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La sanità vale il triplo degli smartphone e potrebbe essere il futuro di Apple

Il ceo Tim Cook lo ha detto: “Il più grande contributo che Apple può dare all’umanità riguarda la salute”. Non parlava solo di soldi, ma pare ormai chiaro che nuovi servizi sanitari farebbero bene non solo agli utenti ma anche alle casse della Mela.

Un’analisi di Morgan Stanley, diffusa da Bloomberg, ipotizza che Apple trarrà da servizi e prodotti legati alla salute un fatturato tra i 15 e i 313 miliardi di dollari entro il 2027. L’escursione è massiccia e racconta quanto il mercato sia giovane e quanto dipenda da Cupertino decidere di cogliere o meno le opportunità che propone. Un’altra analisi, firmata da Loop Ventures lo scorso marzo, parlava già di “roadmap” di Apple verso la sanità.

In un momento complicato per i dispositivi mobili, spiega Morgan Stanley, “l’assistenza sanitaria ha un mercato potenziale tre volte più grande rispetto a quello globale degli smartphone”. Un mercato che, in più, ha una serie di vantaggi rispetto a quello degli smartphone. Primo: non teme saturazione e, anzi, in una popolazione sempre più anziana, tenderà a crescere. Secondo: come altri servizi, non ha forti oscillazioni stagionali (la cura della salute non arriva solo a Natale). Terzo: Apple è in una posizione di vantaggio rispetto ad altre società tecnologiche, soprattutto grazie ai suoi dispositivi indossabili.

Il ruolo di Apple Watch e AirPods

Oggi il segmento wearable rappresenta il 5% del fatturato di Apple. Loop Ventures stima che arriverà all’8% entro cinque anni. Gli Apple Watch venduti dal loro esordio, nel 2015, sarebbero circa 67 milioni, per l’85% ancora in uso. Probabilmente l’orologio non arriverà mai alla diffusione dell’iPhone (900 milioni di unità attualmente attive), ma basterebbe un progresso più contenuto per avere un impatto notevole. Loop Ventures stima che le unità in circolazione potrebbero quadruplicarsi. E questo farebbe bene alle casse, con 35 miliardi di vendite annuali.

In gioco però non c’è solo la vendita diretta, ma molto di più. I dispositivi indossabili, muniti di sensori sempre più sofisticati, costituirebbero la piattaforma con cui distribuire i propri servizi sanitari. Oggi l’Apple Watch ha già un elettrocardiografo integrato. Morgan Stanley suggerisce infatti di sviluppare sistemi in grado di rilevare, anche con gli AirPods, pressione sanguigna, livello di glucosio, monitoraggio del sonno. Le due analisi concordano quindi sul ruolo centrale di Apple Watch e AirPods, leader nei mercati degli orologi tecnologici e degli auricolari senza fili. Sono le sentinelle dei servizi finanziari che verranno.

Primi mattoni di un nuovo ecosistema

Per Morgan Stanley, Cupertino ha già piazzato i “primi mattoni” di un “nuovo ecosistema”. E vista la sua posizione attuale, potrebbe fare con la sanità quello che ha fatto con iTunes nel settore musicale o con l’App Store nei servizi mobile. La domanda, a questo punto, è: come trasformare le potenzialità in fatturato? Una parte, che con il tempo dovrebbe diventare sempre più marginale, arriverà dalle vendite dei dispositivi. Il resto da una gamma di servizi, tra i quali un abbonamento pagato dagli utenti o, più probabilmente, da medici, cliniche e compagnie assicurative. Secondo Loop Venture, potrebbe cosare circa 10 dollari al mese, che Apple riceve per aggregare, monitorare e studiare i dati raccolti da Watch e AirPods.

Con i nuovi servizi, sottolinea Morgan Stanley, i dispositivi potrebbero non solo essere venduti direttamente, ma diventare un accessorio coperto dai professionisti della salute. Già oggi, ad esempio, alcune compagnie scontano le polizze e regalano uno smartwatch se i clienti accettano di indossarlo. Il loro ragionamento è questo: conosco i tuoi dati e capisco prima i fattori di rischio. Tu vivi più a lungo, io personalizzo la tua polizza e sborso meno.

