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Confindustria: “L’economia italiana va meglio delle attese”   

AGI – L’economia italiana per Confindustria procede meglio rispetto alle attese. Nonostante l’inflazione sia ancora molto elevata – 11,6% l’ultima rilevazione dell’Istat – nella Congiuntura flash l’associazione degli industriali rileva come il prezzo del gas ai livelli più bassi da oltre un anno e la tenuta del potere d’acquisto delle famiglie abbiano sostenuto l’attività produttiva, come confermato anche dai risultati degli indici di Borsa in recupero nelle prime settimane del 2023.

A pesare sulle prospettive economiche resta il forte rialzo dei tassi di interesse operato dalle banche centrali negli ultimi mesi, che toglie risorse a investimenti e consumi, colpiti anche dall’inflazione, in calo ma ancora alta. Come atteso dagli analisti la fine del 2022 e’ stata difficile.

La produzione ha registrato un altro calo a novembre: -0,3%; -1,8% a settembre e -1,1% a ottobre. Mentre la manifattura regge (+0,1%), con ampia eterogeneità tra comparti, si contrae invece il settore delle forniture energetiche (-4,5%).

Per il 4 trimestre la variazione acquisita viene valutata da Confindustria come “molto negativa” per il totale industria (-1,7%, -0,6% nel terzo). I dati qualitativi a dicembre segnalano “uno scenario debole”: gli ordini continuano a diminuire, le scorte ad aumentare, le attese di rimbalzo si ridimensionano; il Pmi è fermo in area di lieve contrazione (48,5 da 48,4), la fiducia delle imprese “segna una nuova discesa”.

Potrebbe favorire la ripresa il deciso raffreddamento dei prezzi dell’energia. Il gas ha aperto il 2023 in netta flessione: 65 euro/MWh in media a gennaio, da 114 a dicembre (14 nel 2019); “un ribasso favorito da stock europei di gas ancora alti, clima mite e consumi frenati”. Per il petrolio, annota il report, prosegue “la lenta discesa (80 dollari al barile, da 81 a dicembre), grazie a una produzione che ha superato una domanda piatta”. In lieve rialzo, invece, i prezzi non-energy (+1,6% a novembre-dicembre), dopo la flessione dei mesi precedenti, sui livelli alti del 2021.

I tassi di interesse continuano ad essere una variabile non secondaria. A novembre il costo del credito per le imprese italiane ha continuato a salire: 3,37% per le Pmi (1,74% a inizio 2022), 2,67% per le grandi (da 0,76%). Un “ulteriore aggravio di costi, che avviene a seguito del rialzo dei tassi di riferimento”. Prosegue anche la dinamica “altalenante” dell’export italiano, in rimbalzo a novembre (+3,8%, dopo -1,5%), anche grazie a maxi-vendite nella cantieristica navale.

Fanno da traino i paesi extra-Ue mentre l’export intra-area e’ stazionario: “Usa e Turchia si confermano i mercati più dinamici, fiacche le vendite in Cina, in contrazione in Russia; fa da freno, anche in prospettiva, l’indebolimento del mercato tedesco”. Le indicazioni per inizio 2023 per l’export “restano negative” secondo gli ordini manifatturieri esteri, a fronte di una domanda mondiale debole, come confermano i dati sul commercio in area di contrazione.

Uno sguardo a Pechino

Il focus di Confindustria si concentra sulle prospettive economiche della Cina, dove la crescita è stata al minimo nel 2022 ma in accelerazione. Si stima che il Pil cinese passerà da un +3,0% nel 2022 (peggior dato degli ultimi 40 anni, eccetto il 2020) ad un valore intorno al +4,5% nel 2023, tornando sul sentiero di graduale rallentamento seguito in precedenza.

La ripartenza cinese, annota Confindustria, potrebbe “vacillare a inizio anno per l’impennata nei contagi da Covid, ma e’ atteso un graduale miglioramento di domanda domestica e produzione industriale dopo la frenata di fine 2022”. I dati Pmi di dicembre confermano questa tendenza, con valori ancora in territorio negativo ma in miglioramento e con la componente dei nuovi ordini nei servizi che segna il suo massimo da maggio.  


