, il computer classico procede riga per riga a cercare quella parola. E la trova un numero x di volte in un’unità di tempo. Il computer quantistico è come se avesse davanti tutte le pagine del documento contemporaneamente, su ‘strati’ diversi, riducendo di molto i tempi di risoluzione dell’operazione richiesta. Questa capacità, che può risultare non fondamentale nella ricerca di una parola nel testo, può esserlo se il problema da risolvere è molto più grande. Come il calcolo risolto dal computer di Google.

Un altro modo per immaginare un qubit – secondo un fisico intervistato da Wired – è la sfera: se i bit classici possono essere in due posizioni della sfera, i poli opposti, un qubit è come se rappresentasse tutti gli stati della la superfice della sfera nel suo complesso contemporaneamente. 

 

Storia dell’idea di un computer quantistico

“L’idea di un computer quantistico nasce negli anni 80. Alcuni fisici e matematici hanno cominciato a chiedersi: siamo nell’era dell’informazione, ma come sarebbe un computer in grado di seguire le logiche della fisica quantistica invece che quelle della fisica classica?”, ricorda Mauro, che al tema ha dedicato alcune pubblicazioni. Cominciano i primi esperimenti. “Negli anni 90 vengono scritti i primi algoritmi che potrebbero essere risolti sfruttando logica e potenza di computer quantistici”. Siamo ancora nel campo delle ipotesi. “Poi nel 2000 comincia la competizione vera dei gruppi di ricerca, pubblici e privati. Nascono le prime startup che costruiscono i circuiti quantistici. I qubit non sono più roba teorica. Nell’ultimo decennio i primi computer e una sfida che ora coinvolge le più grosse società informatiche al mondo. L’annuncio di Google sembra aver posto fine a questa sfida. E aperto una nuova era”.
 

Cosa succede ora?

Ma cosa può succedere ora? “Il problema che hanno risolto potrebbe avere nell’immediato qualche implicazione nei processi di ottimizzazione e nella crittografia. I problemi di ottimizzazione sono molto diffusi nell’industria e nella finanza, dalla logistica all’analisi dei dati. Immagino implicazioni nel lungo periodo nel machine learning (apprendimento delle macchine). Ma nel breve termine potrebbero essere risolti problemi complessi di chimica, o simulare nuovi materiali, farlo coi computer quantistici sarebbe interessante perché simulano sistemi quantistici loro stessi. Potrebbero arrivare da queste ricerche nuovi farmaci, per esempio”, ipotizza Mauro

Eppure difficile pensare che domani avremo un computer quantistico in casa: “La cosa più verosimile è che questi servizi per ora saranno accessibili nel cloud. Amazon, Google e Microsoft nel prossimo periodo potrebbero erogarli da lì”. In che modo? “Magari un’azienda ha bisogno di trovare un materiale per costruire qualcosa. Sarebbe un caso di problema complesso da risolvere: trovare il materiale perfetto per un compito particolare. L’azienda potrebbe non avere un computer quantistico suo ma allacciarsi al cloud, immettere i dati e fare in modo che il cloud computing li elabori. Ma per i consumatori diretti al momento non vedo molte possibilità di averne uno”, continua Mauro. “Anche perché si tratta di tecnologie costosissime, che lavorano a temperature vicine allo zero assoluto”. Insomma, c’è da aspettare.

 

Il contributo dell’Italia

Stati Uniti, Cina e Europa hanno già da qualche anno cominciato a creare delle istituzioni dedicate al quantum computing. E l’Italia sta facendo la sua parte: “Il nostro paese in questo momento ha molti svantaggi, ma note di primo livello: una scuola di fisica molto buona, con il primo centro italiano di quantum computing creato dalla collaborazione tra ICPT, Sissa e Università di Trieste, oppure le ricerche condotte da alcuni ricercatori del Cnr di Milano. Ma anche manager di primo livello, come Simone Severini che è il capo del Quantum computing di Amazon”, conclude.

Agi

Come stanno veramente le cose tra Juncker e la Grecia

Vero mea culpa o notizia vecchia? Le dichiarazioni del 15 gennaio del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, sull’austerità avventata e la mancata solidarietà alla Grecia hanno provocato interesse mediatico e polemiche politiche in Italia.

“Qualche errore è stato fatto, fa piacere se viene ammesso, ma non voglio entrare nel merito delle dichiarazioni di Juncker”, ha reagito il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Se ne sono accorti anche a Bruxelles, meglio tardi che mai: tardi, tardissimo, meglio tardissimissimo che mai”, ha detto il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini.

“Le lacrime di coccodrillo non mi commuovono. Juncker e tutti i suoi accoliti hanno devastato la vita di migliaia di famiglie con tagli folli mentre buttavano un miliardo di euro l’anno in sprechi come il doppio Parlamento di Strasburgo. Sono errori che si pagano”, ha scritto sul blog delle stelle il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio.

Una cosa che fa notizia solo in Italia

Eppure, aldilà dei confini italiani, le dichiarazioni di Juncker non hanno fatto notizia. Nessun grande giornale internazionale ha ripreso il presunto mea culpa. I giornalisti stranieri che seguono quotidianamente le attività e le dichiarazioni della Commissione e delle altre istituzioni europee non si sono stupiti di fronte alle parole di Juncker sull’austerità.

Quando Juncker litigava con il Fondo monetario

In realtà non è la prima volta che Juncker critica aspramente quella che generalmente definisce “austerità cieca” e il ruolo del Fondo Monetario Internazionale durante la crisi greca. Le divergenze tra Juncker e il Fmi esplosero alla luce del sole – in realtà dei faretti di una conferenza stampa notturna al termine di una riunione dei ministri delle Finanze della zona euro – già nel novembre del 2012.

All’epoca Juncker era presidente dell’Eurogruppo e i ministri europei stavano negoziando con la direttrice del Fmi, Christine Lagarde, le misure che la Grecia avrebbe dovuto adottare per il suo secondo piano di salvataggio. Durante la conferenza stampa, Juncker mostrò pubblicamente tutta la sua irritazione nei confronti del Fmi spiegando che l’obiettivo per riportare il debito greco al 120% del Pil sarebbe stato spostato al 2022 contro il 2020 previsto inizialmente e chiesto dall’istituzione di Washington.

Lagarde reagì esasperata alzando gli occhi e scuotendo la testa in modo vistoso. “Dal nostro punto di vista il calendario appropriato è il 120% entro il 2020”, disse la direttrice del Fmi: “chiaramente abbiamo dei punti di vista diversi”. Nel 2015, arrivato alla presidenza della Commissione e confrontato a una nuova crisi in Grecia, Juncker tornò a scontrarsi con il Fmi sull’attitudine da tenere nei confronti del governo greco, di cui era diventato primo ministro Alexis Tsipras.

Juncker critico dell’austerità

Nei sei mesi che portarono Atene sulla porta di uscita dall’euro, salvo una marcia indietro all’ultimo minuto, la Commissione prese le difese del governo greco, facendo pressioni sul Fmi e su diversi Paesi europei come la Germania per allentare gli impegni in termini di austerità. L’allora ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, reagì attaccando il capo di gabinetto di Juncker, Martin Selmayr, a cui fu intimato di non immischiarsi nella gestione del terzo salvataggio greco.

Quanto all’austerità, in diversi discorsi sin dal suo insediamento come presidente della Commissione, Juncker ha avuto un atteggiamento critico. Alla prova dei fatti, la sua Commissione si è mossa per allentare lo sforzo di consolidamento di bilancio di diversi paesi. Nel 2015 l’esecutivo Juncker ha introdotto una comunicazione sulla flessibilità che ha permesso all’Italia di beneficiare di oltre 30 miliardi di margine di manovra aggiuntiva.

Negli anni successivi la Commissione si è rifiutata di sanzionare la Francia con un deficit superiore al 3% e di multare Spagna e Portogallo (in realtà ha imposto una multa di zero euro) per gli sforzi insufficienti rispetto a quanto previsto dal Patto di Stabilità e Crescita. La Commissione Juncker si è attirata le critiche di diversi governi e dell’European Fiscal Board (l’organismo indipendente che valuta l’applicazione del Patto di Stabilità) per aver concesso troppa flessibilità agli Stati membri e non aver fatto rispettare le regole in modo più rigido.

