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Zuckerberg ha venduto azioni di Facebook per 500 milioni in un solo mese 

Mark Zuckerberg, 34enne fondatore e amministratore delegato di Facebook, ha venduto circa 500 milioni di dollari di azioni della sua società a febbraio. Lo ha rivelato Reuters. I soldi serviranno al numero uno di Facebook per finanziare il suo veicolo di investimento filantropico, la Czi (Chan Zuckerberg Initiative). Una mossa che non deve sorprendere. Zuckerberg da tempo sta accelerando la vendita delle sue azioni per finanziare la fondazione creata con sua moglie Priscilla Chan nel 2015.

Alcuni documenti che Reuters ha avuto modo di visualizzare giovedì dimostrano che Zuckerberg ha venduto 685.000 azioni per un controvalore di 125,4 milioni negli ultimi tre giorni di febbraio, vendite che hanno portato quelle dell'intero mese a circa 2,7 milioni di azioni per un valore di 482,2 milioni. "Queste vendite sono l'ultimo tassello di un processo che Mark ha cominciato lo scorso settembre per finanziare il lavoro della Chan Zuckerberg Initiative nel campo della scienza, dell'istruzione e delle questioni relative alla giustizia e alle pari opportunità", ha detto a Reuters un portavoce della fondazione.

Zuckerberg aveva già annunciato che avrebbe venduto nei prossimi anni il 99% delle sue azioni di Facebook in favore della Czi. Finora ha venduto 1,6 miliardi di azioni tra il 2016 e il 2017, secondo un calcolo fatto dal sito di informazione tecnologica Recode. La sua fondazione è assai simile a quella di altri miliardari americani, primi tra tutti Bill Gates con sua moglie Melinda e Warren Buffet con la sua Buffet Foundation.

Agi News

Cosa fare con le auto diesel? In Germania decideranno i comuni

Un tribunale tedesco ha stabilito che Stoccarda e Duesseldorf potranno imporre nei centri storici il divieto alla circolazione dei veicoli diesel più inquinanti. La sentenza era attesa con il fiato sospeso, perché schiude la possibilità che altre città tedesche, preoccupate dall'inquinamento dell'aria, possano applicare il divieto che potrebbe riguardare anche automobili vendute pochi anni fa, come i diesel Euro 5. Una sentenza, dunque, destinata ad avere ripercussioni in maniera drammatica sul valore delle auto diesel.

La Corte federale amministrativa di Lipsia ha dunque stabilito che le città di Stoccarda e Duesseldorf potranno proibire la circolazione dei veicoli diesel piùinquinanti, senza la necessità di una legge nazionale, proprio per garantire la pulizia dell'aria nei centri abitati. Sollecitati dall'organizzazione ambientale Deutsche Umwelthilfe (DUH), i giudici amministrativi avevano chiesto ai rispettivi governi regionali di cambiare i loro piani anti-inquinamento in modo che le due città non superassero i livelli massimi di NO2, biossido di azoto; e avevano ipotizzato che una misura valida potesse essere il divieto di circolazione per alcune automobili diesel. Ma i governi regionali del Baden-Wuerttemberg e del Nord Reno-Vestfalia avevano impugnato la sentenza. La Corte superiore ha stabilito operò che la misura è legale e che non è necessaria una regolamentazione a livello federale.

Gli ambientalisti festeggiano, il governo no

La notizia è stata accolta con tripudio dalle associazioni ambientaliste, che da tempo avevano denunciato come le città abbiano il dovere di proteggere la salute dei cittadini. Il governo invece ha cercato di correre ai ripari e soprattutto rassicurare i proprietari di auto: il ministro dell'ambiente ha detto che il divieto di circolazione in città alle auto diesel più inquinanti è "evitabile"."Il giudice non ha emanato alcun divieto di circolazione, ma fatto chiarezza sulla legge. Il mio obiettivo è quello di evitare che tali divieti di circolazione entrino in vigore", ha detto la socialdemocratica Barbara Hendricks, riassumendo l'ostilità delle autorità tedesche per la messa al bando delle vetture diesel più vecchie nei centri urbani. 

In realtà le autorità locali, secondo alcuni, possono ridurre i livelli di particelle fini e inquinanti con altri mezzi purché efficaci; decidere come farlo senza imporre divieti sarà probabilmente lo scoglio su cui si confronteranno, nei mesi e gli anni avvenire, le città, gli Stati e il governo federale, insieme alla Commissione Europea, le case automobilistiche, quelle degli automobilisti e gli ambientalisti. Se il Partito socialdemocratico rinnoverà la Grande Coalizione con i conservatori di Angela Merkel (i risultati del referendum tra la base dei militanti saranno resi noti domenica 4 marzo) il tema potrebbe essere argomento di tensione dal primo giorno del quarto mandato della 'cancelliera'. 