Certo, ci sono problemi di privacy fondamentali. Ma avere un dispositivo che monitori gli utenti, consenta di dialogare a distanza con i medici e favorisca interventi tempestivi potrebbe ridurrebbe le spese sanitarie, visto che la cura costa più della prevenzione. Il settore è così ghiotto che Morgan Stanley prevede che Apple possa presto acquisire una società specializzate nel settore sanitario.

Agi

Storia di Yoox, l’ex startup italiana che oggi vale 5,3 miliardi

5 ottobre 2015. Alle 9.00 del mattino la campanella di Piazza Affari suona il primo vero trionfo della digital economy italiana. In elegante abito scuro e volto visibilmente emozionato, Federico Marchetti, fondatore e amministratore delegato di Yoox, fa debuttare in Borsa la newco nata dopo la fusione con Net-A-Porter. Si chiama Ynap, un colosso dell'e-commerce capace di generare un volume d'affari da 2 miliardi l'anno e che adesso Richemont ha deciso di acquistare offrendo 38 euro per azione. 

Quel 5 ottobre, l'intero palazzo della Borsa fu addobbato con un fiocco nero. Come un enorme pacco regalo nel cuore di Milano. Era un po' il regalo che Yoox faceva all'intero settore della moda italiana, portandola online. E alcuni dei personaggi più influenti della moda italiana erano lì. Riuniti sul parterre (anche questo nero) che copriva le scale di Piazza Affari, salutano l'evento tra gli altri Renzo Rosso (Diesel), Lapo Elkann (Italia Independent) e il numero uno di Borsa Italiana Raffaele Jerusalemi.

"Quando ho fondato la mia startup ho ragionato sul fatto che L'Italia è il primo produttore di prodotti di alta moda, e il terzo consumatore al mondo. Ho cercato di portarla online", aveva detto allora ai cronisti Marchetti. E ci è riuscito. Perchè da allora, quando dopo la quotazione raggiunse un valore di 3,8 miliardi, Yoox divento ufficialmente il primo (e unico) unicorno italiano, ovvero una tech company con una valutazione superiore a un miliardo. Difficile crederlo, ma Yoox era una startup, anche se al tempo in cui di startup non si parlava molto, almeno in Italia. 

L'inizio, vero, in un garage

Dietro Yoox ci sono tutti i classici elementi della storia di una startup. E a guardarli bene si possono leggere tutti i passi, e gli eventi, che servono per crearne una di successo, e cosa oggi manca alle nuove digital company per fare lo stesso.

Partiamo da un'icona. La più classica di tutte: il garage. È davvero il posto da cui tutto è partito per Yoox. Un garage a Casalecchio di Reno, Bologna, dove Marchetti (che in realtà è nato 49 anni fa a Ravenna), ha lanciato Yoox.

Siamo alla fine del 1999 quando Federico Marchetti, allora trentenne, decide di lasciare il suo lavoro per fare un'azienda sua. Una laurea alla Bocconi, un master alla Columbia University, e poi la scelta di diventare imprenditore in proprio mentre collassava la net economy con lo scoppio della bolla dotcom che l'ha gonfiata. Proprio mentre i venture di allora, così propensi a finanziare qualsiasi tipo di startup che si occupasse di internet, chiudevano i rubinetti. 

 Marchetti per partire cerca i primi contatti sulle pagine gialle. "Allora Google non era ancora così usato per cercare numeri e contatti di persone", scherza. E gli capita sotto gli occhi il nome di Elserino Piol, l'uomo d'affari "geniale e ruvido" che ha finanziato imprese come Vitaminic, Click.it, ma soprattutto Tiscali con i due fondi legati di Kiwi. Il padre del venture italiano, per alcuni il "vero padre dell'Internet in Italia". In sintesi, l'uomo che più è stato in grado di far diventare business veri le più grandi innovazioni tecnologiche italiane.
 

Il primo finanziamento: 3 miliardi. Nasce Yoox, un nome particolare

 

Piol dà a Marchetti 3 miliardi di lire per cominciare. Una cifra enorme, quasi impossibile da racimolare oggi per qualsiasi startup nostrana che al massimo per iniziare può ambire a 100.000 euro. Ma nemmeno allora era così frequente. Però a Marchetti capita il colpaccio. "Tre miliardi sono tanti", ha detto in un'intervista a Repubblica nel 2014, "ma nemmeno troppi. In Gran Bretagna o in Germania i finanziamenti sfondano il tetto dei 10 milioni, è così che si fa crescere una startup. Non si fa un matrimonio coi fichi secchi". 