Il rimpianto per l’austerità “avventata”

Il discorso di Juncker all’Europarlamento a Strasburgo è stato pronunciato in occasione dei 20 anni dell’euro davanti a altre istituzioni e personalità più rigide durante la crisi. “Ero presidente dell’Eurogruppo nel momento della più grave crisi economica e finanziaria”, ha ricordato Juncker. “Sì, c’è stata dell’austerità avventata”, ha ammesso il presidente della Commissione. Tuttavia “non perché abbiamo voluto punire quelli che lavorano o sono in disoccupazione, ma perché le riforme strutturali, indipendentemente dal regime monetario in cui ci troviamo restano essenziali”, ha spiegato Juncker, prima di affrontare i suoi rapporti con il Fondo Monetario Internazionale.

“Rimpiango il fatto che abbiamo data troppa importanza all’influenza del Fmi. Eravamo in diversi al momento dell’inizio della crisi a pensare che l’Europa avesse abbastanza muscoli per resistere senza l’influenza del Fmi”, ha detto Juncker, prima di passare alla Grecia. “Ho sempre deplorato questa mancanza di solidarietà che apparsa al momento di quella che è stata chiamata la crisi greca”, ha detto il presidente della Commissione. “Siamo stati insufficientemente solidali con la Grecia. Abbiamo insultato e coperto di invettive la Grecia” ma “mi rallegro del fatto di vedere la Grecia, il Portogallo e altri paesi aver ritrovato, non dico un posto al sole, ma tra le vecchie democrazie europee”. E’ stato un mea culpa? A molti nella plenaria di Strasburgo è apparso come un modo per Juncker di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e puntare il dito contro quelli che non lo avevano ascoltato.

Agi

Come vanno le cose all’Ilva due mesi e mezzo dopo l’arrivo degli indiani

In due giorni, con altrettante mosse, Arcelor Mittal ha disinnescato due “mine” che rischiavano di creare qualche intralcio al cammino della nuova società che dall’1 novembre sta gestendo gli impianti già gruppo Ilva.

La prima riguarda l’aver ottenuto la revoca dello sciopero che Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb avevano indetto per lunedì prossimo, a partire dalle 7, per 24 ore. E sarebbe stato il primo sciopero per un’azienda da poco subentrata alla guida della più grande acciaieria europea. 

La seconda consiste nell’aver frenato il disagio economico, e le relative proteste, di quanti ieri mattina intorno a mezzogiorno, visualizzando il cedolino della retribuzione di dicembre, accreditata oggi sul conto corrente, hanno trovato un’amara sorpresa: la busta paga dell’ultimo mese dell’anno era decisamente più leggera rispetto a quella di mesi precedenti, colpa dei conguagli fiscali ma, soprattutto, delle addizionali locali, regionale e comunale.

Lo sciopero disinnescato

Lo sciopero di lunedì 14 gennaio era stato proclamato contro la polifunzionalità. Ovvero contro la decisione di Arcelor Mittal di trasferire temporaneamente, previa formazione professionale, un gruppo di lavoratori (una cinquantina dice l’azienda) all’interno della fabbrica, tra le manutenzioni e l’acciaieria, che è poi, quest’ultima, l’area dove gli stessi operano.

I sindacati sono insorti: Arcelor Mittal non può fare questo unilateralmente. Se c’è un problema, una fermata di impianti o un rallentamento di produzione, ne parliamo insieme e insieme troviamo una soluzione condivisa. Oltretutto, avevano detto i sindacati, Arcelor Mittal si ricordi che non ha ancora centrato i numeri relativi alle assunzioni così come previste dall’accordo al Mise: 10.700 assunti da Ilva in amministrazione straordinaria.

La trattativa con l’azienda ha appianato i contrasti. La polifunzionalità chiesta da Arcelor Mittal a fronte di casi specifici anche per non tenere il personale inattivo, resta sul tavolo ma farà parte, da ora in poi, di una procedura concordata e condivisa. Obiettivo delle parti, “poter approdare, sulla scorta di quanto realizzato è verificato, ad una specifica intesa sulla materia”.

Lo strappo tra i sindacati e con l'azienda

Nel frattempo, Arcelor Mittal ha confermato il target dei 10.700 assunti totali. Lo sciopero lunedì 14 gennaio non si farà, quindi, ma è strappo tra le sigle metalmeccaniche e tra l’azienda e l’Usb. Questo sindacato non ha accettato l’accordo, denuncerà l’azienda alla Magistratura per comportamento antisindacale e dichiara che “se Arcelor Mittal pensa che il lavoratore Ilva può ricoprire qualsiasi ruolo e mansione, non solo sminuisce la professionalità del lavoratore ma, cosa più importante, non facilità il reintegro dei lavoratori non assunti”.

Per le addizionali e le tasse che hanno falcidiato la busta paga, invece, i sindacati erano in allarme già da qualche giorno tant’è che avevano chiesto ad Ilva in amministrazione straordinaria – in quanto con dicembre ha erogato l’ultima busta paga, mentre da gennaio la competenza è tutta del nuovo gestore – di effettuare una rateizzazione. Ma la richiesta non si è rivelata possibile per due ragioni.

La prima normativa: una norma prevede che le imposte locali si paghino nell’anno successivo alla maturazione e l’Agenzia delle Entrate  prescrive che il datore di lavoro trattenga le imposte nell’ultimo stipendio in modo che possa subito versarle all’Agenzia delle Entrate. L’altra è oggettiva: nel gruppo si è nel pieno della transizione tra Ilva in amministrazione straordinaria e Arcelor Mittal, che dall’1 gennaio, finiti i due mesi di distacco dall’as, ha assunto il personale che aveva selezionato a fine ottobre.

La questione con il fisco

La soluzione trovata dall’azienda, e proposta ai sindacati, è quindi quella di offrire un anticipo di 500 euro a valere sulla busta paga di gennaio in pagamento il 12 febbraio, la prima dell’era Mittal. L’anticipo sarà fatto su richiesta individuale, riguarderà coloro che hanno percepito oggi meno di 800 euro, e avverrà con un bonifico successivo.

La richiesta dell’anticipo va fatta ad Arcelor Mittal attraverso gli uffici del personale presenti in ogni area dello stabilimento. Chi riceverà l’anticipo di 500 euro se lo vedrà poi detratto nella busta paga di gennaio. Ma quella retribuzione, pur con 500 euro in meno, non avrà – al contrario di quella presa oggi – l’aggravio delle tasse di fine anno e quindi la decurtazione sarà tutto sommato più sostenibile.

Appianati i primi ostacoli di inizio d’anno, Arcelor Mittal può quindi affrontare la partenza del 2019. A giorni è in arrivo a Taranto il primo carico di semilavorati dallo stabilimento francese di Fos. L’aiuto esterno serve a sostenere la produzione del siderurgico, oggi bassa (meno di 5 milioni di tonnellate annue) e al di sotto delle potenzialità dello stabilimento per i vincoli ambientali, in modo che possa “viaggiare” su 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno. Che sono anche la soglia fissata dall’Autorizzazione integrata ambientale sin quando non si completa la bonifica. 

Agi News

Cos’è il Target 2, la bomba ad orologeria che può far saltare l’euro

Immaginate di voler ordinare un'auto dalla Germania e di chiedere un prestito – poniamo di 20 mila euro – per acquistarla alla vostra banca. Una somma che verserete sul conto del vostro fornitore, su una banca tedesca. Per voi è un semplice bonifico ma il meccanismo è ben più complesso. Entra qua in gioco un sistema misconosciuto che è però tra le architravi del funzionamento della moneta unica. Stiamo parlano della piattaforma di compensazione Target2, introdotta nel 2007, che consente il regolamento dei pagamenti interbancari tra le varie banche dell'unione monetaria, ovvero i flussi di denaro da un Paese dell'Eurozona all'altro.

  • Come funziona?

