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Ecco la lettera con cui Bruxelles dà 48 ore all’Italia per giustificare il deficit

La Commissione europea dà due giorni di tempo al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per rispondere alla lettera che sarà inviata oggi per chiedere informazioni sul mancato rispetto della regola del debito nel 2018. Secondo quanto si apprende a Bruxelles, al governo italiano viene chiesto di rispondere entro venerdì sera per consentire alla Commissione di prendere la decisione sull’adozione del rapporto sul debito, che costituisce il primo passo verso la procedura per deficit eccessivo, mercoledì 5 giugno.

Nella lettera, che siamo in grado di anticipare, la Commissione dovrebbe contestare all’Italia il mandato rispetto nel 2018 della regola del debito e degli impegni sul deficit strutturali sulla base dei dati definitivi certificati da Eurostat.    

Il fatto che la valutazione sia effettuata su dati definitivi costituisce un elemento aggravante rispetto allo scorso novembre, quando la Commissione aveva minacciato una procedura per deficit eccessivo sulla base di semplici previsioni. Nella lettera non dovrebbero essere contenute raccomandazioni su una correzione dei conti pubblici. La richiesta implicita di una manovra correttiva per evitare la procedura per deficit eccessivo dovrebbe arrivare il 5 giugno.

Agi

Bruxelles sta per chiedere una manovra energica all’Italia?

“Un buco da circa 5,5 miliardi nel 2018, un deterioramento dei conti nel 2019 e il debito pubblico in salita. È questa l’impietosa pagella sull’operato del governo gialloverde che la Commissione europea pubblicherà martedì a Bruxelles. I numeri saranno limati fino all’ultimo, ma di certo le previsioni economiche Ue toglieranno ogni alibi all’esecutivo Conte”. Lo scrive la Repubblica sotto il titolo di apertura della prima pagina: “Europa, pronta la stangata”. Certa che la Ue per il 2020 chiederà una maxi-manovra, anticipando la “pagella” sull’operato del governo gialloverde che la Commissione Europea renderà pubblica martedì prossimo.

I debiti

Il punto debole sono i debiti, che fanno dell’Italia un paese “vulnerabile”. “Lo è lo Stato con il suo fardello di oltre 2.300 miliardi, lo sono di riflesso le banche e le assicurazioni imbottite di Btp, lo sono le imprese meno profittevoli e più bisognose di denaro, lo sono le famiglie che ricorrono sempre di più al credito al consumo e spesso non pagano le rate. Se il Pil diminuirà e gli spread aumenteranno, la crisi sarà un rischio concreto”.

È il quadro sintetizzato della Banca d’Italia contenuto nel “Rapporto sulla stabilità finanziaria” diffuso ieri dall’Istituto centrale, nel quale si può leggere che “l’alto livello del debito pubblico espone l’economia italiana alle tensioni dei mercati finanziari e riduce la capacità della politica di bilancio di sostenere l’attività produttiva di fronte a fasi di rallentamento”.

“Certo Bankitalia è cauta”, avverte il quotidiano, “ricorda gli aspetti positivi della nostra economia ‘resiliente’ che hanno spinto anche Fitch, S&P e Moody’s a evitare un peggioramento del rating, ma i dati mostrano che la vulnerabilità finanziaria del Paese è in crescita” e “se si va a guardare la situazione di famiglie, imprese, banche e assicurazioni ci si accorge dei rischi che stiamo correndo. Sebbene il livello generale dell’indebitamento privato resti ancora tra i più bassi d’Europa, questo punto di forza si sta incrinando”.

A questo quadro della Banca Centrale si aggiunge il cambio di rotta di Bruxelles che a giugno potrebbe avanzare la richiesta di una manovra aggiuntiva per il 2020 pari a 30 miliardi di euro. Oppure, in alternativa, una procedura sul debito eccessivo che sarebbe “più penalizzate” perché “peserà sula nazione per anni, a prescindere da chi governerà in futuro”. Così l’ipotesi di una maxi-stangata si profila come “l’ultimo tentativo per tenere in carreggiata i conti di un Paese ormai considerato un rischio per la moneta unica”.