Confindustria: “L’economia italiana va meglio delle attese”   

L’ Italia rischia una nuova recessione alla fine del 2020. L’allarme di Confindustria

AGI – A fine 2020 l’Italia rischia una seconda recessione a causa della pandemia di coronavirus. È l’allarme lanciato dal Centro Studi di Confindustria nella Congiuntura Flash.

Le recenti misure restrittive per arginare l’epidemia inducono il Csc a stimare che nel IV trimestre si avrà di nuovo un Pil in calo. L’impatto sull’economia italiana dovrebbe essere contenuto rispetto al crollo nel I e II (-17,8%), dato che molti settori produttivi restano aperti. Ciò avviene subito dopo il forte rimbalzo nel III (+16,1%), che aveva riportato l’attività al -4,5% dai livelli pre-Covid.

 Anche la crescita dell’Eurozona frena. Dopo il rimbalzo del Pil nel III trimestre (+12,6%), si è avuta una frenata a ottobre: il pmi composito è sulla soglia neutrale di 50 e il sentiment è fermo lontano dalla media storica. Ciò – spiega il Csc – è sintesi di dinamiche divergenti: negativa per i servizi, dove è atteso un ulteriore calo di domanda, per le nuove restrizioni; buona per l’industria, che è sostenuta da un ricco portafoglio ordini. In Germania l’impennata della produzione industriale ha alzato di 5 punti l’utilizzo degli impianti. 

L’analisi mette anche in evidenza come il tasso sovrano in Italia sia rimasto basso (0,66% medio il Btp decennale a novembre), “nonostante qualche volatilità”. Anche lo spread sulla Germania ha tenuto, sui bassi valori di ottobre (+1,23%). Una buona notizia rispetto al balzo di marzo, quando l’Italia era percepita come più rischiosa.

Risalita stoppata per l’industria nel iv trimestre

Secondo Confindustria, la produzione già a settembre-ottobre ha visto interrompersi il suo rapido recupero, sui livelli pre-Covid: ciò potrebbe preludere a una nuova, moderata, caduta nel IV trimestre.

Gli indicatori segnalano fino a ottobre una tenuta della domanda interna, dopo il rimbalzo nei mesi estivi. Gli ordini interni dei produttori di beni di consumo sono risaliti a -28,3 (-34,4 nel III trimestre), quelli dei produttori di beni strumentali a -31,4 (da -42,8). La fiducia delle famiglie però diminuisce, con forte calo delle attese sull’economia: ciò alimenta la propensione al risparmio. L’Icc segnala in ottobre un -8,1% annuo dei consumi: i dati peggiori sono per turismo, servizi per il tempo libero, trasporti. 

L’occupazione si è di nuovo appiattita a settembre, dopo la risalita temporanea a luglio-agosto. La disoccupazione sembra ripuntare verso il basso, come a marzo-aprile, per la contrazione della forza lavoro. Il IV trimestre anche per l’occupazione si preannuncia in negativo. 

A settembre, poi, la dinamica del credito alle imprese ha accelerato ulteriormente (+6,8% annuo, da -1,0% a gennaio), per sopperire alla carenza di liquidità. I prestiti con garanzie pubbliche hanno superato i 110 miliardi a novembre (dati Task Force). Per il centro studi di Confindustria ciò peserà sul debito bancario (da 16,5% a 18,9% del passivo) e sugli oneri finanziari, riducendo le risorse per investimenti. 

Peggiorano i servizi, perdite del turismo vicine 70%

Il rischio di una nuova recessione per l’Italia nel IV trimestre riguarda soprattutto i servizi, con il turismo che subirà nuovamente perdite vicine al 70%. Il Pmi nei servizi (Purchasing Managers’ Index) segnala un ulteriore arretramento già in ottobre (46,7 da 48,8), con domanda indebolita dopo il recupero parziale del settore turistico fino ad agosto, a fine anno in vari segmenti le perdite saranno ancora vicine al 70% (stime Federturismo). 

La pandemia minaccia un secondo stop agli scambi

Con la seconda ondata della pandemia di Covid, il Csc prevede un nuovo stop del commercio mondiale a fine 2020. Il recupero del commercio mondiale (-3,5% in agosto su fine 2019) è atteso proseguire qualche mese, ai massimi le spedizioni di container a settembre, sopra 50 gli ordini esteri globali in ottobre (Pmi). Ma con l’aggravarsi dei contagi si rischia il blocco. 