Per sintetizzare al massimo, dal momento che le banche nazionali fungono da "prestatori" per le banche commerciali, la vostra banca – che prestandovi quei soldi ha "creato" moneta – si ritroverà così con un saldo negativo di 20 mila euro nei confronti della Banca d'Italia. Viceversa, una volta incassato il bonifico, la banca tedesca del vostro fornitore avrà un saldo attivo di 20 mila euro nei confronti della Bundesbank. A sua volta, la Banca d'Italia avrà un saldo negativo di 20 mila euro nei confronti del sistema Target 2 (ovvero della Banca Centrale Europea) e la Bundesbank uno attivo dello stesso importo. Di fatto, questi trasferimenti fanno sì che, a operazione conclusa, il vostro debito privato nei confronti della vostra banca si trasformi in un debito della Banca d'Italia nei confronti della Bundesbank, nonché un passivo nella bilancia dei pagamenti italiana compensato da un attivo in quella tedesca.

  • Come si estingue un simile passivo?

Solo attraverso un'altra operazione bancaria privata, ovvero, ad esempio, un cittadino tedesco che acquista beni per 20 mila euro da una ditta italiana spostando quella somma da un conto presso una banca tedesca a uno presso una banca italiana. 

  • E che succede se non restituisco i soldi alla mia banca?

Bankitalia avrà, di fatto, un passivo permanente verso la Bundesbank. Sapendo di poter "scaricare" il debito sulle banche centrali, le banche commerciali sono spinte (o almeno erano, prima dell'introduzione del bail-in) a offrire crediti con più disinvoltura, anche a operatori che difficilmente potrebbero ripagarli.

  • Perché ci sono degli squilibri?

Non tanto per i flussi commerciali (l'Italia è un esportatore netto) ma per le fughe di capitale. Il sistema Target 2 fu infatti introdotto alla vigilia della crisi finanziaria. Negli anni successivi, molti operatori spostarono beni dalle banche dei Paesi considerati più fragili (come l'Italia o la Spagna) a quelle dei Paesi finanziariamente più solidi, come la Germania o l'Olanda. Tale fenomeno ha avuto un'accelerazione dal gennaio 2015 con l'avvio del 'quantitative easing', ovvero il piano di allentamento monetario con il quale la Bce ha prestato liquidità alle banche nazionali per acquistare titoli di Stato dei rispettivi governi.

  • Cosa c'entra ora il quantitative easing?

"Quando la Banca d'Italia compra i succitati Btp da una banca tedesca le risorse sono state trasferite direttamente in Germania senza passare per l'Italia; quando la Banca d'Italia compra i Btpda banche, imprese e privati italiani, la liquidità immessa è reinvestita dal settore privato non finanziario in fondi ed azioni estere", spiegò Andrea Del Monaco sull'Huffington Post, "prima, con le operazioni Ltro (Long Term, la Bce presta i soldi alle banche italiane affinché acquistino Btp dalle banche tedesche. Poi, tramite il quantitative easing, la Bce presta i soldi alla Banca d'Italia affinché compri dalle banche italiane gli stessi Btp prima rastrellati dalla banche tedesche. Qual è l'esito? La negazione della condivisione del rischio, ovvero la sua nazionalizzazione: i titoli di debito sovrano, prima acquistati dalle banche private, ora sono depositati negli attivi delle Banche centrali nazionali".

E, nel frattempo, la forbice tra i Paesi che vantano debiti nei confronti di Target 2 e quelli che vantano crediti, in virtù di questo meccanismo che agevola il trasferimento di attivi verso i sistemi bancari considerati più sicuri, si è allargata: lo scorso aprile la Bundesbank aveva un attivo verso il Target 2 di 923 miliardi di euro, il più alto di tutti. Il saldo negativo maggiore spettava invece all'Italia: 442 miliardi di euro. 

La Germania si pone il problema dell'uscita dall'euro

Cosa succederebbe se un Paese decidesse di uscire dall'euro? Bisognerebbe chiudere i saldi nei confronti di Target 2, avvertì il presidente della Bce, Mario Draghi, nel gennaio 2017. Per questo ha ragione il ministro agli Affari Europei, Paolo Savona, quando afferma che sarebbe irresponsabile se un Paese non avesse un 'piano B' in caso di smantellamento dell'Eurozona. Una tesi condivisa da alcuni dei più illustri economisti tedeschi, a partire da Clemens Fuest, il l presidente del prestigioso istituto di ricerca tedesco Ifo, che – lo scorso 19 marzo – in un'intervista al Corriere della Sera, spiegava che una clausola di uscita deve essere stabilita, alludendo alla possibilità che, con il nuovo governo sovranista, l'Italia possa minacciare l'unione monetaria.

In realtà i tedeschi non temono tanto che Roma decida di far saltare in banco, ma intendono preparasi piuttosto a un'eventuale uscita della Germania da una moneta unica ritenuta non più sostenibile, anche in virtù degli squilibri creati dal sistema Target 2 (squilibri che, ha argomentato lo stesso Draghi, dovrebbero però ridursi con la fine del 'Qe'). Lo scorso marzo economisti vicini alla cancelliera Angela Merkel – quali Cristoph Schmidt, Hans Werner Sinn e Karl Konrad – hanno pubblicato uno studio nel quale si menzionava esplicitamente la necessità di avere un piano per l'uscita dall'euro. Che garantisca alla Germania di recuperare tutti quei soldi, si capisce. Con buona pace dell'ex consigliere esecutivo della Bce Jurgen Stark, anch'egli tedesco, il quale affermò che i saldi del Target 2 sono meri valori statistici e sostenere il contrario è indegno di un economista serio. 

Le risposte di David Blake

Abbiamo approfondito la questione con il professor David Blake della City University of London, autore di un recente studio secondo il quale il Target 2 è un vero e proprio "sistema di salvataggio occulto" che ha finora tenuto insieme la moneta unica ma, ora che è entrato nel dibattito politico tedesco, sta finendo per minacciarne l'esistenza, a meno che non si vada verso una reale integrazione economica, ovvero quello che Berlino non ha mai voluto.

Professor Blake, la Germania ha sempre rifiutato l'emissione di titoli di Stato comuni europei (Eurobond). Il suo studio spiega come il Target 2 funzioni di fatto come uno strumento di mutualizzazione del debito. È quindi un modo per tenere l'euro a galla minimizzando i costi politici, dato che quasi nessun cittadino sa cosa di tratti?

"Il Target 2 assolve tre funzioni chiave, oltre a quella originale di essere un semplice sistema di pagamenti transfrontalieri per la regolazione delle transazioni in euro che coinvolgono le banche centrali. In primo luogo, tiene l'euro a galla in quanto spalma squilibri commerciali che altrimenti richiederebbero la vendita di beni nazionali dei Paesi in deficit ai Paesi in surplus, considerato che questi squilibri non possono più essere rimossi da aggiustamenti dei tassi di cambio che riducano i prezzi internazionali delle esportazioni dai Paesi in deficit e li aumentino in quelli in surplus. Nel caso della Grecia, la situazione si deteriorò a un punto tale che a società pubblica di telecomunicazioni e quattordici aeroporti regionali furono venduti alla Germania". 

"In secondo luogo, aiuta a mantenere stabile il sistema bancario europeo facilitando le fughe di capitale dal Sud al Nord Europa, evitando le corse a ritirare i fondi che avverrebbero se la fiducia nelle banche degli Stati meridionali crollasse all'improvviso, come è avvenuto con la crisi finanziaria globale del 2007-2008 e, in seguito, nel 2011. In terzo luogo, mantiene l'illusione che i membri dell'Eurozona siano Stati sovrani che abbiano volontariamente concordato di "condividere" un po' di sovranità".

"In altre parole, il Target 2 è diventato il fattore di pressione che impedisce all'Eurozona di implodere. Ma ciò non può andare avanti all'infinito, per via delle sue contraddizioni interne. Sono piuttosto sicuro che i leader tedeschi non acconsentiranno mai alla "unione dei trasferimenti" formale che sorgerebbe dalla cancellazione dei debiti del Target 2. Quindi, presto o tardi, accadrà una di queste due cose. O i contribuenti tedeschi si renderanno conto che i loro crediti Target 2 sono senza valore a meno che non vengano usati per acquistare beni immobili in Paesi in deficit, ovvero l'unico modo realistico in cui i debiti Target 2, vista la loro mole, possono essere onorati da Italia e Spagna. Oppure i cittadini italiani e spagnoli obietteranno alla vendita delle loro infrastrutture nazionali alla Germania. Il tempo dirà cosa accadrà prima, ma la mia idea è che la signora Merkel al momento sia così impopolare in Germania che possa tutto iniziare lì". 