“D’altra parte i numeri sono desolanti”, scrive il quotidiano romano nella corrispondenza da Bruxelles. “Si parte dallo scorso anno, con la Commissione pronta a confermare che il governo ha chiuso il 2018 con un buco strutturale da circa 5,5 miliardi (0,3% del Pil) causato dalla scelta di Salvini e Di Maio, la scorsa estate, di non rimettere mano ai conti nonostante i suggerimenti di Bruxelles. C’è poi il 2019, con la Ue pronta a tagliare ancora le previsioni di crescita per l’Italia dallo 0,2% stimato a febbraio a un misero 0,1%. Inoltre la Commissione certificherà che il governo non ha mantenuto l’impegno preso a dicembre da Conte e Tria su un deficit nominale del 2,04% del Pil e su uno strutturale in equilibrio. Per Bruxelles infatti l’Italia quest’anno è proiettata verso un disavanzo intorno al 2,6%”.

L’economia brucia

“Mentre Palazzo Chigi litiga, l’Economia brucia. In trepidante attesa” è il folgorante attacco del retroscena del Corriere della Sera, che racconta le preoccupazioni del ministro Tria sulle tensioni del momento all’interno del governo, con il rischio di una crisi sul “caso Siri”, e quindi le dirette e inevitabili ricadute sulla manovra. Perché, se da un lato è vero “che la manovra andrà tecnicamente scritta in autunno”, dall’altro “sarebbe politicamente necessario prepararsi, trovare un’intesa sulla strada da seguire, dato che — come Tria ha avuto modo di dire — ‘non sarà possibile abbassare le tasse, far crescer e la spesa e allo stesso tempo bloccare l’aumento dell’Iva’”.

Chiaro, ma “nel governo però non c’ è modo di ricevere attenzione, visto che gli interlocutori sono impegnati a far salire la tensione” sottolinea il giornale. Guardando al voto e al consenso.

E guardando ancora al Rapporto di Bankitalia, Il Sole 24 Ore osserva che “c’è una cifra: 4 miliardi. È questo l’extra costo dello spread nel biennio 2019- 2020 rispetto ad un anno fa se i rendimenti all’emissione dei titoli di Stato dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati. Un fardello che andrebbe a sommarsi ai 64 miliardi di costo del debito previsto nel Def”. Ciò che metterebbe a repentaglio la stabilità finanziaria del Paese, “perché i rischi sono in aumento” e “l’indicatore di stress macrofinanziario dell’Italia si mantiene su livelli elevati”.

Credito poco accessibile

“Ma il nodo – rileva il quotidiano di Confindustria – è che ‘le condizioni di accesso al credito stanno peggiorando, soprattutto per le aziende più piccole’. Da diversi anni, a causa delle selettività degli intermediari, “la crescita del debito bancario è limitata alle imprese finanziariamente più solide e a quelle di maggiore dimensione’”. Ciò che rende il quadro d’insieme assai più complicato.

Agi

Bruxelles dovrebbe dare il via libera all’acquisto di Shazam da parte di Apple

Si avvia a conclusione l’acquisizione di Shazam​ da parte di Apple. Il servizio online per il riconoscimento e l’identificazione della musica, che consente di conoscere il titolo di una canzone semplicemente facendola sentire al proprio smartphone, era stato oggetto a dicembre di un’offerta da parte di Cupertino, passata al vaglio dell'Antitrust europeo. Secondo indiscrezioni rivelate da Reuters, sembra che la Commissione sia intenzionata a dare il via libera all’operazione, che renderà il servizio di musica in streaming iTunes più competitivo rispetto ai rivali Spotify e YouTube. La decisione definitiva è attesa per il 18 di settembre. Il valore di acquisto, inizialmente stimato in 346 milioni di euro, non è noto. 

La Commissione Europea aveva aperto ad Aprile un’indagine volta ad accertare che l’acquisizione non costituisse per Apple un ingiusto vantaggio rispetto ai concorrenti. Il timore è che Shazam possa smettere di indirizzare gli utenti verso le altre piattaforme per l’ascolto di musica, selezionando automaticamente iTunes. Oggetto dell’indagine da parte dell’Antitrust è stato anche il rischio che Apple volesse acquisire una società ricca di dati – le informazioni dei propri utenti -, per estromettere i concorrenti dal mercato. Apple Music è, in Europa, il secondo servizio di streaming musicale dopo Spotify, mentre negli Stati Uniti è al primo posto.