Sul fronte delle esportazioni, Csc rileva che l’export di beni è rimbalzato del 30,3% nel III trimestre (-3,2% dai valori di febbraio), con il recupero che ha riguardato tutti i principali tipi di beni e, con ritmi diversi, i maggiori mercati. Le indicazioni a inizio IV trimestre erano positive: in risalita gli ordini manifatturieri esteri. Tuttavia, sottolinea, le probabilità di una nuova caduta a fine anno sono alte, a causa della pandemia, specie nelle voci legate al turismo. 

Agi

Chi è Carlo Bonomi, il nuovo presidente di Confindustria

Carlo Bonomi, numero uno di Assolombarda, è stato designato nuovo presidente di Confindustria. Lo ha deciso il consiglio generale dell’associazione con voto online segreto (123 voti a favore e 60 contro). Bonomi ha avuto la meglio su Licia Mattioli, vicepresidente degli industriali. ​L’ultima parola, da statuto, spetterà all’assemblea privata dei delegati, convocata il 20 maggio per eleggere formalmente il nuovo presidente e la sua squadra. 

Il nuovo presidente di Confindustria, è un imprenditore del settore biomedicale dal lungo curriculum confindustriale. Presidente di Assolombarda dal giugno 2017, è stato in precedenza uno dei membri della squadra di Vincenzo Boccia. Bonomi è nato a Crema, nel ’66, e durante gli ultimi tre anni, da numero uno della principale ‘territoriale’ di Confindustria non si è mai sottratto a duri affondi nei confronti della politica su diversi temi: da Alitalia alla manovra, l’imprenditore ha sempre fatto sentire la propria voce.

L’ultima occasione in cui è intervenuto pubblicamente è stata poco dopo metà marzo, quando, a seguito della pubblicazione del decreto ‘Cura Italia‘, ha subito chiesto che il governo correggesse le parti “inadeguate”, indicando in una “una grande cooperazione pubblico-privato, analoga a quella che ha fatto reggere l’Italia ai colpi durissimi del secondo conflitto mondiale, del terrorismo, dell’inflazione, del rischio di insolvibilità che ci portò alla crisi del 2011” la strada per superare gli effetti disastrosi sull’economia della pandemia da Coronavirus. Contestualmente Bonomi ha anche rivendicato la necessità di “una strategia di Paese di lungo termine e con una visione internazionale”, di un maggior supporto alle imprese e soprattutto di adottare misure “con un confronto delle parti e tenendo conto delle conseguenze” dicendo “basta interventi figli di contrattazioni politiche riservate e appresi solo leggendo testi che arrivano a scelte fatte”. “Penso che nella sua tragicità questa emergenza ci stia offrendo anche un’opportunità. Quella di rilanciare il Paese eliminando una volta per tutte le zavorre che ci hanno frenato negli ultimi vent’anni”, ha detto nei giorni scorsi al Corriere della Sera.

Dal giugno 2017 é membro del Consiglio Generale di Aspen Institute Italia, del Consiglio di Amministrazione di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) e, dal novembre 2018, del Consiglio di Amministrazione dell’Università Bocconi

Agi

Il Dl Dignità non piace a Confindustria

Regole "poco chiare e punitive" in materia di delocalizzazioni, un quadro normativo che diventa "incerto e imprevedibile" e – con la stretta sui contratti a termine – un effetto sull'occupazione ancora più grave di quegli 8.000 posti di lavoro in meno all'anno della stima della Ragioneria Generale dello Stato, che tanto ha fatto infuriare Luigi Di Maio. È durissimo il giudizio sul Dl Dignità esposto dal direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, in audizione di fronte alle commissioni Finanze e Lavoro della Camera. Tanto da portare il ministro del Lavoro a parlare di "terrorismo psicologico". È nondimeno possibile che le esortazioni di viale dell'Astronomia a intervenire con dei correttivi in Parlamento vengano raccolte dall'altra gamba della maggioranza: la Lega, la cui base elettorale imprenditoriale non ha accolto proprio con entusiasmo un provvedimento fortemente voluto dal Movimento 5 stelle. Ma Di Maio sembra saperlo bene: il decreto, ha dichiarato, rappresenta "un primo intervento" e "se il Parlamento vorrà migliorarlo a noi fa solo piacere”.