Il Target 2 sposta anche un carico fiscale dal settore privato ai contribuenti (ove la banca centrale non abbia azionisti privati come in Italia, nda). Ciò è incoerente, ad esempio, con il sistema di bail-in per la risoluzione delle banche. Come si spiega questa incoerenza? La Ue sta cercando di evitare soluzioni che risultino troppo esplicite agli occhi dei contribuenti nordeuropei?

"Il vero problema di fondo è che l'intero "progetto europeo" è diventato troppo complesso perché chiunque capisca cosa sta succedendo. Si aggiunga che il progetto è architettato da burocrati di Bruxelles che vedono il loro ruolo come l'aggiustamento di parti differenti del sistema quando le cose vanno male. Sono assorbiti dal dettaglio e nessuno guarda al quadro generale. Il risultato è un sistema pieno di incoerenze. Ma ciò dà agli eurocrati un'altra possibilità di sognare nuovi meccanismi o sistemi di affrontarli, che vengono anche usati come nuove opportunità per concentrare più potere a Bruxelles. Non dovremmo mai scordare che è questo il vero significato di una "unione più stretta".  

"A voler essere onesti con gli architetti dell'Eurozona, il Target 2 fu studiato nel 1999 per essere un semplice sistema di pagamenti transfrontalieri, prevedendo che i flussi netti tra Stati membri si equilibrassero ogni pochi mesi. E ciò è quello che è successo all'inizio. Poi, con la crisi finanziaria, le cose iniziarono ad andare male in maniere che non potevano essere previsti dagli iniziali ideatori del Target 2, i quali anche ora ritengono non vi sia nulla di sbagliato, dicono che sta funzionando come previsto Ma ciò è vero solo finché i debiti del Target 2 sono utilizzati a scopo contabile come debiti sovrani a rischio zero che non dovranno mai essere rimborsati".

"In seguito alla crisi del debito sovrano iniziata nel 2011, anche gli eurocrati si sono resi conto che il target 2 stava venendo sfruttato da banche, aziende e individui ricchi. Nel tentativo di affrontare l'azzardo morale di banche che offrono prestiti facili a compagnie ad alto rischio insolvenza scaricando poi il rischio tramite il Target 2, hanno introdotto il sistema di bail-in per la risoluzione delle banche. Ciò non è incoerente solo con il Target 2, i governi possono facilmente aggirare il bail-in, come accaduto con Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza nel giugno 2017. Non vi fu ricorso alla direttiva sul bail-in, che avrebbe coinvolto le obbligazioni senior e i depositi non garantiti e comportato lo smantellamento delle banche in procedure di insolvenza a livello nazionale. La decisione di non ricorrere al bail-in fu presa sulla base del fatto che non sarebbe stata nel pubblico interesse. La direttiva fu disapplicata dal Comitato di Risoluzione Unico argomentando che "nessuna delle banche assolve a funzioni critiche e il loro fallimento non si prevede abbia un significativo impatto avverso sulla stabilità finanziaria". E, di conseguenza, è stata applicata la legge nazionale italiana, che non prevedeva l'applicazione del bail-in ad almeno l'8% del passivo".

"Quindi non è tanto la Ue che sta cercando di evitare soluzioni troppo esplicite agli occhi dei contribuenti nordeuropei. È più che gli eurocrati amano tutta questa complessità aggiuntiva, giacché consente loro di guadagnare più potere. Sono sicuro che siano sinceramente convinti che ciò che stanno facendo sia nell'interesse di lungo termine di tutti i cittadini Ue ma sistemi troppo complessi alla fine collassano inevitabilmente e ciò non è nell'interesse di alcun cittadino europeo". 

Un'altra incoerenza è il disincentivo che il Target 2 rappresenta per le riforme strutturali nei Paesi più inefficienti, ovvero ciò di cui l'ex ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, e il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, hanno sempre accusato la politica monetaria di Draghi. Sembra che il Target 2 faccia tutto quello di cui l'Eurozona ha bisogno per sopravvivere ma che le autorità tedesche non possono far sapere agli elettori. C'è stata quindi una logica politica riguardo la "congiura del silenzio" sul Target 2, diventato solo ora argomento di discussione in Germania?

"Questa è probabilmente la maggiore singola debolezza del progetto dell'Euro: la convinzione che gli inefficienti Stati meridionali sarebbero diventati alla fine efficienti quanto la Germania. Non essendo più in grado di svalutare per rendere le loro esportazioni più competitive, essi sarebbero stati costretti ad aumentare la loro produttività investendo in capitale fisico e umano. Ma ciò non è avvenuto". 

"Gli Stati del Sud, come il Portogallo, hanno aumentato i salari del 30% nel confronto con la Germania e non c'è stato un aumento proporzionale della produttività. Inizialmente tutti in Portogallo pensavano che l'Eurozona fosse un 'albero magico dei soldi'. Ma il risultato inevitabile è stato un enorme aumento della disoccupazione in Portogallo, soprattutto tra i giovani, molti dei quali si sono trasferiti in altre parti dell'Ue, o addirittura in Brasile per cercare lavoro. E ora che l'economia brasiliana è in difficoltà, gli emigrati portoghesi devono tornare a casa, con poche possibilità di trovare un lavoro. Ma resta il fatto che i ministri delle Finanze tedeschi continuano ad aspettarsi che il resto dell'Eurozona raggiunga i livelli di produttività della Germania. E questa è un'altra incoerenza con la realtà dei fatti".

Colpisce davvero come l'Eurozona non fosse attrezzata per affrontare la crisi del debito. Ciò rafforza la sua idea che la crisi sia stata provocata per accelerare l'integrazione? Sembra che la profezia di Milton Friedman, secondo il quale un euro senza gli adeguati meccanismi di compensazione avrebbe causato la fine della Ue, sia rimasta inascoltata.

"Il Target 2 non fa che nascondere il fatto che l'Eurozona non è e non potrà mai essere un'Area Valutaria Ottimale e Milton Friedman lo sapeva sin dall'inizio. Disse che l'euro avrebbe funzionato, ma solo fino alla prima crisi. Ed è venuto fuori che aveva ragione".

"Ciò però non preoccupa quelli di Bruxelles. Loro credono che ci possa volere un secolo o più perché l'Eurozona diventi una vera Area Valutaria Ottimale, così come ci volle un secolo perché il dollaro fosse accettato da tutti gli Stati degli Usa. E non importa quante crisi ci vogliano perché ciò accada. Jean Monnet, uno dei padri fondatori della Ue, riteneva davvero che le crisi avrebbero aiutato ad accelerare il processo: 'Ho sempre ritenuto che l'Europa sarebbe stata costruita attraverso le crisi e che sarebbe stata la somma delle loro soluzioni. Ma le soluzioni devono essere proposte e applicate'. Monnet riteneva che le crisi economiche avrebbero dovuto essere benvenute come opportunità per portare gli Stati Europei ad avvicinarsi, cedere sovranità e muoversi per gradi verso un'Europa federale. Scrisse a un amico nel 1952: 'Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso il Superstato senza che i loro popoli capiscano cosa stia accadendo. Ciò può essere ottenuto con tappe successive, ognuna camuffata come necessaria a un obiettivo economico, che portino però – alla fine e in modo irreversibile – a una federazione'. Con approcci simili, chi mai ascolterà Milton Friedman?".

Perché la Bce ha apparentemente ignorato per tanto tempo la vera natura del Target 2? Sembra che non fosse mai stato discusso perché sarebbe stato tabù affrontare le sue reali implicazioni.

"Il modo più generoso di vederla è ritenere che le persone nominate alla guida della Bce semplicemente non accettassero che ci fosse qualcosa di sbagliato nell'Eurozona o nel Target 2. Tutto sta funzionando come previsto. I debiti del Target 2 sono a rischio zero finché ogni Stato rimane nell'Eurozona, quindi dov'è il problema? L'Eurozona e la Ue stessa hanno assunto lo stato di una fede religiosa, e quindi sono entrambi senza difetti e immuni alla critica". 

