Perché il neonato colosso Fuji Xerox scontenta sia giapponesi che americani

La giapponese Fujifilm ha annunciato l’accordo per rilevare Xerox, l’azienda americana di stampanti e fotocopiatrici, in un affare che si concluderà, tra luglio e agosto prossimi, in una rinnovata joint venture. Tecnicamente si chiama merger, in parole povere è una fusione in una nuova società.

In questo caso la nuova società rimarrà la Fuji Xerox, l’associazione tra le due società che esiste dal 1962, che però cambierà nelle percentuali di gestione. A transazione conclusa, il potere sarà in mano giapponese: la Fujifilm avrà infatti il 50,1% della joint venture. Apparentemente meno del 75% che ha oggi, ma in realtà non è così perché Xerox verrà inglobata in Fuji Xerox.

I dettagli dell’accordo, annunciato mercoledì 31 gennaio, prevedono che Xerox mantenga comunque il proprio marchio e rimanga quotata alla New York Stock Exchange.

Il Financial Times ha definito “inusuale” la struttura dell’accordo che si articola in tre fasi. “Attraverso prestiti delle banche per 6,1 miliardi di dollari Fuji Xerox ricomprerà il 75% delle azioni della joint venture in mano a Fujifilm – spiega il quotidiano statunitense -. A quel punto la stessa società giapponese userà quei proventi per ottenere il 50,1% delle azioni di Xerox. E in ultimo Fuji Xerox si fonderà con Xerox”.

Insieme è meglio. O no?

Il gruppo, come detto, sarà in mano giapponese. E anche se il sito ufficiale di Xerox utilizza il promettente slogan “Better. Together” per annunciare l’accorpamento che promette di “creare la società leader globale nelle tecnologie di stampa innovativa e nelle soluzioni di lavoro intelligente”, non tutti sono d’accordo. Per Bloomberg, ad esempio, l’accordo segna “la fine dell’indipendenza del gigante che un tempo era l’icona dell’innovazione americana”. Anche da Tokyo i commenti all’operazione non sono lusinghieri: il Financial Times riporta la dichiarazione di un anonimo analista di Fujifilm secondo cui è “un affare di non-crescita non essendoci ragioni valide per comprare Xerox”. Il motivo? “Fujifilm possiede già oggi il 75% della joint venture, perciò sono già sufficientemente esposti. Avrebbero dovuto investire le risorse in aree utili a crescere (negli ultimi tempi i giapponesi avevano aperto nuove aree di business come cosmetici, ndr) oppure restituire i fondi agli azionisti”.

Via libera ai tagli

Tutti scontenti quindi, sia da una parte che dall’altra del Pacifico. Ma il nuovo assetto societario colpirà pesantemente anche i dipendenti della Fuji Xerox nella regione asiatica: sono annunciati più di 10 mila licenziamenti, pari al 22% della forza lavoro della joint venture.

Non più tardi di due settimane fa il quasi ottantaduenne imprenditore newyorkese Carl Icahn, noto per le sue operazioni di corporate raid – cioè investire in aziende indebitate o in difficoltà cercando di risanarle o di smembrarle e rivenderle -, aveva scritto una lettera infuocata rivolta agli altri azionisti di Xerox (Icahn ne è il primo, con azioni pari al 9,7% del totale). Nel testo l’arzillo imprenditore attaccava il management della società statunitense accusandola di essere “chiaramente incapace di rinegoziare la joint venture in modo più favorevole”.

Con l’accordo odierno il nuovo super gruppo da 18 miliardi di dollari di ricavi prevede di risparmiarne 1,7 entro il 2022. La joint venture, quando l’accorpamento diverrà effettivo, sarà guidata da Jeff Jacobson, attuale CEO di Xerox, mentre il parigrado di Fujifilm, Shigetaka Komori, ne assumerà la presidenza.

“Abbiamo preso la decisione in fretta – ha commentato Komori – ma credo sia una soluzione creativa”. Il CEO di Xerox ha invece spiegato come l’unione possa assicurare migliori margine nelle nuove tecnologie, offrendo ricavi maggiori e abbattendo i costi, annunciando anche una somma pari a 2,5 miliardi di dollari di dividendi destinata proprio agli azionisti di Xerox. 

Agi News