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I titoli di Stato italiani (a breve) valgono o no meno di quelli greci?

Italia come la Grecia, uno spettro che in molti hanno agitato – o temuto – nei giorni apicali della crisi che ha portato alla nascita del governo Conte. Quando cioè si prevedeva quasi da ogni parte un riscorso alle elezioni anticipatissime di agosto, la Borsa cedeva e lo spread schizzava in su come il fiotto di una fontana appena inaugurata.

A dire il vero, anche dopo non tutti si sono tranquillizzati, soprattutto perché anche dopo la nascita del governo lo spread ha continuato a fluttuare su valori attorno, se non oltre, i 200 punti.

Perché la Grecia fa paura

L’accostamento della situazione italiana a quella greca evoca paure quasi ancestrali in tutti i settori della società, perché la crisi deflagrata ad Atene nel 2011 (ma in realtà aperta già nel 1009, con l’ammissione che qualcuno aveva truccato i conti per riuscire ad entrare nell’euro) ha avuto costi finanziari estremamente ingenti, e sociali spaventosi.

Il Paese solo ora sta uscendo dal tunnel, ma il miglioramento dei conti pubblici dopo tre duri piani di salvataggio messi a punto da Fmi e Ue non può nascondere che i costi sociali sono stati altissimi e non ancora superati.

Più deboli della Grecia?

Per questi motivi quando, sul Corriere della Sera, Federico Fubini lancia l’allarme in molti deglutiscono con difficoltà. “Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani”, rivela la prima firma del Corriere in materia economica, “Il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di Atene”. Più alto è il rendimento, più alta è la percentuale di rischio; quindi più alto il rendimento, minore è la fiducia dei mercati nel Paese che gli emette (in questo caso l’Italia).

In altre parole, mettiamo paura. Noi, non la Grecia.

C’è chi dice no

Rispondono piccati Claudio Borghi Aquilini e Alberto Bagnai. Il primo è il responsabile economico della Lega e ha insegnato per anni economia prima di abbracciare la politica, il secondo è docente universitario. Entrambi sono parlamentari del Carroccio, nonché molto scettici in materia di euro.

“Peccato non sia vero”, scrivono insieme al Corriere. “Basta aprire un qualsiasi sito di borsa per sincerarsi che né i Bot a 3 mesi né quelli a 6 hanno un prezzo di mercato inferiore a quello degli omologhi greci”.

La controrisposta

Fubini ribatte con lo stesso tono. Elenca numeri e cifre, nota che “il 29 maggio i Bot semestrali sono stati collocati al rendimento di 1,213 percento, mentre la stessa settimana i pari titoli greci allo 0,85 percento”. E prosegue: “Lo mostra un semplice grafico Bloomberg. Forse i due esponenti politici (Borghi Aquilini e Bagnai, ndr) dovrebbero mandare le precisazioni a quell’agenzia”. E aggiunge anche l’indirizzo di New York, prima di concludere: “Il crollo di valore dei titoli italiani dell’ultimo mese si spiega con il timore per le posizioni che i due propugnano: l’uscita dall’euro”.

Il problema è sempre quello

Insomma, se per Borghi e Bagnai il problema non esiste, per Fubini esiste eccome e consiste proprio nell’essere questo governo giallo-verde retto da un sostanziale credo euroscettico.

Ma proprio ieri lo spread è sceso (anche se a quota 236) e, soprattutto, la Borsa ha guadagnato più di tre punti. Con questo governo giallo-verde.

Ma la cosa, nota qualcuno, deve essere messa direttamente in relazione con un’intervista rilasciata sempre al Corriere della Sera da ministri dell’economia, Giovanni Tria. In cui il titolare di via XX Settembre dice due cosa. La prima: l’euro no si tocca. La seconda: massima attenzione ai conti pubblici. E alla fine Milano è la migliore d’Europa. I maligni potrebbero pensare che qualcun altro, al posto di Tria, non sarebbe riuscito allo stesso modo a rassicurare i mercati.

Agi News

Ma Savona vuole davvero il ritorno alla Lira? Breve storia del “Piano B”

Con una lettera Paolo Savona ha provato il 27 maggio a fugare i dubbi sulla sua posizione anti europeista. In un testo affidato a Scenarieconomici.it, sito a cui spesso il professore ha affidato le proprie riflessioni su economia, finanza e innovazione, dice: "Le mie posizioni sono note. Voglio un' Europa diversa, più forte ma più equa". Savona ha parlato di “polemiche scomposte” auspicando inoltre l'attribuzione "al Parlamento europeo di poteri legislativi sulle materie che non possono essere governate con pari efficacia a livello nazionale". Propone di "creare una scuola europea di ogni ordine e grado per pervenire a una cultura comune che consenta l'affermarsi di consenso alla nascita di un'unione politica". 

Parole però che non hanno tranquillizzato fino in fondo. Non sul tema più caldo, quello su cui molti si aspettavano qualche riga. Nella lettera infatti non si fa riferimento diretto all’euro, né alle sorti dell'Italia dentro o fuori la moneta unica. Savona è in questi giorni indicato da molti come l’ideatore di un piano B per risolvere la crisi dell’eurozona. Il primo, il piano A, prevedeva una riforma dell’area euro ma una sostanziale sopravvivenza della moneta unica. Il secondo, quello B appunto, una rottura ordinata dell’euro e un ritorno alla sovranità monetaria nazionale, alla libertà di creare moneta, di svalutare per favorire le esportazioni, in sintesi un ritorno ad una moneta nazionale come fu la Lira.