La crescita dei partiti nazionalisti rende una "unione ancora più stretta" improbabile nel breve termine. Crede che sia razionale discutere una maniera per consentire agli Stati di uscire dall'euro o gli squilibri del Target 2 rendono un simile scenario ancora più improbabile?

"La crescita dei partiti nazionalisti e populisti sta evidentemente preoccupando Bruxelles. Ma, come ha scoperto la Grecia, gli architetti dell'Eurozona hanno assicurato in modo efficace che un membro in deficit non possa lasciare l'Eurozona senza pagare appieno i suoi debiti Target 2, non può semplicemente andarsene. Se ci provasse, gli sarebbe negato il credito dell'Emergency Liquidity Assistance della Bce e il suo sistema bancario si bloccherebbe subito".

"Inoltre i debiti dell'Eurozona sono denominati in euro, che diventerebbe una valuta straniera se un membro lasciasse. Ogni nuova valuta che il Paese introducesse all'inizio si svaluterebbe in modo significativo, aumentando ulteriormente il valore interno dei debiti nei confronti degli altri membri dell'Eurozona. Anche con l'elezione di un partito di sinistra radicale come Syriza, la Grecia non ha lasciato l'Eurozona. Quando Alexis Tsipras si ritrovò faccia a faccia con Jean-Claude Juncker, cedette per primo, nonostante il suo Paese abbia perso un quarto del suo Pil a causa della sua disastrosa partecipazione all'Eurozona. Yanis Varoufakis, l'ex ministro delle Finanze del governo di Syrizia, aveva avvertito per mesi che le autorità della Ue – e per esteso dell'Eurozona – la ritengono come l'Hotel California, dove puoi fare il check out ma non puoi andartene mai".

"L'unica discussione razionale dovrebbe quindi arrivare da un Paese con un grosso surplus, come la Germania, che dovrebbe riconoscere che l'Eurozona, con i suoi tassi di cambio fissi, non sta funzionando e che occorre introdurre un sistema più flessibile. Joseph Stiglitz, un altro Nobel per l'economia, è abbastanza ottimista da ritenere che un'euro flessibile, come uno del Nord e uno del Sud, possa salvare il progetto della moneta unica. Ma non riesco a immaginare che questa discussione avvenga per due motivi: in primo luogo il 'progetto europeo' è il cuore esistenziale della Germania postbellica; in secondo luogo i burocrati di Bruxelles sono molto pazienti e non consentiranno a una 'piccola difficoltà locale', come Syriza o il Movimento 5 Stelle, di interrompere i loro piani di lungo periodo. C'è solo una direzione verso la quale andare una volta entrati nell'euro, ed è quella di un'unione sempre più stretta".

Nell'ipotesi di un Paese che vada in default sui debiti Target 2 dopo essere uscito dall'euro, il debito non pagato alla fine sarebbe accollato alla Bce o alle banche nazionali dei Paesi creditori?

"Ora, a dispetto di quanto ho detto in replica a una domanda precedente, è ovviamente possibile, per quanto molto improbabile, che uno Stato membro decida di fare come l'Argentina e semplicemente non pagare i debiti. Il debito non pagato ricadrebbe quindi sulle banche nazionali dei Paesi creditori in proporzione alla loro quota di capitale nella Bce".

Lei ritiene che ci siano solo due possibili sbocchi per l'Eurozona: un'unione politica o uno smantellamento. Per quanto tempo il Target 2 consentirà all'Europa di guadagnare tempo, ora che il 'Qe' sta terminando?

"Credo che il primo sbocco sia più probabile del secondo. In primo luogo, per l'esperienza della Brexit. Ogni volta che i ministri britannici si recano in una capitale per discutere le future relazioni commerciali con la Ue, vengono rediretti a Bruxelles; i leader nazionali hanno seguito le istruzioni di Michel Barnier e si sono rifiutati del tutto di trattare. Varoufakis ha raccontato che è esattamente ciò che è accaduto a lui quando ha cercato di spuntare un accordo migliore per la Grecia. Ciò indica non solo che gli Stati membri dell'Eurozona non hanno per conto loro il coraggio di lasciare l'Eurozona ma, cosa più importante, hanno consentito a Bruxelles di assumere il vero controllo della Ue. In secondo luogo, anche se un membro dell'Eurozona lasciasse l'unione monetaria, non gli sarebbe consentito di restare nella Ue. Quindi non riesco a vedere nessun Paese seguire il Regno Unito fuori dalla Ue".

"Ciò che credo avverrà e ciò che è accaduto alla Grecia. I debiti Target 2 dell'Italia e della Spagna nei confronti della Germania verranno ridotti una volta che la Germania rileverà loro beni nazionali per 900 miliardi. La gente potrà lamentarsi ma non ci sarà alternativa. E, mentre ciò accadrà, la politica fiscale sarà trasferita a Bruxelles e quella creditizia a Francoforte. Jean-Claude Juncker lo ha detto chiaro nel suo discorso sullo Stato dell'Unione: vuole una singola presidenza europea, una politica estera unitaria e un unico esercito entro il 2025. La mia idea è che avremo degli 'Stati Uniti d'Europa' tra il 2030 e il 2040. Al più tardi nel 2051, il centesimo anniversario della prima istituzione europea la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio. Questa traiettoria è ora irreversibile.

"Il risultato è però tutt'altro che stabile Degli Stati Uniti d'Europa stabili richiederanno trasferimenti fiscali dalle regioni in surplus a quelle in deficit come avviene in uno stato unitario, come il Regno Unito. Eppure la Germania continua a rifiutare di far parte di un'unione dei trasferimenti. Gli squilibri del Target 2 non andranno via. Cosa accadrà se non ci saranno più beni nazionali da comprare per le regioni in surplus? Senza trasferimenti fiscali, l'economia delle regioni in deficit sarà in uno stato di recessione permanente: per quanto i loro cittadini lo tollereranno? Cosa accadrà se nessuno dei nuovi 'meccanismi' e 'sistemi' progettati dagli eurocrati per provvedere a ciò funzionerà? Come ho detto prima, quasi tutti i sistemi troppo complessi alla fine collassano. Speriamo che questa volta vada diversamente". 

@CiccioRusso_Agi

 

Agi News

Cos’è il Quantitative Easing, lo stimolo all’economia che sta per finire

Il Quantitative Easing, abbreviato con Qe, è uno strumento non convenzionale di politica monetaria espansiva usato dalle banche centrali per stimolare la crescita economica, con lo scopo di orientare l'offerta di credito e i mercati finanziari. La Bce ha avviato il suo programma nel marzo 2015 e ha annunciato oggi che lo ridurrà a 15 miliardi a partire dal mese di ottobre per poi azzerarlo dal gennaio 2019. Inizia così la fase del tapering, vale a dire il rientro graduale degli stimoli.

Cos'è e a cosa serve

Il piano e' un programma di allentamento quantitativo, cioè è una delle modalità con cui la banca centrale immette liquidità nel sistema finanziario. In pratica, la Bce crea moneta a debito e lo fa attraverso iniezioni di liquidità, con operazioni di mercato aperto, tramite l'acquisto di titoli di Stato e di altre obbligazioni. Il programma ha come obiettivo far ripartire il credito delle banche all'economia reale e contrastare i rischi di deflazione, riportando il tasso di inflazione verso il target del 2%. 

I programmi di Quantitative Easing  

Nel corso di questi tre anni e mezzo ci sono stati quattro programmi di quantitative easing. Nel gennaio del 2015 la Bce ha approvato il suo primo Qe: il cosiddetto 'bazooka', che prevedeva acquisti mensili di 60 miliardi di euro al mese ed era diretto prevalentemente all'acquisto di titoli di Stato. Questo programma è durato fino al marzo del 2016, quando la Bce ha sorpreso i mercati, prendendo una raffica di storiche decisioni, tra cui quella di abbassare a quota zero il 'Refi, il tasso di rifinanziamento e di abbassare a -0,40% il tasso sui depositi, quello che le banche pagano agli istituti centrali per parcheggiare la loro liquidità.