I livelli di emissioni da diesel nell'aria della città sono un tema 'sensibile' in Germania, soprattutto da quando la più grande casa automobilistica del mondo, la Volkswagen​, ha ammesso nel 2015 la manipolazione di 11 milioni di veicoli in tutto il mondo per ingannare i test richiesti dalla legge.

Agi News

Storia di La Perla, l’ultimo simbolo (sexy) del made in Italy acquistato all’estero

Pochi sanno che La Perla ha vestito, se di vestito si può parlare, anche l'attore Daniel Craig che nel 2006 nel film di 007 Casino Royale, indossò un costume da bagno Grigioperla. Cimelio che nel 2012 è stato poi battuto dalla casa d'aste Christiès in occasione del cinquantenario del primo film di James Bond, per 44.450 sterline (oltre 50 mila euro).

Comunque sia, La Perla è sempre stato sinonimo di lingerie di gran lusso, ed ora diventa un altro di quei gran pezzi del Made in Italy che se ne va, venduta al fondo olandese Sapinda.

Il nome dell'azienda venne ispirato da una scatola foderata in velluto rosso, simile ad un cofanetto da gioielliere, in cui erano inserite le prime collezioni. E quindi La Perla venne scelto come nome per simboleggiare l'armonia, il lusso e la femminilità.

Per oltre 60 anni, è stato così un marchio celebre principalmente per la produzione di lingerie, e poi in seguito anche di costumi da bagno, dalla linea estremamente raffinata e con materiali e tecnologie di pregio (ad esempio il ricamo Cornelly, il macramè, la seta soutache, l'antica tecnica del ricamo a frastaglio e la dentelle de Calais).

Guidata dalla fondatrice Ada Masotti dal 1954 al 1981, l'azienda passò alla sua morte al figlio Alberto Masotti che dopo aver conseguito una laurea in medicina, decise di dedicarsi interamente all'impresa di famiglia, guidandola dal 1981 al 2007.

2008. La Perla passa ad un fondo di San Francisco

Dopo un quarto di secolo, nell'ottobre del 2008 La Perla venne venduta a JH Partners, una private equity con sede a San Francisco e focalizzata sugli investimenti in aziende di servizi e marchi di lusso.

2013. L'acquisto da parte di Silvio Scaglia

Nel 2013 è ritornata italiana, essendo stata acquisita dall'imprenditore Silvio Scaglia, tramite la holding Pacific Global Management, che ha comprato l'azienda all'asta organizzata dal tribunale fallimentare di Bologna per 69 milioni di euro rilanciandola successivamente con un piano di sviluppo mirato al consolidamento dell'identità del marchio. Per questo scopo sono stati investiti 350 milioni.

Dopo l'interesse suscitato ai cinesi, è partita poi la trattativa in esclusiva con Fosun (proprietaria dei club Med e del Cirque de Soleil), scaduta a metà gennaio e infine naufragata. Secondo fonti vicine all'operazione, i motivi della rottura con Scaglia vertevano su investimenti e produzione.

Oggi la società che ha un quartier generale a Londra, 150 negozi monomarca sparsi nel mondo e 1.500 dipendenti, passa in mani olandesi. Il fatturato dell'azienda viaggia intorno ai 150 milioni di euro, mentre il pareggio di bilancio è fissato ad un fatturato di 220 milioni. Secondo alcuni calcoli, perde tra gli 80 e i 100 milioni di euro l'anno.

Gli altri brand di lusso passati in mani straniere

 La Perla è solo l'ultimo di una lunga lista di brand del lusso made in Italy che sono finiti in mani straniere. Tra gli altri casi più significativi, quello di Gucci acquisita dalla holding francese Kering nel 1999 per 3 milioni di dollari. Un affare che si è rivelato tale nel tempo visto che il fondo internazionale ha contato nel 2017 oltre 3 miliardi di ricavi supplementari e più di un miliardo di crescita del risultato operativo.

Risultati dovuti innanzitutto alla crescita di Gucci (da solo il marchio vale 6,2 miliardi di euro). Oltre Gucci, Kering ha successivamente acquisito nel 2001 il prestigioso marchio italiano di pelletteria Bottega Veneta, la quale negli ultimi anni ha contribuito molto ad aumentare i guadagni della multinazionale, anche se attualmente sta registrando un forte calo delle vendite dovuto – secondo Kering – alla diminuzione dei turisti soprattutto in Europa occidentale. C'è da segnalare che poi a sua volta Gucci ha acquisito Richard Ginori.

