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Lo stato del digitale in Italia: 5,5 miliardi di spese, risultati zero o quasi. Un’inchiesta

La trasformazione digitale della Pubblica amministrazione per ora non ci sarà. Mancano persone competenti, i progetti sono portati avanti con ritardi inaccettabili, spesso non vengono nemmeno finiti, e quelli portati a termine spesso non producono alcun beneficio ai cittadini.

È la fotografia emersa da un’indagine della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione e sugli investimenti nel settore delle tecnologie: 160 pagine da cui emerge una situazione si assoluta arretratezza dell’Italia digitale, fatta di ritardi, sprechi e disservizi che hanno come unica conseguenza lo “scarsissimo utilizzo dei servizi online da parte dei cittadini”, che mostrano un basso gradimento di quanto fatto finora. La Commissione era composta da 20 parlamentari, guidati dal presidente Paolo Coppola (Pd), e due vice: Federico D’Incà (M5S) e Mara Mucci (gruppo misto). A colloquio con Agi, Coppola spiega: "Hanno la testa nel secolo scorso. Chi ha potere decisionale non capisce il digitale. E ne ostacola l'applicazione". 

5.5miliardi di spesa, pochissimi risultati

“Dai lavori della Commissione non si può desumere che la spesa ICT sia eccessiva (5,5 miliardi calcolati, 85 euro per ogni cittadino, ndr), ma sicuramente emerge una scarsa capacità di controllo della qualità della spesa, soprattutto per quanto riguarda i sistemi informativi e l’impatto che dovrebbero produrre, sia in termini di risparmi, sia in termini di miglioramento della qualità dei servizi, che non viene quasi mai misurato”.

Non solo: “La mancanza di adeguate competenze interne impedisce alla PA di contrattare adeguatamente con i fornitori, di progettare correttamente le soluzioni necessarie, di scrivere bandi di gara che selezionino il prodotto o il servizio più adeguato e aperto a nuove implementazioni e, infine, di controllare efficacemente lo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni informatiche”. Questo comporta che “si portano avanti i progetti, spesso con ritardi inaccettabili, ma anche quando sono conclusi sembra che non abbiano portato nessun miglioramento sostanziale e si passa quindi al progetto successivo, in un circolo vizioso”. Ma è solo una delle criticità emerse.

Le principali criticità emerse

Anagrafe digitale: ritardi ed errori 

“Il progetto dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente ha sofferto problemi di scarse competenze tecnologiche lato ministero dell’Interno e manageriali lato sia ministero sia Sogei (la controllata dell’Economia che si occupa dei servizi informatici della pubblica amministrazione, ndr)”. A fronte di una spesa consistente: “23 milioni di euro stanziati non sono stati sufficienti a portare a compimento il progetto a causa di ritardi anche nella definizione dei decreti attuativi, errori nella perimetrazione dettata dalla legge inizialmente troppo limitata all’anagrafe e non estesa allo stato civile, scarso coinvolgimento degli stakeholder nella fase di progetto e realizzazione”.

Il caso dell’anagrafe è quello che ha portato la Commissione ad evidenziare un’idea “coercitiva della digitalizzazione” che ha “sottovalutato la complessità del dominio portando a ritardi che hanno sicuramente comportato sprechi in quanto parte della cifra stanziata ha dovuto essere utilizzata per continuare a mantenere in esercizio per un tempo maggiore di quello preventivato il vecchio sistema”. Fino a quando tutto non è passato in mano al team digitale del Commissario straordinario Diego Piacentini che, si legge, “ha apportato le necessarie competenze manageriali”. 

Sistema informativo agricolo: un caso simbolo di scarsa competenza

Una delle inchieste che hanno maggiormente impegnato la commissione è stata quella della Sian, il Sistema informativo agricolo nazionale che assicura i servizi necessari alla gestione delle politiche comunitarie. “Rispetto al Sian le criticità maggiori emerse riguardano l’eccessivo sbilanciamento delle competenze tecnologiche presenti nei fornitori e quasi totalmente assenti nella parte pubblica con la conseguente sostanziale impossibilità di controllo di qualità e di adeguato dimensionamento della spesa”, si legge nella relazione della Commissione.