Gli industriali chiedono correttivi

"Pur perseguendo obiettivi condivisibili – tra cui il contrasto all'abuso dei contratti flessibili e alle delocalizzazioni selvagge – il decreto contiene misure e adotta strumenti che renderanno più incerto e imprevedibile il quadro delle regole in cui operano le imprese, disincentivando gli investimenti e limitando la crescita", ha esordito Panucci, invitando a "evitare brusche retromarce sui processi di riforma avviati, assicurare stabilità e certezza al quadro regolatorio e non alimentare aspettative negative da parte degli operatori economici". Confindustria lamenta in particolare "il superamento di alcune innovazioni contenute nel Jobs Act, che hanno contribuito al miglioramento del mercato del lavoro". Pertanto, secondo l'associazione degli industriali, "l'esame parlamentare del decreto dignità può e deve rappresentare l'occasione per approvare alcuni correttivi volti a garantire una crescita sostenibile e inclusiva del Paese, che favorisca la competitività delle imprese e valorizzi il lavoro". 

Sulle delocalizzazioni manca una definizione chiara

Panucci ha puntato il dito sulle "regole poco chiare e punitive in materia di delocalizzazioni". Il provvedimento, afferma, "presenta evidenti difficoltà di applicazione pratica, rimessa peraltro alle singole amministrazioni erogatrici, anche perché non individua una definizione chiara della delocalizzazione 'rilevante', e rende la disciplina in materia molto più estesa e punitiva di quella pre-vigente, anche perché contempla una sanzione aggiuntiva alla restituzione dell'aiuto percepito (fino a 4 volte tale importo per le delocalizzazioni verso Stati non UE e non aderenti allo Spazio Economico Europeo)". A giudizio di Confindustria, "alla delocalizzazione non può essere associata una connotazione necessariamente negativa e occorre distinguere i processi di internazionalizzazione dell'attività d'impresa dalle delocalizzazioni selvagge". 

I posti a rischio sarebbero più di 8.000 all'anno

Quanto alla riduzione della durata massima dei contratti a termine da 36 a 24 mesi, secondo Confindustria, c'è il rischio di "un impatto negativo sull'occupazione complessiva". Tali norme andrebbero quindi modificate poiché "sono inefficaci rispetto agli obiettivi dichiarati e potenzialmente pregiudizievoli per il mercato del lavoro". Per l'associazione, "il ritorno delle causali comporterà' un aumento del contenzioso, che le riforme degli anni scorsi avevano contribuito ad abbattere (le cause di lavoro sui contratti a termine sono passate da oltre 8.000 nel 2012 a 1.250 nel 2016). Peraltro il fatto che per contratti tra i 12 e i 24 mesi sia richiesto alle imprese di indicare le condizioni del prolungamento, esponendole all'imprevedibilità di un'eventuale contenzioso, finisce nei fatti per limitare a 12 mesi la durata ordinaria del contratto a tempo determinato, generando potenziali effetti negativi sull'occupazione oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al Decreto (in cui si fa riferimento a un abbassamento della durata da 36 a 24 mesi)".

La replica del ministro

Dura la risposta di Di Maio. "Confindustria", scrive il ministro del Lavoro su Facebook, "oggi dice che con il decreto Dignità ci saranno meno posti di lavoro. Sono gli stessi che gridavano alla catastrofe se avesse vinto il no al Referendum, poi sappiamo come è finita. Sappiamo come finirà anche in questo caso. Non possiamo più fidarci – aggiunge – di chi cerca di fare terrorismo psicologico per impedirci di cambiare. Il decreto Dignità combatte il precariato per permettere agli italiani, soprattutto ai più giovani, di iniziare a programmare un futuro. Cioé permette di creare quelle condizioni che sono la base per fare impresa, per rilanciare i consumi e per creare un circolo virtuoso. Dopo anni di precariato, e di leggi che hanno massacrato i lavoratori, é ormai evidente che queste politiche non hanno aiutato nessuno: né i lavoratori, né gli imprenditori". "Sono convinto che gli effetti del decreto Dignità porteranno anche Confindustria a questa conclusione", prosegue il ministro, "siamo dalla parte dei cittadini, e non faremo nessun passo indietro. Stateci vicino!".