Nella stessa occasione, fu ampliato da 60 a 80 miliardi di euro al mese l'ammontare degli acquisti mensili di titoli, estesi anche gli acquisti agli 'abs' e ai 'covered bond'. La Bce decise inoltre di lanciare un nuovo programma di Tltro, ovvero di prestiti alle banche a tasso agevolato condizionati alla fornitura di credito all'economia. A dicembre del 2016 eè scattata la terza fase del quantitative easing. Il direttivo della Bce ha esteso fino alla fine del 2017, "o oltre se necessario", il programma mensile di acquisti, che da aprile si è ridotto a 60 miliardi al mese. Gli acquisti sono stati estesi anche alle obbligazioni emesse da regioni ed enti locali. A marzo del 2017, la Bce ha confermato l'estensione a tutto il 2017 del Qe e la sua riduzione da aprile a 60 miliardi di euro di acquisti mensili. Infine, a ottobre dello scorso anno, ha dimezzato gli acquisti di titoli a partire dal gennaio 2018. Il Quantitative easing è dunque passato da 60 a 30 miliardi di acquisti mensili.

Anche qui ci sono dei paletti

Fin dal gennaio 2015 la Bce ha previsto due paletti per il Qe che si sono mantenuti e che riguardano la condivisione del rischio e i limiti sulle operazioni di acquisto. Innanzitutto, l'acquisto di titoli di Stato, fin dal gennaio 2015, viene effettuato, in concreto, dalle banche nazionali dei paesi dell'Eurozona. La Bce è pronta a condividere il peso di eventuali perdite con le banche centrali nazionali per il 20% dei titoli acquistati. Per il restante 80% non c'è quindi condivisione del rischio. Inoltre, le operazioni di acquisto previste dal 'quantitative easing' dell'Eurotower hanno due limiti. In primo luogo, non si può comprare più del 25% dei titoli messi in circolo con ogni emissione. In secondo luogo, non potrà essere acquistato piu' del 50% del debito pubblico di un singolo paese (questa quota inizialmente era del 33% ed è stata estesa a marzo del 2016).

Agi News

Cos’è lo spread e perché è un problema se si alza troppo. Una guida

La crisi politica italiana ha riacceso i riflettori sullo spread. E l’incarico di governo a Carlo Cottarelli non placa i timori dei mercati. Una preoccupazione che ha visto lo spread raggiungere quota 320 punti. Ma cos’è di preciso? Come funziona? E a cosa serve?

Cos’è?

In generale, il termine spread significa una differenza tra due tassi, che viene spesso misurata in punti base. Nel caso del mercato delle obbligazioni secondarie, dove viene scambiato il debito già emesso, è la differenza tra il tasso di rendimento del titolo decennale di un Paese (nel caso dell'Italia, il Btp) rispetto a quello tedesco decennale, il "Bund".

A cosa serve?

Il confronto offre una visione dell'atteggiamento degli investitori nei confronti di un paese rispetto ad un altro, in questo caso dell'Italia rispetto alla Germania. Lo spread consente cioè di misurare la fiducia degli operatori di mercato nelle attività di un Paese e il premio di rischio concesso per i titoli meno richiesti. 

Perché il Bund tedesco serve come riferimento?

Il tasso di finanziamento decennale della Germania serve da punto di riferimento perché è il "più grande mercato" nella zona euro. Ma soprattutto, è stato scelto perché la Germania viene percepita come il Paese più sicuro.

Come si muove lo spread

Lo spread si evolve in base ai movimenti di acquisto e di vendita di attività sul mercato delle obbligazioni secondarie. Quando molti investitori vendono le azioni di un Paese, il suo prezzo diminuisce, il che automaticamente aumenta il suo tasso di rendimento. Se, allo stesso tempo, vi è poco movimento, o se c'è poco da vendere (e quindi gli investitori hanno fiducia), il differenziale rimarrà stabile o diminuirà.

 Cosa succede se lo spread si impenna

Se i timori sulla stabilità di un Paese aumentano, come ora nel caso dell'Italia, ciò significa che le sue obbligazioni sono vendute più sul mercato secondario rispetto a quelle del Paese di riferimento, il che abbassa il loro prezzo e aumenta il tasso di rendimento. Tuttavia, per emettere nuove obbligazioni, il Paese dovrà adeguarsi al tasso di rendimento del mercato secondario. L'aumento dello spread ha quindi "conseguenze di bilancio dal momento che le prossime emissioni obbligazionarie del Paese interessato gli costeranno automaticamente di più come tassi di interesse. 

Se il tasso di rendimento si innalza

Se raggiunge livelli molto elevati, questo significa che il prezzo delle obbligazioni esistenti è stato così svalutato che nessuno le compra e il governo non può quasi più emettere obbligazioni per finanziare gli acquisti.

L'andamento dello spread dal 2011 a oggi 

Il largo pubblico ignorava questa parola prima del 2011, cioè prima che la crisi finanziaria globale, con la crisi greca, colpisse l'Europa e più in particolare i paesi più indebitati, definiti 'periferici', come l'Italia e la Spagna. I livelli di spread si equivalevano. Poi hanno iniziato a differenziarsi e questo 'differenziale' ci ha fortemente penalizzato. Dal record del 9 novembre 2011 quando toccò quota 574 punti base con il rendimento del Btp decennale al 7,47%, e che portò alle dimissioni dell'allora governo Berlusconi, ad oggi. Ecco le principali tappe dell'andamento dello spread. 

2011

  • Luglio: sale oltre i 100 punti. 
  • Agosto: sale oltre 200 punti. 
  • 9 novembre: segna il livello record di 574 punti, con il tasso del Btp al 7,47% (governo Berlusconi). 
  • 16 novembre: 530 punti (passaggio da Berlusconi e Monti). 
  • 30 novembre: scende a 474 punti. 
  • 1 dicembre: va a 447 punti
  • 19 dicembre: risale sopra 500 punti (timori per il rating della Francia)

2012

  • 23 gennaio: a 400 punti (soluzione in vista per la Grecia). 
  • 8 marzo: sotto 300 punti (ristrutturazione del debito greco). 
  • 12 giugno: a 490 punti (crisi delle banche spagnole). 
  • 13 luglio: a 479 punti (downrating di Moody's sull'Italia). 
  • 20 luglio: sopra 500 punti (venerdì nero, paura contagio di Italia e Spagna)

2013

  • 2 gennaio: a 287 punti, minimo dal 2011. 
  • 29 aprile: a 270 punti (debutto del governo Letta). 
  • 20 agosto: a 251 punti. 
  • 22 ottobre: 233 punti. 
  • 31 dicembre: a 215 punti

2014

  • 3 gennaio: spread a 198 punti, sotto quota 200 per la prima volta da luglio 2011. 
  • 3 febbraio: 210 punti. 
  • 14 febbraio: 204 punti. 
  • 21 febbraio: scende a 194 punti (nascita del governo Renzi). 
  • 24 settembre: a 129 punti, minimo da inizio crisi

2015

  • Gennaio: sotto 100 punti. 
  • Luglio: a 164 punti. 
  • Dicembre: a 99 punti 

2016

  • 18 gennaio: a 110 punti 4 febbraio: a 122 punti. 
  • 9 febbraio: risale a 154 punti (rallentamento dell'economia mondiale). 
  • 24 giugno: sale a 177 punti (Sì alla Brexit). 
  • 20 luglio: scende a 125 punti. 
  • 12 agosto: 115 punti. 
  •  2 novembre: sale a 162 punti (per timori sull'esito del referendum costituzionale in Italia). 
  • 14 novembre: sale 180 punti (ancora timori sul referendum). 
  •  28 novembre: sale a 192 punti, top da maggio 2014. 
  •  29 novembre: scende a 180 punti (voci di intervento Bce in caso di vittoria del No). 
  •  5 dicembre: a 167 punti (vittoria del No al referendum e le dimissioni Renzi). 
  •  14 dicembre: scende a 148 punti (fiducia al governo Gentiloni). 
  •  23 dicembre: a 160 punti (timori per Mps e decreto salva-risparmio).