Kering ha acquisito Puma nel 2007 nella propria divisione Sport & Lifestyle per aggiungere nel 2013 nel suo portafogli tra i suoi brand anche Pomellato, società fondata nel 1967 da Pino Rabolini, e prestigioso marchio di gioielleria. Nel 2013 i francesi di Lmvh hanno invece acquisito Loro Piana, la prima azienda artigianale al mondo nella lavorazione del cashmere e delle lane più rare, sviluppando una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti con il suo marchio. Costo dell'operazione: 2 miliardi.

Il gruppo francese guidato da Arnault aveva già rilevato all'epoca lo storico marchio di gioielli romano Bulgari con un'operazione da 4,3 miliardi di euro nel 2011 e poi anche Fendi.

Ha suscitato invece scalpore nel 2011 la vendita della storica catena di grandi magazzini milanesi, fondata nel 1865, La Rinascente ad una società thailandese, la Central Retail Corporation, il principale distributore del Paese orientale. Insomma, le griffe italiane fanno gola non solo alla Francia ma anche all'estremo Oriente considerato anche l'esempio di Krizia, storico marchio della moda made in Italy, che è passata di mano finendo sotto il controllo della cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion Co Ltd, azienda leader sul mercato asiatico del pret-à-porter di fascia alta.

Infine, un altro caso eclatante è stato quello di Valentino Fashion Group (Vfg, che comprende il marchio omonimo e la licenza per il marchio M Missoni), passato nel 2012 per oltre 700 milioni di euro (i dettagli dell'operazione restano segreti) alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani.

Da segnalare, invece, un'operazione finanziaria in cui l'acquirente è stata un'impresa tricolore. La Moncler, azienda d'abbigliamento che produce in particolare capi invernali fondata da un imprenditore francese nel 1952 e famosa per i suoi 'piuminì, è dal 2003 proprietà dell'imprenditore italiano Remo Ruffini. 

Agi News

Qual è la città più cara d’Italia?

È Bolzano la città più cara d’Italia, seguita da Firenze e Genova. Questo il podio elaborato dalle nuove stime dell’Unione Nazionale Consumatori sulla base dei dati Istat. Nella città trentina con il picco dell'inflazione, 1,6%, equivalente, per una famiglia da 4 componenti, la spesa supplementare su base annua è di 895 euro, contro una media per l'Italia di 347 euro. Al secondo posto si piazza Firenze, dove il rialzo dei prezzi dell'1,3% determina un aumento del costo della vita, per una famiglia di 4 persone, pari a 652 euro. Al terzo c’è Genova, dove l'inflazione dell'1,4% comporta un aggravio annuo di spesa di 626 euro. La classifica continua con Aosta (580 euro), Milano (568), Trento (561), Bologna (480), Venezia (468), Torino (404) e Cagliari, una città del Sud con (346).

“Negativo che l’Istat non confermi l'indice Nic”

L'Istat non conferma i dati preliminari dell'inflazione di gennaio per quanto riguarda l'indice Nic, che sale dello 0,9%, dal +0,8% della stima precedente. "Negativo che non sia confermato il rallentamento dei prezzi, visto che avrebbe consentito di aumentare il potere d'acquisto alle famiglie”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. "L'inflazione a +0,9%, per una coppia con due figli, la classica famiglia italiana, significa avere una maggior spesa annua complessiva di 352 euro, 204 euro di questi se ne vanno solo per i beni ad alta frequenza di acquisto e 93 per il carrello della spesa, ossia per la sola spesa di tutti i giorni". Secondo i calcoli dell'associazione, per l'inesistente famiglia tipo Istat da 2,4 componenti, l'incremento dei prezzi dello 0,9% si traduce, in termini di aumento del costo della vita, in 273 euro in più nei dodici mesi, 158 per i beni ad alta frequenza e 72 per la sola spesa di tutti i giorni.

Il Trentino la regione più costosa

In testa alla classifica delle regioni più costose, in termini di rincari, c’è ancora una volta, il Trentino Alto Adige, dove l'inflazione dell'1,4% significa, per una famiglia di 4 persone, una batosta pari a 757 euro su base annua. Segue la Toscana, dove l'incremento dei prezzi pari all'1,3% implica un'impennata del costo della vita pari a 593 euro e, terza, la Valle d'Aosta, dove l'inflazione dell'1,2% genera una spesa annua supplementare di 580 euro. Al quarto posto c’è la Liguria (523), la Lombardia (518), Abruzzo (516), Piemonte (445), Emilia-Romagna (435), Umbria (355) e al decimo posto c’è la Sardegna, con 335 euro.