Attualmente il mercato della musica in streaming è dominato dall’azienda svedese Spotify, che conta 170 milioni di utenti, di cui 83 milioni abbonati alla versione Premium. A seguire Apple Music, che per numero di utenti è prima negli Stati Uniti e seconda in Europa e conta 50 milioni di utenti a pagamento o che hanno iniziato un periodo di prova per la versione Premium. Nella classifica seguono Amazon, Deezer, Pandora e Napster (dati MIDiA). Esclusa dalla classifica per ora You Tube Music, il cui numero di utenti non è pubblico ma che non sembra aver ancora conquistato fette rilevanti di mercato. 

Leggi anche: Come funziona Youtube Music, l'app di musica in streaming per sfidare Spotify

Secondo le previsioni di Statista, il mercato dello streaming musicale varrà circa 10 miliardi di euro entro la fine del 2018, segnando una crescita del 6,6 per cento annuo fino al 2022. Previsione che risulta ancora più significativa se la si compara con l’andamento del mercato dello streaming video: nel solo 2016 gli utenti delle cinque principali piattaforme di streaming musicale hanno visto una crescita doppia rispetto a Netflix (più 48 per cento contro il 24 per cento della piattaforma video), dimostrando una particolare tendenza all’espansione dei prodotti legati al mondo musicale. 

Agi News

Così Bruxelles vuole imporre più trasparenza alle piattaforme online

Il digitale è un canale di vendita, spesso, irrinunciabile. Tante aziende però sono obbligate a passare da alcuni “imbuti”, che si chiamano Amazon, Google, Expedia. Intermediari che danno più o meno visibilità a un articolo, un'azienda, un hotel.

Con quali criteri? Vuole capirlo meglio l'Unione europea, che ha presentato una proposta di legge rivolta alla gestione dei rapporti tra grandi piattaforme e aziende. Obiettivo: “Garantire un contesto imprenditoriale equo, prevedibile, sostenibile e affidabile nell'economia online”.

La parola chiave è “trasparenza”. Nei termini di utilizzo dei servizi, la loro gestione dei dati, le politiche di prezzo adottate, i motivi che portano all'esclusione o alla maggiore visibilità di un'impresa. Le regole si rivolgono quindi a qualsiasi piattaforma che, in base alle esigenze degli utenti, restituisce una gerarchia di offerte. Come fanno app store, motori di ricerca, siti di e-commerce e servizi di prenotazione di hotel.

“Contro l'abuso di potere”

“Piattaforme e motori di ricerca – ha spiegato la commissaria all'Economia digitale Mariya Gabriel – sono canali importanti per far sì che le imprese europee raggiungano i propri clienti. Dobbiamo essere certi che non abusino del loro potere. Stiamo facendo un passo importante – ha continuato – per introdurre regole chiare sulla trasparenza, un meccanismo efficiente per la risoluzione delle controversie”. La proposta include anche “l'avvio di un osservatorio per analizzare le pratiche delle piattaforme online in modo più dettagliato”. Si tratta, appunto, di “un passo”. Che porterà al Parlamento europeo e poi all'approvazione dei singoli Stati. Non si tratta quindi, ancora, di una legge, ma di una proposta. Ecco quello che prevede.

Aumento della trasparenza

Le piattaforme online devono garantire che le condizioni applicate siano facilmente “comprensibili e disponibili”. Devono essere indicati “in anticipo” (cioè nei termini di servizio sottoscritti quando si accede al servizio) i motivi per cui un'impresa può essere eliminata o sospesa dalla piattaforma. In questi casi, sarà comunque obbligatorio dare un preavviso per consentire alle aziende di attuare modifiche per adeguarsi.

La gestione dei dati

Le piattaforme devono formulare e pubblicare “politiche generali” che riguardano: i dati generati dai loro servizi cui è possibile accedere, chi può accedervi e a quali condizioni; il trattamento dei dati; il modo in cui utilizzano le clausole contrattuali per richiedere la gamma più favorevole o il prezzo più conveniente dei prodotti e dei servizi offerti. Gli intermediari online e i motori di ricerca dovranno “stabilire i criteri generali che determinano l'ordine in cui i beni e i servizi sono classificati”. L'Unione europea vuole quindi mettere un occhio negli algoritmi che rispondono alle domande degli utenti.