 

Ma Savona preferisce davvero la rottura dell'Euro?

In realtà Savona non sarebbe l’ideatore di questo piano di uscita ordinata dell’Italia dall’Euro, anche se ne parlò in alcune occasioni, come una puntata de L’infedele di Gad Lerner del 2012 che sta circolando molto sui social in queste ore. Savona, al minuto 8 di questo video ancora disponibile su Youtube, spiega alle telecamere che un piano per l'uscita ordinata dall'Euro e un ritorno ad una moneta nazionale, come era la Lira, era qualcosa che già l'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti aveva preparato, dicendosi sicuro che anche Bankitalia, "conoscendola bene" aveva pronto un piano alternativo all'Euro in caso di emergenza: il famoso Piano B, che però non dice mai di preferire ad una riforma dell'Euro stando dentro l'Euro. 

In articolo sempre su Scenarieconomici.it pubblicato il 27 maggio si ricostruisce la storia del Piano B e della sua relazione con Savona, che oggi si dà per scontata: emerge che nel 2015, durante una conferenza alla Link University di Roma intitolata proprio “Un piano B per l’Italia, Paolo Savona fece solo l’introduzione alla discussione, dove però si concentrò solo sul piano A, quello che spesso ha detto di preferire, ovvero una serie di misure necessarie  “per rendere l’Euro una moneta veramente comune ed unitaria europea”.

Mentre in realtà il Piano B sarebbe stato il frutto del lavoro di un team di economisti non concepito come “una strada da percorrere, ma come un piano di emergenza a fronte di eventi monetari improvvisi e di rottura”. Una sorta di “Lancia di salvataggio” o di “Uscita d’emergenza” economica, spiega l’articolo che ricorda l’evento, “che viene progettata non per un suo normale utilizzo, ma per far fronte ad eventi imprevedibili ed indesiderati che, comunque, potrebbero accadere non per nostra volontà”.

 

@arcangeloroc

Agi News

Ecco come funzionerà (in breve) il nuovo Reddito di inclusione

Primo giro di boa per il decreto legislativo che introduce una misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, ossia il Reddito di inclusione (chiamato REI). Dopo il via libera del Consiglio dei ministri  (che attua la delega), dovrà ora acquisire i pareri delle commissioni parlamentari competenti. Quindi quello di ieri è stato un primo passo verso l'entrata in vigore definitiva.

QUANDO SCATTA
La nuova misura entrerà in vigore dal prossimo primo gennaio.

CHI NE HA DIRITTO 
Viene riconosciuto alle famiglie con un reddito (vale l'ISEE), non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20.000 euro (in questo si permette l'accesso anche a chi è proprietario della casa in cui abita, ma versa in uno stato di povertà). In prima applicazione sono prioritariamente ammessi i nuclei con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati ultra cinquantacinquenni. Secondo stime del governo, si rivolgerà a 660 mila famiglie, 560 mila con figli minori. Fermo restando il possesso dei requisiti economici, il REI è compatibile con lo svolgimento di un'attività lavorativa.

A CHI NON SPETTA
La misura non è compatibile con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, della NASpI o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria. Non potranno accedere alla misura anche coloro che nei due anni precedenti la richiesta hanno acquistato auto, moto o barche.

A QUANTO AMMONTA
Si tratta di un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti.

DURATA
Il ReI sarà concesso per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e sarà necessario che trascorrano almeno 6 mesi dall'ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente.

COME RICHIEDERLO
Al ReI si accederà attraverso una dichiarazione a fini ISEE "precompilata". E' un'importante innovazione di sistema, che caratterizzerà l'accesso a tutte le prestazioni sociali agevolate migliorando la fedeltà delle dichiarazioni da un lato e semplificando gli adempimenti per i cittadini dall'altro.

 

 

Spiega il ministro del lavoro Poletti: "Il beneficio del reddito di inclusione nella prima fase sarà destinato a 660 mila famiglie e andrà da un minimo di 190 euro a un massimo di 485 euro". Le risorse per il reddito di inclusione saranno pari a circa "2 miliardi di euro l'anno nei prossimi anni. Noi stiamo lavorando su diverse materie in una logica molto forte di integrazione tra strumenti che esistono per promuovere politiche di inclusione: è un'opera non semplice perchè significa far collaborare uffici diversi, modelli diversi. Abbiamo presentato il reddito di inclusione che è uno strumento universale che fa riferimento a tutti i soggetti ma in una continuita'", ha aggiunto il ministro.

Leggi anche il servizio sul Sole 24 ore e l'articolo sul Messaggero

Poletti: "Ecco le nostre priorità"

Nel bilancio dello Stato, ha ricordato Poletti, "c'è il Fondo per la poverta' che vale 1,7 miliardi che si deve incrementare con un riordino delle misure in campo e con la decisione di destinare una quota rilevante del Fondo di inclusione al potenziamento dei servizi che devono prendere in carico le persone che avranno diritto al sostegno al reddito". Il 15% del Fondo sarà destinato al potenziamento dei servizi nel territorio e alle politiche attive. Le presenze nei centri per l'impiego verranno incrementate con 600 unità. La priorità nel riconoscimento del beneficio verrà data ai nuclei "con almeno un figlio minorenne o con disabilità anche se maggiorenne, a quelle con una donna in stato di gravidanza o a un over50 in disoccupazione".

 

Agi News