La società nasce a marzo 2000. Il nome è un pò sofisticato, ma per Marchetti era tra le cose nemmeno da discutere. La Y e la X sono in simboli che in medicina rappresentano l'uomo e la donna. In mezzo due "O" che sono la lettera più simile allo "0" che sta per il dna. Yoox nel nome vuole collegarsi al mondo maschile e femminile della moda, con un dna che la leghi a internet.

Aprono i battenti il 21 marzo, il primo giorno di primavera. La loro primavera. "La prima commessa? In Olanda, perchè Yoox nasce già con un respiro internazionale. La ricordo ancora è arrivata il 21 di giugno dello stesso anno", tre mesi dopo. Era il primo giorno d'estate. E ogni anno festeggiano il compleanno di Yoox il primo giorno d'estate con una mega festa con tutti i dipendenti, "la vera forza di Yoox".
 

Il Mago di Oz della moda italiana

In ufficio pare che chiamino Marchetti il Mago di Oz. Si impone, ha un carattere molto forte e un pò è temuto dai dipendenti, ma chi lo conosce bene sa che non c'è nulla da temere. è uno che deve prendere le decisioni. E non è mai facile farlo.

Yoox cresce. Conquista i giornali di mezzo mondo, è tra le più forti digital company europee. Il fatturato aumenta di anno in anno, con una progressione che una startup deve avere. Nove anni dopo è un colosso e sbarca in Borsa. La società all'inizio era di Marchetti per il 9,8%, mentre il 70% era in mano ai fondi Kiwi, con un 20% in possesso di altri investitori. Il 2009 è l'anno dell'Ipo al segmento Star della Borsa Italiana: le azioni valevano 4,3 euro per una valutazione di circa 95 milioni.

Negli anni successivi i fondi di venture hanno ridotto gradualmente la loro presenza nell'azionariato. Il flottante (le azioni scambiate in Norsa) fino al 2014 rappresentavano l'80% dell'intero pacchetto azionario. Wired Uk nota la sua storia e gli dedica una copertina riuscitissima. "Fashion goes Tech" (il fashion diventa tech), titolava il magazine su una sua immagine in giacca e cravatta con un cipiglio da uomo d'affari, ma con l'aria ancora scanzonata dello startupper.

Nel 2015 un'altra primavera. A fine marzo nasce la Yoox Net-a-porter dalla fusione tra la società del "ragazzo" di Ravenna (oggi 49 anni) con un altro colosso dell'ecommerce, Net-a-Porter. Nella nuova società il 50% delle quote erano in mano a Yoox, il resto a Richemont. La newco valeva 1,3 miliardi. Ma alla guida rimane Marchetti, mentre il capo di Net-a-Porter Natalie Massenet diventa presidente.

Richemont lancia l'Opa, valuta l'azienda 5,3 miliardi

Il 22 gennaio l'ultimo atto: Compagnie financiere de Richemont annuncia il lancio di un'Opa totalitaria su Yoox Net-A-Porter a un prezzo di 38 euro per azione. Il gruppo è già azionista di maggioranza relativa con una quota del 24,97%. Il prezzo rappresenta un premio del 25,6% rispetto alla chiusura di borsa di venerdì e del 27% rispetto al prezzo medio ponderato nei 3 mesi precedenti e sarà interamente pagato in contanti. Il 100% significherà per Marchetti e primi investitori l'exit, probabilmente definitiva. Che potrebbe magari significare l'inizio di una nuova avventura imprenditoriale.

L'esborso massimo per Richemont nel caso di adesione completa all'Opa lanciata su Yoox sarà di 5,7 miliardi di euro. L'offerta riguarda il 75,03% del capitale, vale a dire 68,463 milioni di azioni, più ulteriori 2,328 milioni di azioni che Yoox potrebbe emettere al servizio delle stock option per manager e dipendenti, ed eventualmente altre 2 milioni di azioni da emettere nel caso di un cambio di controllo.

Federico Marchetti si è impegnato ad apportare all'offerta tutte le azioni ordinarie di Yoox di cui è titolare, pari al 5,7% del capitale, oltre a tutte quelle che acquisirà prima della data di avvio dell'offerta. Il patto parasociale tra Richemont e Marchetti si risolvera' per mutuo consenso. L'offerta è finalizzata alla revoca del titolo dalla quotazione di borsa, che potrà derivare dal raggiungimento di una quota di almeno il 90% di Yoox o dalla fusione tra questa e Rlg Italia, la società veicolo di Richemont che lancerà l'offerta. 