Risoluzione delle controversie

Quando aziende piattaforme arrivano allo scontro, le nuove regole puntano a un percorso che faciliti la risoluzione delle controversie. Gli intermediari devono dotarsi di un sistema interno di trattamento dei reclami. Per non favorire un punto d'incontro senza arrivare in tribunale, le piattaforme online dovranno “elencare nelle loro condizioni i nominativi dei mediatori indipendenti e qualificati con cui intendono cooperare in buona fede per la risoluzione delle controversie”. Per riequilibrare la bilancia delle forze in campo, l'Ue offrirà alle aziende uno strumento in più: “Alle associazioni che rappresentano le imprese sarà riconosciuto il diritto di agire in giudizio per conto delle imprese per ottenere l'applicazione delle nuove norme”.

L'osservatorio europeo

L'Ue battezza un osservatorio per capire se le nuove norme (quando approvate e applicate) funzionano. “Monitorerà problematiche e opportunità attuali e future nell'economia digitale” per consentire alla Commissione di sviluppare nuovi punti o correggere rotta. In base ai risultati fotografati dall'osservatorio, “la Commissione valuterà la necessità di ulteriori misure entro tre anni”.

Agi News

Tra Washington e Bruxelles è già guerra commerciale?

Donald Trump rilancia nello scontro sui dazi: dopo aver ribadito che le nuove misure sulle importazioni di acciaio ed alluminio riguarderanno anche Ue e Canada, il presidente americano ha minacciato di colpire le auto europee vendute in America se da Bruxelles arriveranno ritorsioni. Un monito che rischia di alimentare una guerra commerciale, al punto che il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha invitato l'Europa a una reazione "misurata".

Fonti vicine al presidente americano citate dal Wall Street Journal hanno riferito che Trump ha escluso che Ue e Canada possano ricevere esenzioni sui dazi del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio perché creerebbero "un terreno scivoloso". Poi è arrivato il tweet presidenziale a diffidare il Vecchio continente dall'introdurre rappresaglie commerciali: "Se la Ue vuole aumentare ulteriormente i già massicci dazi e barriere imposte alle società Usa che fanno affari lì, noi semplicemente applicheremo una tassa sulle loro auto che liberamente entrano negli Stati Uniti". "Rendono impossibile vendere le nostre auto (e molte altre cose) da loro", ha aggiunto alludendo ai Paesi europei, "grande squilibrio commerciale!".

In un secondo tweet il presidente americano sottolinea come "gli Stati Uniti hanno 800 miliardi di dollari l'anno di deficit commerciale a causa dei nostri stupidi accordi e delle nostre stupide politiche. I nostri posti di lavoro e la nostra ricchezza vanno a finire in altri Paesi che si sono approfittati di noi per anni. Loro ridono su quanto sciocchi sono stati i nostri leader. Mai più!".

Juncker: "Non nasconderemo la testa sotto la sabbia"

Da Bruxelles, il presidente della commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha replicato spiegando che la Ue potrebbe considerare di imporre dazi su famosi prodotti americani, compresi "Harley-Davidson, il bourbon ed i blue jeans". "Noi vorremmo una relazione ragionevole con gli Usa, ma non possiamo semplicemente mettere la testa sotto la sabbia", ha spiegato. L'Ue penserebbe a tariffe doganali del 25% su circa 3,5 miliardi di dollari di importazioni dagli Stati Uniti. Possibile anche un ricorso alla World Trade Organization insieme agli altri Paesi danneggiati e la valutazione di misure di salvaguardia. L'impressione, però, è che la Casa Bianca non intenda fare retromarce nella nuova guerra commerciale di Trump che, dopo pannelli solari e lavatrici, rischia di chiudere le porte dell'America a materi prime prime fondamentali come acciaio e alluminio, che arrivano soprattutto da Canada, Europa e Cina.

Così Calenda ha sottolineato che "la scelta di Trump di non escludere dai dazi l'Ue rischia di avere serie conseguenze che vanno ben oltre quelle economiche, un'altra frattura in un Occidente già diviso e indebolito". Di qui l'appello all'Ue che "deve avere una reazione misurata per non innescare una guerra commerciale". 

Ma in Usa non tutti stanno col presidente

I dazi Usa suscitano perplessità anche nello staff di Trump: il consigliere economico della Casa Bianca, Gary Cohn, ha minacciato di dimettersi, una decisione che rischia di spaventare i mercati. E il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che "le restrizioni sulle importazioni annunciate dal presidente Usa causeranno probabilmente danni non solo al di fuori dagli Stati Uniti ma anche all'economia statunitense, inclusi il suo settore manifatturiero e quello delle costruzioni".

Agi News