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Ecco come Apple farà concorrenza alle major di Hollywood (e sfiderà Amazon)

Apple è pronta a investire un miliardo di dollari, a partire dal 2018, per realizzare e produrre contenuti media originali, in concorrenza con i grandi studio di Hollywood. Lo rivela il Wall Street Journal, secondo il quale si tratta di una cifra considerevole, pari a quanto ha speso nel 2013 Amazon nell'annunciare il suo ingresso nel campo della programmazione video e la metà di quanto ha speso l'anno scorso Time Warner per la tv ad alta qualità Hbo. Secondo fonti vicine all'operazione, Apple si appresterebbe a produrre in proprio almeno dieci grandi programmi televisivi, tipo "Game of Thrones" della Hbo. Gli show verrebbero trasmessi sul servizio di streaming musicale, oppure su un nuovo servizio di video che verrebbe creato ad hoc.

Progetto 'visionario' di Eddy Cue

Il progetto va incontro ai piano di programmazione video più volte annunciato da uno dei leader più visionari del gruppo, Eddy Cue. Il budget del progetto verrebbe gestito da due veterani di Hollywod, Jamie Erlichet e Zack Van Amburg, ingaggiati nel giugno scorso dalla Sony, proprio in vista di una futura programmazione video a livello globale della Apple. I due riportano direttamente a Cue, il quale gestisce il budget da 24 miliardi di dollari dei servizi Apple, nel quale è incluso iTunes.

Il business dei contenuti media negli Usa, si va facendo molto affollato, poichè oltre alle tv tradizionali e alle major di Hollywood, in pista ci sono Amazon, Netflix e, ora, anche Apple. Nella stagione 2016 almeno 17 grandi catene televisive, che trasmettono da diverse piattaforme, hanno realizzato 500 nuovi show di grande rilievo, il doppio rispetto rispetto a quelli prodotti nel 2011.

Le risorse illimitate di Apple

Apple, affacciandosi per ultima sulla scena, ha bisogno un grande 'hit', ciò di un grande colpo televisivo, per guadagnare visibilità. A giugno Apple ha lanciato su Apple Music "Planet of Apes", la nuova versione del "Pianeta delle Scimmie", e la scorsa settimana ha immesso sul mercato "Carpool Karaoke", ma entrambi i video hanno subito forti critiche. Tuttavia con i suoi 260 miliardi di dollari di liquidità e ricavi che nel 2016 hanno raggiunto di 215 miliardi di dollari, Apple dispone di risorse praticamente illimitate per il suo debutto sulla scena dei contenuti media.

Agi News

Ecco perché il ddl concorrenza non aiuterà le farmacie. Anzi…

Fino a 15, 20 anni fa acquistare una farmacia significava assicurarsi un ottimo lavoro, a contatto con il pubblico, con orari abbastanza comodi e guadagni sostanziosi. Un investimento per sé stessi e per le generazioni a seguire. Nessuno immaginava che da lì a una ventina d'anni quella 'casta' se la sarebbe passata malissimo e che anche i farmacisti si sarebbero ritrovati a stringere la cinghia e, in molti casi, ad abbassare per sempre la saracinesca. Come hanno fatto, ad esempio, già oltre 30 professionisti l'anno scorso a Roma. O i 25 titolari di Milano che da inizio anno fino ad aprile hanno detto addio alla loro attività. Ad oggi si contano in Italia 18.549 farmacie, tra private e comunali. Di queste, secondo i dati Sose, 4.000 versano in condizioni economiche gravissime e sono a rischio fallimento. E il timore, condiviso da farmacisti, commercialisti, legali e associazioni, è che il ddl Concorrenza – in discussione dal 20 febbraio 2015, poi passato al Senato e ora in attesa dell'approvazione della Camera – rappresenti per molti esercizi la pietra tombale.

Il ddl Concorrenza apre le porte alle società di capitali

Dopo un iter di oltre 800 giorni, il cosiddetto "ddl Concorrenza" ha incassato la fiducia del Senato lo scorso 3 maggio. Ora il testo è tornato alla Camera per la terza – e con ogni probabilità – definitiva valutazione. Intanto il testo ha già provocato una vera e propria bufera nel mondo farmaceutico. Agli articoli 58, 59 e 60, il ddl introduce nuove misure per incrementare la concorrenza nella distribuzione farmaceutica. La novità riguarda l'apertura del mercato alle società di capitali che potranno essere titolari dell'esercizio della farmacia privata. Finora la partecipazione è concessa solo alle persone fisiche, iscritte all'albo dei farmacisti e che abbiano conseguito, in un concorso per assegnazione di sedi farmaceutiche, una titolarità o l'idoneità, o che abbiano effettuato almeno due anni di pratica professionale. La misura stabilisce anche che le società di capitali potranno avere un controllo massimo regionale del 20%. Il tetto però non si riferisce alla quota destinata al settore delle società di capitale, ma al massimo che ognuna di esse può detenere nelle proprie mani.