2017

  • 5 gennaio: sale a 178 punti (per timori su banche italiane). 
  • 26 gennaio: sale a 174 punti (timori di voto anticipato dopo la sentenza della Consulta sull'Italicum). 
  • 30 gennaio: sale a 184 punti, top dal 2015 (timori di voto anticipato e contenzioso con Bruxelles sulla manovra aggiuntiva). 
  • 31 gennaio: 188 punti, al top da novembre (voto anticipato e contenzioso Bruxelles). 
  • 6 febbraio: vola a 202 punti, top da febbraio 2104 (voto anticipato, contenzioso con Bruxelles ed effetto 'Frexit', dopo le minacce di Marine Le Pen). 
  • 7 febbraio: a 200 punti. 
  • 22 febbraio: a 199 punti (paura per Le Pen, forte calo del tasso sui Bund considerati beni rifugio). 
  • 12 aprile: a 211 punti, top da gennaio 2014, per incertezze sul voto francese e crisi geopolitiche in Siria e Nord Corea. 
  • 9 giugno: spread scende a 182 punti (mancato accordo sulla riforma elettorale e voto anticipato più lontano). 
  • 22 giugno: scende a 160 punti, minimo da gennaio (vittoria di Macron e fine rischio voto anticipato in Italia). 
  • ottobre 2017: spread a 175 punti (effetto Catalogna)

2018

  • 7 febbraio: scende a 119 punti (accordo di coalizione in Germania, si prevede un'Austerity più morbida)
  • 8 maggio: risale sopra 130 punti per incertezze politiche (timori di voto anticipato a luglio)
  • 18 maggio: sfonda quota 160 punti per timori che il nuovo governo non rispetti gli impegni Ue. 
  • 21 maggio: sfonda quota 180 punti
  • 23 maggio: sfonda quota 190 punti
  • 25 maggio: sfonda quota 200 punti. Nel corso della giornata supera i 207 punti base.
  • 28 maggio: la crisi politica e l’incertezza sulla durata del governo Cottarelli alimentano le preoccupazioni dei mercati. Lo spread tocca i 230 punti in giornata e chiude a 235.
  • 29 maggio: sfonda il muro dei 320 punti, tornando ai livelli di primavera 2013, salvo poi ripiegare fino a quota 277.

 

 

Agi News

Un anno fa in Finlandia è stato introdotto il reddito di cittadinanza. Cos’è e come sta andando

Ad introdurre il reddito di base in Finlandia nel 2017, primo caso in Europa, è stato un governo di centro-destra. Ma il 'Partito di centro finlandese', liberale e piuttosto attento ai temi del rigore dei conti, non voleva spendere ulteriori soldi in favore di una misura di assistenzialismo statale. Semmai il contrario: dimostrare, attraverso un esperimento sociale di due anni, che avrebbe indotto i duemila selezionati, tutti disoccupati tra i 25 e i 58 anni, a cercarsi un lavoro una volta resi liberi dal rischio di perdere il sussidio statale di disoccupazione.

Così, a dicembre del 2016, a duemila finlandesi è arrivata una lettera da parte del governo: dal prossimo mese vi daremo 560 euro al mese, direttamente sul vostro conto corrente, fatene quello che volete, non avrete più il sussidio di disoccupazione, ma nemmeno telefonate da parte dei centri per l’impiego che vi proporranno lavori che se accettate vi farebbero perdere il sussidio, e se vi trovate un lavoro meglio per voi perché nessuno vi toglierà i 560 euro, li incasserete comunque.

Insomma, tenersi quei 560 euro comunque, anche se si trova un lavoro, dovrebbe indurre le persone a cercarselo, o a crearselo. Dando un colpo definitivo al welfare, dimostrandone l’inutilità.

L’esperimento è un caso che ha destato la curiosità in tutta Europa, ma non solo. Ha suscitato l’entusiasmo di Bill Gates (Microsoft), Mark Zuckerberg (Facebook) e Elon Musk (Tesla, SpaceX), che strizzato l’occhio all’iniziativa del governo di Helsinki. In Silicon Valley i campioni della digital economy sono da tempo favorevoli a quello che alcuni vogliono sotto forma di reddito di cittadinanza, altri reddito base universale. Uno dei pionieri ‘teorici’ in California fu Paul Graham, il filosofo delle startup, che ha condotto con i soldi propri un esperimento nel suo Stato. Il motivo è semplice: per molti è uno strumento, forse l’unico strumento per cercare di arginare le disuguaglianze che le nuove tecnologie stanno creando nella società occidentale. Il vaccino del 21esimo secolo.

Reddito di cittadinanza: "il vaccino del 21esimo secolo"

Ecco perché l’esperimento finlandese ha suscitato tanto entusiasmo: per molti potrebbe contribuire a cambiare la politica e i valori dell’occidente. Allo stato finlandese questo esperimento costerà circa 20 milioni. Ma se dovesse essere esteso su scala nazionale costerebbe circa 10 miliardi, e, secondo le stime, far aumentare deficit sul prodotto interno lordo del 5 percento.

I risultati dell’esperimento finlandese saranno pubblicati solo alla fine del 2018, quando il governo tirerà le somme e darà i dati e la posizione lavorativa dei beneficiari del reddito. Il New York Times intanto ha un po' tirato le orecchie al progetto lo scorso luglio: il reddito di cittadinanza dovrebbe essere esteso a tutti i cittadini per essere tale, e per capire se il progetto funziona si dovrebbe allargarlo a tutti, o estenderlo a tutte le categorie di cittadini, non solo i disoccupati.

Ora, il governo questioni di privacy, ma anche per evitare che vengano raccolti dati nel frattempo, ha tenuto segreti i nomi dei disoccupati che l’hanno ottenuto. Ma in rete si possono trovare diverse interviste di persone che raccontano la loro esperienza, e diverse video interviste che permettono di farsi un'idea.

Due casi di persone che in Finlandia ricevono il reddito di cittadinanza

Due in particolare risultano piuttosto significative. Jarvinen è stato intervistato da Vice. Vive in una delle classiche casette rosse col tetto spiovente della campagna finlandese con sei figli, una moglie e un cane che manteneva con il suo sussidio di disoccupazione prima di convertirlo nel reddito di cittadinanza quando ha ricevuto la proposta del governo. Anarchico nella vita e nell’educazione dei figli, confessa che “per vivere con 560 euro al mese devi essere un mago”, perché con quei soldi in Finlandia si può fare ben poco considerato il loro costo della vita. 

Quindi? Ha voluto dare sfogo alla sua creatività e si è messo a costruire dei tamburi che provocano stati di trance che vende nel mondo a 400 euro l’uno. Prima non poteva farlo, il governo se avesse scoperto che aveva un lavoro gli avrebbe tolto il sussidio. Adesso invece è libero di creare e vendere i suoi prodotti: “Credo che sia una misura utile”, ha detto “con questo strumento ognuno può dare sfogo alla sua creatività e magari creare in casa la prossima Facebook o la prossima YouTube”. Lui intanto crea i suoi tamburi.

Mika Ruusunen invece è un altro caso scovato dalla Cnbc su Facebook, tra i pochissimi scoperti finora. Accoglie i giornalisti durante la sua pausa pranzo, perché da quando riceve il reddito si è trovato lavoro in un’azienda informatica di Tampere: “la cosa migliore del reddito base del governo è la totale assenza di complicazioni burocratiche, mentre la più strana è che anche se dovessi cominciare a guadagnare un milione di euro all’anno continuerebbero a darmeli”.

Una battaglia di sinistra, in Finlandia finita a destra

Un caso strano. È dal 1980 che in Finlandia si discute del reddito di cittadinanza, soprattuto a sinistra. È sempre stato una bandiera della sinistra, prima che ad approvarlo (anche se in via sperimentale) è stato il centrodestra. Ma con un’ottica completamente diversa: non vuole combattere le disuguaglianze, ma favorire l’occupazione e la voglia di cercarsi un lavoro: è scritto nero su bianco in un documento del 2016 in cui presenta il programma al parlamento. Alla sinistra finlandese il programma non piace, perché vede la possibilità concreta che si smantelli il welfare statale.

In Italia la proposta del reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle è assai diversa da quella finlandese: si tratterebbe di un sistema misto di reddito condizionato alla formazione e all’accettazione di lavori proposti da enti e istituzioni pubbliche e private. E non potrebbe essere altrimenti, perché chi studia questa misura ripete spesso che un caso non può valere l’altro, e che ogni stato deve immaginare un proprio modello, in relazione alle casse pubbliche e alla situazione sociale.