La scelta della pubblica amministrazione di affidare la gestione del servizio “ad un misto di pubblico e privato” ha portato “ad un sistema inefficace in cui la qualità del servizio non è sufficiente”. Oggetto di inchieste giornalistiche, per Sian è stato programmato un software la cui complessità “rende impossibile valutare se funzioni o meno”. Ma emergono comunque criticità come “duplicazione dei dati” e “problemi dell’interfaccia web tra cui l’apertura di centinaia di pop-up e log-in sumultanei”. Sian è “un esempio paradigmatico di una serie di errori nella gestione della spesa ICT”: la Commissione “si è trovata di fronte ad un caso in cui la carenza di competenze tecniche dal lato della committente pubblica ha portato l’amministrazione ad affidarsi completamente alle dipendenze del fornitore”. 

2 milioni di sprechi per 'oroscopi e servizi erotici'

Chiamate ai call center, oroscopi, giochi e servizi erotici sono una fonte di spreco per la pubblica amministrazione. I servizi Ict offerti, infatti, vengono utilizzati per servizi che caricano sullo Stato “spese aggiuntive”. La Commissione ha ottenuto da Tim una stima: gli sprechi ammontano a 8,3 milioni di euro. Monitorando queste spese tra aprile e giugno, la Commissione ha potuto accertare in cosa consistono. Tra le voci più consistenti c'è quella per i servizi di call center di compagnie telefoniche, banche e imprese di trasporti. Ma ci sono anche spese per “intrattenimento premium”, cioè “servizi interattivi” (spesso via sms) su notizie, oroscopi, giochi, informazione sportiva e servizi erotici per adulti. Spesa: 428 mila euro in tre mesi. 
 

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La relazione parla di servizi “inutili”: “Il quadro emerso certifica uno spreco di risorse pubbliche. Per evitare un tale spreco di denaro pubblico, sarebbe necessario ed opportuno prevedere, all’interno delle convenzioni con i gestori di telefonia, il blocco automatico dei servizi aggiuntivi descritti per i contratti con la Pubblica Amministrazione. Il fatto che le Pubbliche Amministrazioni non abbiano bloccato negli anni l’uso di questi servizi è una indicazione chiara della mancanza di controlli sugli addebiti in fattura”.

Errori innumerevoli nella banca dati dei contratti pubblici. È inutilizzabile

Da quanto emerge dall’inchiesta, il filone d’indagine sulla Banca Dati Contratti Pubblici dell’Anac, autorità nazionale anticorruzione, non ha potuto produrre alcun risultato. Il motivo è che sono stati immessi male, tanto da renderla inutile. “Le analisi delle tipologie di gara, della distribuzione dei fornitori, dei tempi medi di aggiudicazione, degli scostamenti tra bandito e aggiudicato, del numero di partecipanti, che potrebbero essere ottimi strumenti di controllo tesi a verificare l’esistenza di schemi corruttivi, non possono essere utilizzati.

Gli errori presenti nella banca dati sono innumerevoli” e dall’indagine emerge che “l’intero processo di acquisizione dei dati è estremamente inefficiente e inefficace”. Un esempio? “I dati vengono immessi più volte, in tempi diversi, senza un vero controllo in fase di inserimento, con il personale di Anac impiegato nel faticoso, quanto poco utile, compito di controllare a posteriori i dati e chiedere le correzioni o integrazioni necessarie, rendendo tutto il processo uno spreco di tempo, e quindi di denaro pubblico”. 

Altro che digitale, il pubblico è ancora il regno della carta

La digitalizzazione della PA viaggia “a due velocità”. Da una parte si assiste a un progresso dei servizi a contatto con i cittadini. Dall'altra c'è un grave ritardo nella gestione dei processi interni, ancora troppo dipendenti dalla carta. La relazione sottolinea alcuni elementi positivi: “I siti web delle amministrazioni tendono ad offrire contenuti sempre più uniformi e standardizzati”, c'è “impegno nel favorire gli open data”, e alcuni servizi come la fatturazione elettronica sono sempre più diffusi. Dietro le quinte, però, “le amministrazioni palesano gravi criticità, ritardi, resistenze ed inadempienze”, afferma la Commissione.