Agi News

Quanto vale Jeff Bezos? Grazie al Black Friday di Amazon, più di quanto immaginate

Il vero affare per il Black Friday l'ha fatto Jeff Bezos. Grazie alle offerte per la giornata che apre la stagione degli sconti, il fondatore e amministratore delegato di Amazon vale più di 100 miliardi di dollari. A far lievitare il suo 'peso', riporta Bloomberg, sono state le azioni del colosso delle vendite online, il cui valore è salito di oltre il 2% sull'onda dell'ottimismo dei trader per le vendite degli ultimi giorni, cresciute del 18,4% rispetto allo scorso anno.
 
Il traguardo dei 100 miliardi di dollari fa di Bezos la prima persona ad avere costruito un patrimonio netto a 12 cifre dal 1999, quando il co-fondatore di Microsoft, Bill Gates, raggiunse quella soglia.
Nel luglio 2017, Bezos ha spodestato Gates dal podio di persona più ricca del mondo. Il patrimonio netto di Gates è diminuito pari passo con l'intensificarsi dell'impegno filantropico. A giugno, Gates ha fatto una donazione di 64 milioni di azioni Microsoft in beneficenza, il suo più grande 'regalo' da quando ha fondato la Fondazione Bill e Melinda Gates nel 2000, scrive Quartz.
 
Oxfam​ prevede che il mondo avrà il suo primo trillionario entro 25 anni, dal momento che la ricchezza dei super ricchi del mondo cresce esponenzialmente. In questo momento, Bezos sembra il candidato più accreditato per raggiungere questo traguardo.

Agi News

Da Lancia alle banche, quando per la salvezza vale un euro

L'ha inventate, manco a dirlo, il diritto romano. Si chiamavano "atti nummo uno" e sono le vendite a prezzo simbolico che avvengono soprattutto in caso di fusioni. Con il salvataggio di un'azienda (all'epoca "negotio") da parte di un'altra, generalmente dello stesso settore. L'esempio classico è quello della cessione nel 1969 della Lancia da Carlo Pesenti, che l'aveva rilevata da Gianni Lancia nel 1955, alla Fiat di Agnelli per "una lira" con contemporanea liberazione dai debiti.

Una tecnica che dura da millenni

La storia si ripete: nella vita di un'azienda possono arrivare momenti in cui si è troppo piccoli per continuare a svilupparsi o, semplicemente, per stare sul mercato. La soluzione viene dai Romani, si aggiorna ma rimane la stessa: un rivale più grande o meglio in salute offre il prezzo simbolico per un'azienda o per la parte dell'azienda che abbia ancora un minimo di prospettiva di vita e crescita.

Le banche in Italia

Il 10 maggio si è formalizzata l'aquisizione delle 'good bank' di Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova CariChieti da parte di Ubi-Banca. Un euro il prezzo pagato per le sole attività sane. Su cui poi è calato un piano di ulteriore ristrutturazione con cui entro il 2020 si avrà un taglio del 32% del personale: escono 1.569 persone sul totale di circa 4.900, appunto circa il 32% della forza lavoro.

Di queste, 530 hanno già aderito al fondo di solidarietà prima dell'acquisto di Ubi. Ora se ne dovrà andare un altro 22%, ovvero ben 1.000 dipendenti sugli attuali 4.400. La quarta banca, la Popolare di Ferrara, segue la stessa strada, direzione Banca Popolare dell'Emilia Romagna

Le banche venete

Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca andranno, per un euro, a Intesa Sanpaolo. O meglio, la banca ha fatto l'offerta per le sole parti sane. Per il resto, sarà lo Stato a intervenire. La vicenda è in corso ed è una soluzione strettamente subordinata all'approvazione del decreto varato dal governo domenica 25 giugno.

Leggi anche: Le banche sono salve, ma quanto ci costa?

Il caso Barclay's

La Banca inglese è uscita l'anno scorso dal mercato italiano, lasciando a CheBanca! del gruppo Mediobanca la sua rete di sportelli e le attività, pagando 237 milioni alla società acquirente.