 

Agi News

È coreana la berlina più amata dagli americani

Le classifiche spesso lasciano il tempo che trovano. Ma sono comunque sempre uno spunto di riflessione. Soprattutto quando rompono gli schemi. È il caso che arriva dagli Stati Uniti. Nel prendere in esame i marchi premium, la classifica della rivista Consumer Reports (Una sorta di big data delle esperienze degli acquirenti di auto in Nord America) lascia ben pochi dubbi: dai feedback dei proprietari di oltre 640mila vetture, il maggior livello di soddisfazione è ottenuto da Genesis, brand di lusso dei coreani di Hyundai. Qualcosa di (quasi) sconosciuto da queste parti ma che, almeno a leggere quanto scrivono negli Stati Uniti, oltreoceano è un successo. Coreani meglio dei tanto blasonati tedeschi: Audi e Bmw si devono accontentare del secondo e del terzo posto e addirittura Mercedes è solo in quindicesima posizione.

Nel 2017 in Usa Genesis ha venduto 20.594 vetture e vale circa il 3% del risultato complessivo di Hyundai. La crescita è evidenziata dal confronto con il 2016 quando erano state poco meno di 7 mila le unità vendute. Volumi raggiunti con due modelli: le grandi berline G80, disponibile anche inversione Sport, e G90.

La sorpresa però è relativa: negli Stati Uniti, il premium asiatico tira da sempre. Marchi che in Europa fanno fatica a farsi anche notare, da quelle parti vendono. E bene. A dirlo sono come sempre i numeri: Lexus (Toyota) ha venduto nel 2017 oltre 305mila vetture e solo per qualche centinaia di pezzi ha perso la seconda posizione della classifica premium a vantaggio di Bmw (in testa c’è Mercedes). Ma è comunque davanti ad Audi per quasi 80mila auto. Funzionano anche gli altri giapponesi: Acura, il marchio di Honda, lo scorso anno ha conquistato 154mila clienti, scendendo però del 5,2% rispetto al 2016. C’è poi Infiniti, brand dell’Alleanza Renault – Nissan, che negli Stati Uniti ha immatricolato nel 2017 oltre 153mila vetture con una crescita dell’11%. Nessuna sorpresa quindi: le auto asiatiche in Nord America piacciono e tanto.

Tanto più come nel caso delle grandi berline Genesis G80 e G90, il livello di qualità non ha nulla da invidiare alle rivali tedesche. Perché se è vero che il “palato” del cliente americano è meno sensibile di quello europeo, la scelta dei materiali, gli assemblaggi e le soluzioni tecniche adottate non hanno compromessi. Anzi. Provate in strada queste berline colpiscono per comfort e silenziosità da auto di segmento superiore. Magari qualche segno di ostentazione di troppo all’interno ma nulla di più. Semmai qualche appunto può farsi sulla scelta dei motori: la Genesis G80, per fare un esempio, può contare a bordo su grandi propulsori V6 a benzina di 3,3 e 3,8 litri e V8 di 5 litri. L’ideale per le infinite highway degli Stati Uniti ma poco adatte alle trafficate città italiane. Poco male, per i coreani il rock nelle vendite americane può bastare.

In collaborazione con Automobile.it
 

Agi News

Storia della Gibson, e perché adesso rischia il fallimento 

Il celebre produttore di chitarre Gibson, i cui strumenti sono passati nelle mani, tra gli altri, di John Lennon ed Elvis Presley, rischia la bancarotta. L'azienda con sede a Nashville, nel Tennessee, che ha più di cento anni (Orville Gibson cominciò a costruire mandolini nel 1894 a Kalamazoo, in Michigan), ha accolto oggi il nuovo chief financial officer Benson Woo, che cercherà di salvarla dal mare di debiti in cui rischia di affogare.

La società ha contestualmente diffuso una nota in cui riferisce che Gibson Brands, che vende anche sistemi audio per il grande pubblico e per professionisti, sta "attualmente" lavorando con una banca per stabilire un piano di rifinanziamento del debito. Secondo il 'Nashville Post', il gruppo dovrà pagare 375 milioni di dollari entro inizio agosto, quando scadrà il prestito obbligazionario.

Oltre a questo, un prestito bancario di 145 milioni scadrà in tempi brevi, a meno che non venga rifinanziato prima del 23 luglio. "Stiamo monetizzando gli assett che non hanno raggiunto risultati soddisfacenti", ha spiegato l'ad Henry Juszkiewicz, "è importante tornare al successo economico, solo così potremo rifinanziare la società".