La PA “si affida ancora troppo alla carta”. Un esempio citato racconta più di mille numeri: due ministeri hanno risposto alle domande della Commissione sullo stato di digitalizzazione “facendo pervenire un documento cartaceo contenuto in una busta, trasportata e consegnata per mezzo di un motociclista”. Se dai ministeri si va nei comuni, la situazione è simile: l’86% prevede ancora dei procedimenti che hanno bisogno di timbri, firme e sigle a margine. E solo il 26% dei servizi è accessibile attraverso Spid. Ci sono quindi forti resistenze, nonostante l'80% dei municipi affermi che ha risparmiato grazie alla digitalizzazione.

Nalla Pa lavorano 32mila dipendenti sull'Ict, eppure servono competenze

Nonostante la Commissione di inchiesta parlamentare sulla digitalizzazione abbia evidenziato la mancanza di competenze nella PA, secondo le stime del Piano triennale dei costi per l’informatica nella Pubblica Amministrazione redatto dall’Agid sarebbero 32 mila i dipendenti pubblici che lavorano nel campo dell’ICT, ai quali si aggiungono altri 10 mila dipendenti delle società in house centrali e locali. Il piano stima anche l’esistenza di circa

  • 11.000 data center delle pubbliche amministrazioni,
  • 25 mila siti web e circa
  • 160 mila basi dati, sui quali si appoggiano oltre 200 mila applicazioni. 

Alla frammentazione si aggiunge un altro problema: “Dalla seduta della Commissione del 14 dicembre 2016 è emerso come si tenda ad esternalizzare molto, con la conseguenza di incrementare la difficoltà nell’effettuare investimenti mirati e necessari”. Un freno che cozza la spending review: “La razionalizzazione dei costi- afferma la Commissione – risulta molto più semplice quando si rielaborano i processi in chiave digitale”. 

67 audizioni, un terabyte di dati raccolti: "Servono profili adeguati"

Il lavoro di indagine è durato un anno: 67 audizioni tra istituzioni e società di consulenza e un terabyte di documenti analizzati che inchiodano la macchina statale, la cui maggiore criticità è quella di disporre di un personale inadeguato al compito di digitalizzare il Paese. Nel testo si legge che la Pa “non può più procrastinare un adeguamento delle competenze del personale dirigenziale” sia attraverso un “massiccio investimento in formazione, sia attraverso una ineludibile immissione di nuovo personale soprattutto a livelli apicali”.

Dunque, prima di tutto, nella pubblica amministrazione mancano le figure necessarie alla digitalizzazione del Paese. Eppure la normativa italiana prevedeva queste figure già dal 1993, e, andando ancora più indietro, nel 1981 il Cnel parlava dell’informatica come “strumento di riforma di una pubblica amministrazione che voglia essere moderna e produttiva”. Trentasei anni dopo, la nostra macchina burocratica manca ancora di queste figure. Ma cambiare il passo della digitalizzazione dell’Italia non passa soltanto dal fornire la PA di nuove figure, meglio formate. 

Le soluzioni: rafforzare l'Agid e cambiare mentalità

Una seconda indicazione riguarda “il rafforzamento dell’Agenzia per l’Italia digitale, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello della dotazione organica” perché secondo la Commissione “non riesca a svolgere tutte le sue funzioni” rispetto alla “vigilanza e controllo sul rispetto delle norme del Codice dell’amministrazione digitale”. Ma molto passa anche da una revisione delle linee guida per la fornitura dei sistemi informativi “che preveda studi di fattibilità e progettazione prima della messa a bando della realizzazione, in modo da specificare meglio gli obiettivi di digitalizzazione e gli indicatori di risultato del progetto”. Un cambiamento culturale profondo, che passi dalla logica “al massimo ribasso sul costo” ad una logica di prodotto, “con opportune metriche di qualità”.

@arcangelorociola

 

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