Perché il reddito di cittadinanza è un bene (o un male)? 

Gli argomenti a favore e contro sono diversi. Li ha sintetizzati Futurism.com in un articolo che ne ripercorre la storia politica e le discussioni che ha generato. Riassumendoli per punti:

Argomenti a favore. Il reddito di cittadinanza potrebbe:

 

  • Aumentare la stabilità e la sicurezza sociale
  • Semplificare il welfare
  • Rendere più redditizio il lavoro occasionale, o le proprie passioni
  • Ridurre la povertà
  • Aumentare la libertà delle persone, che potrebbero scegliere in maniera non condizionata la propria vita e il proprio lavoro
  • Aumentare le possibilità di migliorare la propria condizione
  • Dare maggiore forza in fase di contrattazione quando si ottiene una proposta di lavoro
  • Più libertà nei tempi che si decide di dedicare al lavoro, e al metodo di lavoro
  • Evitare di fare cose che non soddisfano il lavoratore
  • Sostegno alla piccola imprenditorialità, al lavoro autonomo e creativo, che magari non generano grossi volumi di soldi ma che danno soddisfazione personale
  • Ridurre l’esclusione sociale dando, a differenza dei sussidi, la possibilità di fare comunque attività lavorative o creative che reinseriscano nel contesto sociale

     

Argomenti contro. Il reddito di cittadinanza potrebbe:
 

  • Essere troppo costoso per le casse dello stato
  • Non essere adeguato a garantire più equità sociale degli strumenti offerti dal welfare
  • Abolire il welfare
  • Spingere le persone a cercare lavori part-time, indebolendo il potere dei contratti collettivi dei dipendenti
  • Portare ad un aumento delle tasse, e con più tasse abbassare la propensione a creare imprese
  • Dividere la società tra coloro che possono vivere senza un lavoro, e coloro che devono per forza farlo
  • Non considerare i bisogni individuali se un certo reddito è da destinare a tutti
  • Indebolire la posizione delle donne sul mercato del lavoro, perché sarebbero indotte a rimanere a casa e prendersi cura dei figli

 

@arcangeloroc

Agi News

Cos’è il “debito implicito” e perché aumenterebbe con l’abolizione della Fornero

Matteo Salvini è sicuro di diventare premier e già annuncia come primo atto del suo governo l’abolizione della legge Fornero, promessa in campagna elettorale.

E tra i più preoccupati dei propositi del capo della Lega – non da oggi – c’è sicuramente Tito Boeri, presidente dell’Inps, che al Sole 24 Ore dice: “Le promesse fatte in campagna elettorale di abolizione della riforma Fornero determinerebbero un aumento del debito implicito di 85 miliardi, circa il 5% del Pil, con un ritorno ai pensionamenti di anzianità a quota 98 oppure con 40 anni di contributi”.

Il debito implicito, spiega il quotidiano di Confindustria, "è l’insieme degli impegni futuri, in valore attuale e a legislazione vigente, presi dallo Stato nei confronti dei cittadini in termini di prestazioni pensionistiche al netto dei contributi. Il valore del debito implicito è un parametro indicativo importante per valutare la sostenibilità del sistema previdenziale soprattutto se si applica il principio della capitalizzazione per cui i contributi di ognuno finiscono in un “conto” dedicato".

Il Sole fa notare Salvini ha poi corretto il tiro e ora proposto una quota 100 con 41 di contributi. “È anche peggio – aggiunge Boeri –  secondo i nostri calcoli con quei requisiti e senza le finestre mobili introdotte tra il 2009 e il 2010, l’impatto sul debito implicito salirebbe a 105 miliardi, oltre sei punti di Pil, con una maggiore spesa aggiuntiva al netto dei contributi fino a 20 miliardi l’anno. (…) Sono stime prudenziali. Non calcolano, per esempio, i costi aggiuntivi che potremmo dover pagare a chi, essendo andato in pensione in questi anni con le penalizzazioni previste dalle regole attuali, penso a opzione donna, rivendicasse una disparità di trattamento e chiedesse una qualche forma di rimborso”.

Debito esplicito e debito implicito

In sostanza – scrive Termometro politico – il debito esplicito (calcolato in rapporto al pil) è quello ereditato dal passato (per l'italia tra il 132 ed il 133%) e quello italiano è notoriamente il secondo più alto d’Europa dopo quello della Grecia; il debito implicito è invece quello che avremo in futuro (nel lungo periodo) sulla base delle riforme fatte negli ultimi anni: in particolar modo quelle pensionistiche (dalla Fornero in poi) e quella sanitaria.

L'aggregato debito esplicito + debito implicito dell'Italia è sorprendentemente al 57% molto più basso di quello tedesco al 149%. Quello medio eurozona al 266% (la Francia che ha un debito aggregato del 291% e la Spagna che arriva al 592%). 

Per Boeri nel Paese «c’è poca considerazione per i problemi delle giovani generazioni e quando si introducono nel dibattito pubblico concetti come debito pubblico implicito c’è scetticismo. Ma il debito implicito ci sintetizza l’impatto sul lungo periodo». Il debito esplicito infatti dipende dal debito ereditato dal passato e dal bilancio; quello implicito invece si fonda sulle obbligazioni future, relative cioè alle pensioni, alla sanità e alla assistenza. Secondo il presidente dell’Inps "è una stima difficile da fare, ma il nostro Paese è tra i più virtuosi nella somma tra debito pubblico implicito ed esplicito. Una ragione in più per portare attenzione a questi dati". 

Leggi sulla Stampa: Perché l'Italia vuole parlare del debito pubblico implicito per riscrivere la classifica dei conti in Europa

Ma qual è il reale impatto che l’abolizione della legge Fornero avrebbe sui conti pubblici? Agi ha dedicato due fact checking all’argomento nelle ultime settimane. L'ultima volta il 22 febbraio, per verificare un'affermazione di Emma Bonino che due giorni prima aveva dichiarato: “Come tutte le leggi la puoi modificare, [la legge Fornero,] anche se da chi ne chiede l’abolizione vorrei sapere dove trova le risorse […]. Le pensioni costano 260 miliardi, due volte il bilancio Ue”.

Un’affermazione corretta, secondo i calcoli di Pagella Politica di Agi, che aveva già  verificato che abolire la riforma delle pensioni  avrebbe un costo di circa 20 miliardi all’anno per la prossima legislatura (2018-2023) e, nell’arco dei prossimi 42 anni, di 280 miliardi di euro.

Come risulta dal bilancio di previsione dell’Inps per il 2017, la spesa pensionistica dell’Italia si dovrebbe attestare a 261,531 miliardi di euro, con un incremento dell’un per cento circa (2,688 miliardi di euro) rispetto a 258,843 miliardi di euro del 2016.

In particolare, specifica l’Inps, la spesa si riferisce per 249,142 miliardi di euro alle rate di pensione (e connessi trattamenti di famiglia) a carico delle gestioni previdenziali, e per 12,389 miliardi di euro alle rate di pensioni erogate per conto dello Stato (pensioni e assegni sociali, pensioni per coltivatori diretti, coloni e mezzadri ante 1989, pensioni invalidi civili etc.).

Il bilancio dell’Unione europea

Come risulta dal sito del Consiglio dell’Unione europea, il bilancio dell’Ue per il 2017 – approvato a dicembre 2016 – ammonta a 157,86 miliardi di impegni e 134,49 miliardi di pagamenti.

Gli impegni “coprono i costi totali degli obblighi giuridici che potrebbero essere firmati in un determinato esercizio”, mentre i pagamenti “coprono le spese previste per l'esercizio in corso derivanti dagli impegni giuridici sottoscritti durante l'esercizio in corso e/o gli esercizi precedenti”. Sembra dunque più corretto prendere in esame i secondi per un confronto con la spesa pensionistica.

Aveva dunque quasi ragione Emma Bonino a sostenere che l’Italia spenda in pensioni il doppio del bilancio Ue. I 134,49 miliardi di pagamenti del 2017 moltiplicati per due fanno circa 270 miliardi di euro: poco più dei 261,531 miliardi di spesa per pensioni per quell’anno prevista dall’Italia.

 

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