Secondo Juszkiewicz la sezione strumenti musicali è ancora in salute ma non produce guadagni al livello delle aspettative. Da qui la revisione completa del bilancio e della strategia del gruppo, nella speranza di "ripagare completamente i debiti nei prossimi anni". Tra le star le cui dita hanno accarezzato e fatto vibrare le corde delle Les Paul, le SG, le Flying V Gibson, ci sono B.B. King, Keith Richards (Rolling Stones), Jimmy Page (Led Zeppelin), Bob Marley, Carlos Santana e molti altri.

Storia della Gibson e della storica rivalità con la Fender

La Gibson Guitar Corporation nasce oltre 120 anni fa. C'è chi dice che senza la Gibson probabilmente non ci sarebbe stato il rock. L'azienda nasce a Kalamazoo, nel Michighan, poi alla fine degli anni Settanta si trasferisce a Nashville, nel Tennessee, uno dei Templi della musica Usa. Le sue fabbriche producono chitarre acustiche, violini, banjoo, ma la sua storia è legata soprattutto alla nascita della chitarra elettrica.

Nel 1952 sforna la mitica Gibson Les Paul, tuttora prodotta con forma, materiali ed elettronica sostanzialmente invariati rispetto al modello originale. La Les Paul e la Fender Stratocaster si contendono la palma delle chitarre più famose della storia del rock: sono rivali, un pò come i Beatles e i Rolling Stones. Si tratta di due chitarre completamente diverse: la Stratocaster ha un suono tagliente, ma anche dolce, versatile, con un inclinazione al blues, è considerata la Rolls Royce delle chitarre; la Les Paul ha un suono più pastoso e ricco di bassi, adatta al rock e alle sonorità più distorte, è come a una Ferrari. La prima è più classica, la seconda è più dura, cattiva, rabbiosa, molti grandi musicisti le hanno suonate entrambe.

I fan della Gibson, i fan della Fender

Tra i fan della Gibson, per citarne solo alcuni, ci sono: B. B. King, Paul McCartney e George Harrison dei Beatles, Neil Young, il grande Jimmy Page dei Led Zeppellin, Keith Richards e Ronnie Wood dei Rolling Stones, Carlos Santana, Edge degli U2, Pete Townshend, chitarrista degli Who, che la distrugge sul palco nel 1976, Bob Marley, che viene addirittura sepolto assieme alla sua Les Paul e a una bibbia.

La Stratocaster invece è passata per le mani di Bob Dylan, Jimi Hendrix, che la brucia sul palco nel 1967, Eric Clapton, Kurt Cobain, David Gilmour dei Pink Floyd. Le corde di queste due chitarre tracciano la colonna sonora di questi ultimi 60 anni di musica e la Gibson, che ora rischia di scomparire, è nettamente la più anziana delle due: oltre 120 anni di storia, contro i 60 della Fender, nata nel 1949.

Il fondatore della Gibson Corpopration è Orville Gibson, nato in un paesino dello Stato di New York, che si trasferisce giovanissimo in Michigan. A Kalamazoo, Gibson inizia a lavorare in un negozio di scarpe, poi come cameriere, ma il suo hobby è intagliare il legno per ricavarne mandolini, che crea in un'unica stanza, adibita a laboratorio e a negozio. è il 1894, Gibson è un autodidatta, non lavora secondo una tecnica acquisita, la sua manualità è un dono, che gli permette di creare chitarre acustiche e mandolini.

Nel 1902, fonda la Gibson Mandolin-Guitar Manufacturing Company, insieme con altri cinque investitori. Orville muore nel 1918, a 62 anni, lasciando l'azienda a un gruppo di abili impiegati. Tra questi c'è il musicista e ingegnere del suono, Lloyd Loar, il creatore, nel 1922, della L-5, considerata il primo esempio di chitarra acustica moderna. Negli anni Trenta l'azienda introduce la sua prima chitarra elettrica. La leggendaria Es-150 arriva nel 1936, diventa lo strumento del grande musicista jazz Charlie Christian e poi di Billy B. King. Ancora oggi molti jazzisti la considerano la migliore chitarra mai prodotta.

'Les Paul' e l'incidente che cambia la storia della musica

Ma il miracolo musicale deve ancora arrivare. Alla fine degli anni Quaranta Gibson ingaggia Lester William Polfuss, detto 'Les Paul', innovatore delle tecniche di registrazione, sperimentatore di strumenti musicali. Nel 1948, dopo aver suonato con i più bei nomi del jazz dell'epoca, Lestern è coinvolto in un gravissimo incidente stradale in cui si frantuma il braccio destro.