Il salvataggio del Banco Popular

In Spagna, il Banco Santander, il primo istituto creditizio spagnolo, ha acquisito per un euro il Banco Popular, sull'orlo del fallimento. Poi lo ha ricapitalizzato con oltre 7 miliardi di euro. Senza l'intervento dello Stato. Ma, come scrive l'Associazione degli Ispettori della Banca centrale in una nota pubblicata nei giorni scorsi, "Esser soddisfatti perché un intervento si sia realizzato senza costi diretti per il contribuente è come essere contenti che un paziente sia morto senza contagiare nessuno".

 

 

 

 

Agi News

Come nasce un gigante: Luxottica-Essilor, vale 50 miliardi

Roma – Il re degli occhiali (Luxottica) e i pionieri delle lenti (Essilor) fanno nascere un colosso da 50 miliardi di euro. Quanto tre leggi finanziarie italiane, oltre il triplo del crac Parmalat, il Pil della Bulgaria oppure quelli di Bosnia, Congo e Brunei messi insieme. E' l'ennesima tappa della vita di un uomo che si è fatto da solo, partendo da un garage. Molto prima che andassero di moda i garage, quando Steve Jobs e Bill Gates andavano in prima elementare.

Perché Leonardo Del Vecchio, all'inizio degli anni '60, approfittò dell'occasione offerta dalla Comunità montana di Agordo che aveva offerto  terreno gratis alle fabbriche che si fossero trasferite lì.

Lo ha raccontato lui stesso in questo video del 2011, in occasione dei 50 anni di Luxottica.

Oggi il mercato ha avuto la notizia dell'"Integrazione di due player globali e complementari nel settore dell'eyewear per rispondere ai crescenti bisogni di cura della vista e alla domanda dei consumatori per marchi di alta gamma".

Un colosso da 140.000 dipendenti

"Il nuovo gruppo si troverebbe in una posizione di primo piano per proporre un'offerta completa con ricavi aggregati di oltre 15 miliardi di euro, circa 140.000 dipendenti e vendite in oltre 150 Paesi, la nuova realtà "rappresenterebbe una piattaforma di crescita posizionata per cogliere opportunita' future".

Nel dettaglio, Delfin si impegna "irrevocabilmente" ad apportare le proprie azioni Luxottica ad Essilor sulla base di un concambio di 0,461 azioni Essilor per 1 azione Luxottica. Insieme, Essilor e Luxottica saranno in una posizione migliore per offrire una risposta ai bisogni relativi alla vista di 7,2 miliardi di persone, 2,5 miliardi delle quali non hanno ancora accesso a una correzione visiva. La chiusura dell'operazione è prevista per il secondo semestre del 2017 e sarebbe seguito dall'offerta pubblica obbligatoria sulla totalità delle rimanenti azioni di Luxottica in circolazione.

Del Vecchio, si realizza un sogno

"Con questa operazione si concretizza il mio sogno di dare vita ad un campione nel settore dell'ottica totalmente integrato ed eccellente in ogni sua parte. Sapevamo da tempo che questa era la soluzione giusta ma solo ora sono maturate le condizioni che l'hanno resa possibile", ha detto Leonardo Del Vecchio, presidente di Delfin e presidente esecutivo di Luxottica Group, commentando l'accordo con Essilor. "Il matrimonio tra due aziende leader nei rispettivi settori – ha aggiunto – porterà grandi vantaggi per il mercato, per i dipendenti e principalmente per tutti i nostri consumatori. Finalmente, dopo cinquanta anni di attesa, due parti naturalmente complementari, montature e lenti, verranno progettate, realizzate e distribuite sotto lo stesso tetto".

"Il nostro progetto – ha affermato Hubert Sagnieres, presidente e ceo di Essilor – si basa su una motivazione semplice: rispondere meglio ai bisogni di un'immensa popolazione mondiale relativi alla correzione e alla protezione della vista, unendo due grandi società, una dedicata alle lenti e l'altra alle montature. Con straordinario successo, Luxottica – ha continuato Sagnieres – ha creato marchi prestigiosi, supportati da una catena di approvvigionamento e da una rete distributiva all'avanguardia nel settore. Essilor porta 168 anni di innovazione ed eccellenza industriale nella progettazione, fabbricazione e distribuzione di lenti oftalmiche e da sole. Unendo oggi le loro forze, questi due player internazionali possono adesso accelerare la loro espansione globale, a beneficio di clienti, dipendenti e azionisti, e dell'intero settore". 

Agi News