Cittadini senza servizi: lo scenario più nero

Così come è accaduto con l'avvento delle grandi catene di distribuzione nel settore dell'high tech, dell'alimentare e dell'abbigliamento, anche le farmacie rischiano di ritrovarsi schiacciate dai big dei farmaci e dai loro stessi fornitori. Un rischio tanto più alto quanto più la farmacia si trova in zona appetibile: "Sono convinto che qualora il ddl passi senza alcuna modifica rispetto al testo originario l'interesse delle società di capitale sarà rivolto alle sole farmacie con fatturati rilevanti o ad alto potenziale, ad esempio con una posizione economicamente appetibile, generando per le altre sedi presenti sul territorio un danno economico", spiega all'Agi Stefano Vescovi, presidente di Farmed: gruppo di professionisti dei settori fiscale e tributario che da 30 anni curano la contabilità di oltre 800 farmacie in tutta Italia. Le strategie di marketing e i prezzi concorrenziali che potrebbe adottare una società di capitale, spiega ancora Vescovi, segnerebbero la fine di molte farmacie tradizionali che non potrebbero permettersi né prezzi al ribasso, seppur di poco, né – magari – orari di lavoro più lunghi. 

In questo contesto, poi, paradossalmente, sarebbero le farmacie rurali (presenti in comuni con meno di 3.000 abitanti e che oggi rappresentano io 32% degli esercizi totali) quelle che se la passerebbero meglio, semplicemente perché le società di capitale potrebbero non essere interessate affatto a investire in zone meno centrali. 

"E se questo scenario andrà ad aumentare il numero delle farmacie in crisi, chi andrà a garantire un servizio capillare che è tuttora lo scopo principale?", si chiede Vescovi che continua: "Garantiscono occupazione, ma in che modo? Conterà principalmente la logica del profitto. Questa non è un ddl "concorrenza" a garanzia di un pubblico servizio. Tutt'altro". 

Un'opportunità per i fornitori

Se il ddl venisse approvato di sicuro aprirebbe nuove strade ai fornitori. Sono loro, infatti, quelli che vantano un credito maggiore nei confronti dei farmacisti sempre più in difficoltà. La riduzione del fatturato, e conseguentemente degli utili, unita alle difficoltà di accesso al credito delle aziende in ragione del credit crunch, ha generato il ritardo nel pagamento dei fornitori che, di contro, hanno rallentato le forniture non consentendo così alla farmacia di rispondere alle richieste del mercato. Un'ipotesi realtistica è, dunque, quella che vede un ingresso dei fornitori nella compagine sociale delle aziende farmaceutiche: in questo modo diverrebbero titolari di quelle stesse farmacie che nella maggior parte dei casi sono loro debitrici.

Una crisi lunga 15 anni, ecco a cosa è dovuta 

Tre sono le cause principali che hanno determinato la crisi delle farmacie: 

  • un calo del prezzo dei farmaci che ha visto scendere il valore della 'ricetta rossa' dai 28 euro di un tempo agli attuali 12-13 euro
  • l'allungamento dei tempi di pagamento delle Asl
  • l'aumento del numero delle farmacie (e quindi della concorrenza)

 A queste ragioni si sommano poi:

  • l'avvento delle parafarmacie 
  • liberalizzazione dei farmaci di fascia C, quindi non "salvavita"

Negli ultimi 20 anni i farmacisti si sono ritrovati a fare i conti con un crollo del prezzo dei medicinali che ha innescato un altro problema: il calo dei ricavi. Ed è così per tutto il Sistema nazionale sanitario, che ha registrato una contrazione del 50%. Dall'altra parte però, spiega Vescovi, "non è possibile per i titolari fare a meno del personale, perché le vendite non sono scese". Il risultato è che "i farmacisti si ritrovano nella condizione di sostenere un modello vecchio ma con minore capacità rispetto al passato".  

Ma non è il solo motivo: "A partire dal 2010 – spiega all'Agi l'avvocato Francesco Saltelli, socio cofondatore dello Studio Legale S.T.V. specializzato nell'ambito della crisi di impresa – le Aziende Sanitarie Locali hanno allungato notevolmente i tempi di pagamento dei corrispettivi dei farmaci a carico del servizio sanitario nazionale, e ciò a causa della situazione di crisi finanziaria degli enti regionali". Ciò ha fatto sì che molti farmacisti "messi alle strette dalla contrazione dei ricavi, da un lato, e dal ritardo dei pagamenti, dall'altro, sono stati costretti a chiedere prestiti bancari per poter mantenere un livello di liquidità che garantisse loro una corretta continuità aziendale". 

 Al crollo dei guadagni e l'aumento dei debiti, va aggiunto poi il terzo elemento che ha scatenato la tempesta perfetta: l'aumento del numero di esercizi: "In passato – spiega ancora Saltelli – il rapporto tra la farmacia e il numero degli abitanti era di 1 a 5000 (nei comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti) e di 1 a 4.000 negli altri comuni (art. 1, L. n. 475/68). Tale rigida regolamentazione limitava in circa 16.000 il numero delle farmacie distribuite nel territorio nazionale". Poi con le liberalizzazioni previste dal Decreto Monti, è cambiato il quadro normativo di riferimento, e il rapporto ad oggi (secondo l’ultimo rapporto di Federfarma – Federazione nazionale che rappresenta le oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale) è sceso così a 1 ogni 3.200 abitanti. Tali politiche hanno evidentemente determinato una contrazione dei fatturati molto rilevante.

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