I chirurghi gli dicono che non avrebbe mai più avuto l'uso normale del braccio: il gomito sarebbe rimasto bloccato qualunque fosse la posizione che gli volevano dare. Les Paul chiede di fissarglielo piegato, in modo da poter continuare a suonare la chitarra. E così fu. Sperimentatore musicale di eccezionale talento, per l'azienda, Les Paul realizza nel 1939 la prima solid body, una chitarra che chiama The Log, il tronco: non più una cassa armonica vuota, ma piena, in modo da permettere alle corde una sonorità completamente diversa. è da considerarsi l'antesignana della chitarra elettrica.

Tuttavia è anche qualcosa di talmente rudimentale per gli artigiani liutai della Gibson, che il progetto viene messo da parte fino al 1950 quando Leo Fender presenta la sua Broadcaster, l'antenata della Stratocaster. A quel punto per la Gibson diventa importante avere la sua versione di una solid body, da contrapporre a quella dei concorrenti californiani e l'azienda, nel 1952, accogliendo i suggerimenti di Les Paul, progetta la `Gibson Les Paul, la chitarra diventata il simbolo del rock&roll.

Quattro sono i modelli in cui la chitarra viene prodotta: Junior, Special, Standard e Custom. Nel luglio del 2005, in occasione dei suoi 90 anni, la Carnegie Hall di New York riserva a Les Paul un concerto memorabile, al quale prendono parte molti virtuosi della chitarra come Josè Feliciano, Peter Frampton, Steve Miller. Al termine del concerto la Gibson Corporation dona al grande inventore una Les Paul nuova fiammante, fatta su misura. è uno degli ultimi momenti felici, poi arrivano i debiti, e adesso il fallimento incombente. 

Agi News

Come è andato l’incontro tra Calenda e il commissario Vestager sulla vertenza Embraco

Prosegue il braccio di ferro tra Embraco​, la multinazionale in capo al gruppo Whirpool, pronta a chiudere lo stabilimento piemontese di Riva di Chieri e a licenziare i 500 addetti del polo, e il governo che, al fianco dei sindacati, sta tentando di bloccare il piano dell'azienda di trasferire le linee produttive in Slovacchia. Oggi il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è volato a Bruxelles per incontrare la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Un incontro giudicato positivo dal ministro.

"La Commissione sarà molto intransigente"

Domani, ha riferito l'inquilino del dicastero via Veneto, la commissaria farà una conferenza stampa. "Ci siamo chiariti", ha aggiunto Calenda, "mi pare che abbia molto ben chiaro il problema e mi ha assicurato che la Commissione sarà molto intransigente nel verificare i casi segnalati in cui o c'è un uso sbagliato dei fondi strutturali, cioè non consentito, o peggio, di aiuto di Stato per attrarre investimenti che sono parte dell'Unione europea". "Non molliamo, come è successo in moltissime crisi prima di questa", ha assicurato il ministro, aggiungendo che "l'Italia ha ribadito la sua richiesta a Bruxelles, nei casi specifici di Embraco e Honeyweel, di procedere alla verifica di un eventuale uso dei fondi strutturali europei che non è consentito per portare via investimenti, o di altri aiuti di Stato". L'Italia, inoltre, "manderà a brevissimo una proposta a Bruxelles che prevede di istituire un fondo che in caso di delocalizzazioni produttive verso i paesi del'Est, gestisca la transizione industriale con una maggiore intensità rispetto a quelle normalmente concessa per un normale aiuto di Stato". 

Ma Bruxelles, per ora, non si espone

Una proposta, quella italiana, su cui la Commissione europea non è al momento "nella posizione di fare un commento", ha detto il portavoce dell'esecutivo comunitario, Ricardo Cardoso. La commissaria Vestager ha discusso con Calenda di "questioni di concorrenza", ha aggiunto il portavoce. "A questo stadio non ho dettagli sul progetto" di fondo e "non sono nella posizione di fare un commento", ha spiegato, ricordando che esiste un fondo europeo sulla globalizzazione. Quanto alla lettera con cui Calenda ha denunciato le pratiche fiscali della Slovacchia per favorire l'arrivo di multinazionali nel Paese, la Commissione risponderà "sulla base delle procedure normali". "Non siamo nella posizione di commentare su un sistema fiscale di uno Stato membro, a meno che non ci sia un'inchiesta in corso", ha fatto sapere l'esecutivo comunitario. Bruxelles dunque esaminerà la posizione espressa dall'Italia e deciderà come procedere.

