Perché gli host Airbnb non pagano la cedolare secca per gli affitti brevi

Ad oggi la piattaforma non ha trattenuto l’imposta del 21% in attesa di leggere il provvedimento dell’agenzia delle entrate emesso mercoledì. 
Il 16 luglio è la data ultima per gli host di Airbnb (coloro che affittano casa) per mettersi in regola col fisco pagando la cedolare secca del 21%. Ma difficilmente lunedì 17 entrerà qualcosa nelle casse dello Stato perché quello che trapela è che ad oggi la piattaforma non ha trattenuto l’imposta per il mese di giugno in attesa di leggere il provvedimento dell’agenzia delle entrate emesso mercoledì. Contattato dall’Agi, Airbnb sceglie di mantenere il silenzio. Almeno per le prossime ore.  

Cos’è la tassa ‘Airbnb’

Dal 1 giugno è in vigore la nuova misura che prevede una transazione secca del 21% anche per gli affitti brevi “inferiori ai 30 giorni, stipulati da persone fisiche direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online”. Come Booking e Airbnb, per intenderci. Il provvedimento, inserito nella manovra correttiva di primavera ha sostituito quella dell'Irpef e quella di registro che chi affitta è chiamato a pagare a fine anno con la dichiarazione dei redditi. 

“Mai come sostituti d’imposta”

Ma il colosso dell’home-sharing non ne vuole sapere. Le ragioni del braccio di ferro, Airbnb, le ripete da tempo: non ha alcuna intenzione di operare da sostituto d’imposta.  Secondo quanto stabilito nel provvedimento, “Airbnb e le altre società che offrono il servizio di intermediazione immobiliare per le locazioni non superiori a 30 giorni devono, da questo mese, farsi carico di trasmettere al fisco i dati relativi ai contratti conclusi”. In particolare, si legge sul Sole 24 Ore, “devono comunicare il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile. La predisposizione e la trasmissione dei dati deve avvenire attraverso i canali telematici dell’Agenzia. “La nuova imposta così come è stata pensata viola in diversi punti la normativa europea, soprattutto in termini di privacy e di territorialità, ha spiegato all’Agi agli inizi di giugno Matteo Stifanelli, country manager per l’Italia del colosso. In pratica per Airbnb, che fattura i suoi servizi dall'Irlanda, il ruolo di sostituto d'imposta comporterebbe l'obbligo di avere la residenza fiscale in Italia. E ciò è contrario alla libertà di stabilimento che la Ue garantisce alle piattaforme digitali, avevano chiarito rilanciando con la proposta di stipulare accordi diretti con l’Agenzia delle Entrate. 

Il tesoro degli affitti brevi

Il rischio, osserva ancora Business Insider, è quello di non riuscire a mettere le mani sul tesoretto degli affitti brevi: “solo nel 2016 gli utenti di Airbnb hanno incassato 621 milioni di euro che con la cedolare secca avrebbero portato al Tesoro poco più di 130 milioni di euro. Alcune stime prudenziali, però, indicano che il mercato di riferimento valga almeno un miliardo, ma secondo altri non si è lontani dai 3 miliardi di euro. Tradotto: le nuove entrate potrebbero oscillare tra i 210 e i 630 milioni di euro”. 

 

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