 

Agi News

Allarme Confindustria, stretta sui prestiti alle imprese 

di Ilaria Conti

Roma- L'industria manifatturiera ha avviato una difficile e lenta risalita ma continua a soffrire della debolezza del credito da parte delle banche. In 5 anni, da luglio al picco massimo del 2011, lo stock dei prestiti è diminuito di ben 42 miliardi di euro, con una flessione del 17,7%. Nei primi sette mesi del 2016 i finanziamenti sono già calati dello 0,8%, comunque in rallentamento rispetto alla media di -3,6% l'anno realizzata nel periodo 2012-2015. I dati emergono dagli Scenari Industriali del Centro Studi Confindustria 'I nuovi volti della globalizzazione'. "

QUANTO PESA LA FLESSIONE DEL CREDITO
La difficile risalita dell'attività industriale è stata accompagnata da una pesante flessione del credito – spiegano gli industriali – l'andamento dello stock di prestiti alle imprese manifatturiere in Italia, è caratterizzato, in generale, da un lungo processo di riduzione, che non mostra ancora chiari segnali di svolta e che ha condotto a livelli molto depressi nel 2016. In media, nel manifatturiero i prestiti hanno già acquisito un -0,8% nei primi sette mesi di quest'anno, dopo il -3,6% all'anno nel 2012-2015, un andamento simile a quello del credito al totale delle imprese (-1,9% e -3,5%). A causa di questo calo, in atto da cinque anni, con una sola temporanea attenuazione nel 2015, lo stock di prestiti nel manifatturiero è inferiore del 17,7% rispetto ai massimi del 2011 (-42 miliardi di euro)". Secondo Confindustria "il lento recupero dell'industria italiana sta avvenendo nonostante la riduzione dei prestiti alle imprese, una situazione che si può definire di creditless recovery: ma è proprio la debolezza del credito uno dei principali freni all'attività, che aiuta a spiegare la lentezza della crescita. La fragile risalita senza credito in Italia caratterizza l'industria come l'intera economia". E la risalita senza credito "puo' durare solo in presenza di un solido recupero della redditività delle imprese e, quindi, delle possibilità di autofinanziamento.

COME CAMBIA IL CREDITO TRA I VARI SETTORI
La forchetta di andamenti del credito tra i vari settori industriali è molto ampia, prosegue il centro Studi Confindustria. Nel 2016 si va da un -4,6% nel legno-arredo e un -3,8% nella metallurgia, a un +5,7% per i mezzi di trasporto. Su 11 settori manifatturieri, 5 registrano una variazione positiva. Per tutti i settori lo stock di prestiti nel 2016 è inferiore ai livelli del 2011. Il minimo si registra nel petrolifero-chimico-farmaceutico (-41,4%, -11 miliardi, un comparto molto eterogeneo, per il quale non sono disponibili dati piu' disaggregati su credito. Riduzioni molto marcate si sono avute nella carta stampata (-23,9%, -3 miliardi) e nel legno-arredamento (-23,8%, -4 miliardi). Anche in settori in cui gli andamenti recenti sono positivi, lo stock resta basso (mezzi di trasporto -18,2%, -2 miliardi). Solo nell'alimentare i prestiti sono risaliti intorno ai valori del 2011 (-0,1% nel luglio 2016 rispetto al picco 2011). La brusca riduzione del credito negli ultimi 5 anni "ha messo in difficoltà moltissime imprese, che devono fare i conti con queste restrizioni nelle scelte operative". In alcuni settori nel quadriennio 2012-2015, la riduzione dello stock di prestiti è associata a un incremento del valore aggiunto nominale (alimentare, gomma plastica, macchinari-attrezzature, mezzi di trasporto). In questi casi, "è difficile pensare che la flessione del credito sia stata dovuta a una minore domanda, visto che l'attività economica era in crescita. E' piu' probabile, invece, – conclude il Csc – che si tratti di settori in cui le imprese hanno maggiormente subito la restrizione del credito, dal lato dell'offerta, anche se questa stretta non ha impedito di espandere l'attivita'".

Agi News