Ieri la società del gruppo Whirlpool, che si occupa di compressori per frigoriferi, ha confermato i tagli al personale, generando l'ira dello stesso Calenda. Anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha giudicato "inaccettabile il comportamento dell'impresa" perché se avesse ritirato i licenziamenti avrebbe consentito, ha spiegato, "un percorso di re-industrializzazione e di ricorso agli ammortizzatori. Il governo è comunque "impegnato al fianco dei lavoratori" di Embraco ed è pronto "a utilizzare gli ammortizzatori sociali a sostegno di un progetto di re-industrializzazione, per dare continuità" al lavoro, ha assicurato Poletti.

E un operaio si incatena davanti alla fabbrica

Intanto prosegue la battaglia degli operai. Daniele Simoni, 54 anni, da 25 anni al lavoro nello stabilimento di Riva di Chieri, ha deciso di incatenarsi questa mattina davanti alla fabbrica. "Il lavoro ci sta mancando, l'azienda deve tornare sui suoi passi. Si sta alzando la tensione", ha spiegato all'Agi. "Non sappiamo cosa potrà accadere, come potremo continuare a pagare bollette e mutui. A una certa età siamo tagliati fuori dal lavoro". Da Riva di Chieri si guarda ora alle prossime mosse del governo: "Vediamo cosa succederà in questi giorni, speriamo ci siano spiragli da quello che sta facendo il ministro Calenda, che si sta impegnando per noi. Noi non molliamo – ha concluso – ma è difficile stare tranquilli. Quello che vorremmo è solo questo: poter rientrare a casa tranquilli".

Questa mattina i lavoratori dell'Embraco hanno tenuto una breve assemblea anche per fare il punto sulla giornata di ieri che ha visto l'azienda dire no al ritiro dei licenziamenti. Anche oggi è continuato il presidio davanti alla fabbrica di Riva di Chieri e i sindacati hanno annunciato una grande manifestazione a Torino il 2 marzo.

Agi News

Come fanno a minare bitcoin usando il tuo smartphone, senza che te ne accorgi 

Funziona così: ti rapisco lo smartphone per qualche minuto (se sei attento anche meno, se non lo sei molto di più). Ma non lo uso per chiederti un riscatto: lo faccio lavorare per creare nuove criptovalute. La società americana di sicurezza informatica Malwarebytes ha rintracciato una campagna che coinvolgerebbe circa 800.000 persone al giorno.

L'esca è una pubblicità ingannevole, utilizzata in realtà per diffondere malware. Gli utenti, ignari, vengono indirizzati verso alcuni siti, dove la potenza di calcolo dei loro smartphone viene “succhiata” per fare mining. Cioè per produrre criptovalute, in questo caso Monero (13esima valuta digitale per capitalizzazione e con un valore unitario di oltre 290 dollari).

Una volta catapultati sui siti infetti, sul display compare la segnalazione di “attività sospette” e l'avviso che, finché l'utente non inserirà un codice (disponibile nella schermata), il suo smartphone continuerà a minare, compromettendo le performance del dispositivo.

Secondo i dati di Malwarebytes, gli 800.000 utenti coinvolti ogni giorno passato sui siti malevoli in media 4 minuti. E così, sommando la capacità di calcolo di centinaia di migliaia di dispositivi, i promotori della campagna sono in grado di estrarre Monero per diverse migliaia di euro al mese. L'offensiva, individuata per la prima volta da Malwarebytes a gennaio, sarebbe in corso dal novembre 2017. Conferma che attività di “cryptojacking” (cioè di “rapimento” dei dispositivi per minare monete virtuali), per quanto sia più ricorrente ed efficace sui pc, coinvolge anche gli smartphone.

Campagne come queste sono in aumento. Di recente, hanno coinvolto anche siti considerati sicuri. Pochi giorni fa Scott Helme, blogger ed esperto di sicurezza informatica, ne ha individuati migliaia, tra i quali ci sono anche decine di indirizzi governativi (soprattutto americani e britannici).

Sui siti c'era un pezzo di codice che apre una porta verso il dispositivo usato dagli utenti per connettersi. Grazie a questa breccia, è possibile assorbire capacità di elaborazione dalle schede madri (all'insaputa dei proprietari). Per chi ha messo in piedi l'attacco la convenienza è doppia: aggrega potenza e produce criptovaluta più velocemente. E non compra nuove Cpu (che proprio a causa dell'elevata domanda per minare criptovalute sono diventate molto costose).

Per gli utenti il danno è triplo: vengono coinvolti in un'attività lucrativa senza però intascare nulla; vedono penalizzate le prestazioni dei propri dispositivi e ridursi il tempo della batteria perché parte della capacità di calcolo è impiegata altrove; rischiano di aumentare il consumo energetico (e quindi il costo della bolletta).

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Google ha superato Facebook come fonte di traffico per i media

Gli editori hanno un nuovo (vecchio) alleato: Google. Il motore di ricerca, che da sempre rappresenta la principale fonte di traffico “esterna” da pc, ha superato Facebook anche su mobile. Lo conferma una ricerca di Chartbeat. Nella prima settimana di febbraio, Google ha contribuito con oltre un miliardo di pagine viste (il 40% in più rispetto a un anno fa); Facebook si è fermato a 740 milioni (il 20% in meno).

Il sorpasso si è consumato lo scorso agosto. Se poi si includono anche i pc, il divario si allarga. Perché il motore di ricerca aggiunge 530 milioni di pagine mentre il social network (fruito molto da smartphone e meno da postazioni fisse) solo 70 milioni.

Google, mano tesa agli editori

Facebook e Google hanno fatto due scelte differenti. Mark Zuckerberg ha deciso di penalizzare le pagine (e quindi anche gli editori) per favorire quelle che ha definito “interazioni autentiche” (cioè con le persone). Le modifiche all'algoritmo vanno in questa direzione e hanno avuto come effetto un calo dei clic che dalla bacheca portano agli articoli. Anche se i cambiamenti sono stati annunciati a gennaio (e dovrebbero avere crescente impatto in futuro), già nel corso del 2017 i siti hanno registrato un calo della “portata organica” (cioè del traffico che arriva da Facebook senza pagare). Google, invece, sta spingendo nella direzione opposta.

Il successo delle Amp

Buona parte della crescita si deve alle “Amp”: è un nuovo formato (open source ma utilizzato soprattutto da Big G) che permette di caricare gli articoli in modo più rapido su mobile (Amp sta per “accelerated mobile pages”), senza obbligare gli utenti a saltare da un sito all'altro. Risultato: più traffico e più pubblicità, tanto che gli editori stanno accorrendo. Il 14 febbraio, Google ha annunciato che sono 31 milioni quelli che già hanno adottato le Amp (il 25% in più rispetto a ottobre).

Le “pagine accelerate” funzionano a tal punto che Big G ha deciso di utilizzarle anche nelle neonate Stories: un nuovo formato, simile alle Storie di Snapchat, che potrà essere utilizzato dalle testate e comparire nei risultati di ricerca. Mountain View punta quindi con forza a occupare quello spazio che Facebook sta lasciando vacante.

Il confronto con Twitter

Zuckerberg punta ad allontanare lo spettro delle fake news e a rinsaldare la comunità per venderla a prezzi più cari (anche perché, se un editore vuole emergere, dovrà pagare). Ma per ora il social network deve fare i conti con la quantità. Sta perdendo terreno rispetto a Google e anche Twitter sta rimontando, per quanto resti lontano: secondo una ricerca di SocialFlow riportata da BuzzFeed, a ottobre arrivavano da Facebook 4,7 lettori per ogni visitatore proveniente da Twitter. A gennaio il rapporto è sceso a 2,5 contro uno.

Da una parte c'entra l'algoritmo; dall'altra il crescente coinvolgimento degli utenti emerso nell'ultima trimestrale. E così in tre mesi i clic medi su ogni post Facebook degli editori sono calati da 470 a 400. Mentre quelli per ogni tweet sono passati da 100 a 160.

 

Agi News

Il Washington Post ha aperto un ufficio di corrispondenza a Roma

Apre due nuovi uffici di corrispondenza, a Roma e Hong Kong, il Washington Post, blasonato quotidiano americano tornato a scintillare sotto la guida del proprietario di Amazon, Jeff Bezos. "Con un crescente numero di lettori d'oltreoceano che leggono il Washington Post, vediamo il potenziale per raggiungere una audience ancora più ampia interessata ad un'informazione internazionale profonda e dalle diverse sfumature", ha dichiarato Martin Baron, editore esecutivo di 'The Post' che nell'ultimo anno ha assunto oltre 100 giornalisti, esteso le operazioni digitali e vinto il Pulitzer con David Fahrenthold per i suoi scoop sulle fondazione del presidente Donald Trump.

'The Post', celebrato nell'ultimo film di Steven Spielberg per la pubblicazione dei 'Pentagon Papers' in sfida alla Casa Bianca, con Trump come convitato di pietra, ha recentemente aperto nuovi uffici anche a Parigi, Istanbul e Bruxelles, arrivando a 27 giornalisti in 19 sedi estere a inizio 2018. Il corrispondente da Roma "accentuerà la nostra copertura dell'Europa in un momento in cui la migrazione, l'estremismo e il nazionalismo stanno ridefinendo la politica della regione", ha spiegato responsabile dell'informazione estera del Washington Post, Douglas Jehl.

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