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Cingolani, sul clima “un piano transizione complesso, tocca tutti”

AGI – “C’è da sviluppare una transizione che non sia né troppo lenta né troppo veloce. In questa fase stiamo riprogettando il futuro a breve. Ne è uscito un piano molto complesso che tocca pesantemente tutti e ha delle implicazioni politiche“. Lo ha detto il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, durante l’incontra virtuale con gli studenti delle scuole superiori nell’ambito del progetto di educazione civica Cosmopolites.

“Il nostro piano, coordinato con la commissione europea, è diventato quello che tira la transizione. Va monitorato ogni anno e ci vuole l’impegno di tutti. Io, finita questa fase, tornerò a fare il mio mestiere e dopo qualcun’altro dovrà portare avanti questa grande trasformazione badando soprattutto agli aspetti sociopolitici ed, eventualmente, cambiando quello che sarà necessario cambiare in corso d’opera”, ha aggiunto. 

“In questo momento – ha dichiarato il ministro – stiamo puntando sulla trasformazione delle rinnovabili, cercando di aumentare molto la quota di energia elettrica rinnovabile, facendo un poderoso investimento nei prossimi 10 anni, in modo da avere che oltre il 70% della nostra energia elettrica sia prodotta da sorgenti rinnovabili. Questo rende credibile utilizzare il trasporto elettrico e la manifattura elettrica. Si esce dal carbone e si va più a elettricità”.

Fusione nucleare è la soluzione a tutto

“Sono assolutamente certo, ci metterei la firma, che la fusione nucleare sarà la soluzione di tutto. Il concetto è: nel 2050-2070, non so quando riusciremo, avere una piccola stella in miniatura, di diametro 30 cm, che in una grande città produce energia per tutti e non fa scorie radioattive. Poi c’è la fissione che è quella che quella che crea problemi ed è un pò più critico”, ha detto Cingolani, sottolineando che con “la fusione si fa come la natura, si copia l’universo, e sicuramente quella è la strada. Anche per questo nella tassonomia non può non esserci il nucleare perchè tutto l’universo funzione con la fusione e prima o poi anche noi. Sicuramente è un settore dove bisogna fare grandi investimenti e studiare molto”.

“Vanno studiati i reattori piccoli modulari”

“Noi non possiamo decidere oggi sul nucleare perchè, anche se avessimo 100 miliardi in tasca, oggi non c’è una soluzione nucleare pronta. La mia posizione tecnica, non politica, è che assolutamente non farei delle centrali di prima e seconda generazione, perchè sono complesse, costose e hanno problemi.

Sono assolutamente convinto che vada studiata la nuova generazione di reattori, i cosiddetti reattori piccoli modulari, non producono grandissima potenza però sono più sicuri. Secondo me, da li’ potrebbero venire ottime notizie di rapporto costo-beneficio, però sono in fase di studio in molti paesi del mondo. La tecnologia va studiata e capita, ci vorranno ancora diversi anni. Se si dovesse studiare una tecnologia del genere sarebbe saggio, io lo farei”, ha aggiunto il ministro.

“Abbiamo un appuntamento importante con la tassonomia energetica europea. La commissione europea, dopo un lungo lavoro, pubblicherà in questi giorni la tassonomia: una tabella intelligente che dice quali sono le tecnologie energetiche ritenute verdi che non producono anidride carbonica e gas clima alteranti e sulle quali sarà possibile investire nei prossimi anni. Ciascuno stato poi si farà il proprio energy mix”, ha ricordato il ministro, sottolineando che nella tassonomia europea “al 99% ci sarà anche il nucleare, perchè oggettivamente non fa Co2. è certo che ci sia, lo hanno già anticipato”.

Secondo Cingolani quindi, “con questa cosa in mente, bisogna pensare che ci sarà la possibilità di poter utilizzare tra le varie sorgenti anche il nucleare. Ogni paese è sovrano, noi abbiamo votato dei referendum anni fa che hanno escluso l’uso del nucleare. Era il nucleare di prima generazione. Poi, quando avremo tutti i dati sulle nuove tecnologie, il Paese prenderà le sue decisioni e può farlo in tanti modi, facendo altri referendum e altre leggi, ma io non ci sarò”. 


Cingolani, sul clima “un piano transizione complesso, tocca tutti”

G20: Yellen, “L’accordo sulla tassa globale è buono per tutti i governi”

AGI – Un accordo su una tassa globale sulle multinazionali è buono per tutti i governi e aiuterà a far crescere il gettito fiscale chiudendo una corsa al ribasso fra i Paesi nel tagliare le aliquote fiscali per le imprese. A sottolinearlo, in un incontro stampa tenuto con alcuni media statunitensi e tedeschi tenuto assieme al ministro delle Finanze della Germania, Olaf Scholz, è il segretario al Tesoro statunitense, Janet Yellen.

Yellen ha spiegato come non sia essenziale che tutti i Paesi siano d’accordo ma che le preoccupazioni di coloro che resistono all’accordo (in Europa ad esempio Ungheria e Irlanda, ndr) saranno affrontate nei mesi scorsi. Il G20, ha aggiunto Scholz, ha fatto grandi progressi nella riforma fiscale per le aziende, con tutti i membri che supportano un accordo per fermare le multinazionali dallo spostare i profitti nei paradisi fiscali.

“Oggi vediamo che tutti i Paesi stanno trovando un’intesa per supportare questo processo internazionale nel cercare una strada per una tassazione minima”, ha spiegato il ministro tedesco a Venezia. Rispondendo a una domanda su una ‘digital tax’ a livello di Unione Europea, inoltre, Scholz ha detto che ciò che serve è una soluzione globale.

 L’accordo, ha sottolineato Yellen, “contiene meccanismi che possono essere usati per essere sicuri che i Paesi che non sottoscrivono l’intesa non possano minarla”. Da qui al G20 di ottobre, ha detto, “proveremo” a rispondere alle preoccupazioni di chi non ha sottoscritto l’accordo in sede Ocse, “ma voglio rimarcare che non è essenziale che tutti i Paesi siano d’accordo”.

La segreteria al Tesoro statunitense ha anche spiegato di star lavorando con le commissioni fiscali per far sì che la norma possa passare di fronte al Congresso. “Sono ottimista che la legislazione includerà quello che serve agli Stati Uniti per essere conformi al secondo pilastro (quello della tassa minima globale, ndr)”, ha concluso Yellen.

“Progressi nell’affrontare le sfide cruciali”

Ieri al G20 finanziario di Venezia sono stati fatti “progressi nell’affrontare sfide globali cruciali, come la crisi climatica e la fine della pandemia”. A sottolinearlo, su Twitter, il segretario al Tesoro statunitense, Janet Yellen. “Non vedo l’ora di continuare la conversazione questo fine settimana”, ha aggiunto l’economista, che domenica mattina incontrerà la stampa.

La giornata di oggi prevede il proseguimento della discussione fra i ministri dell’economia dei principali Paesi del mondo e i governatori delle banche centrali, da cui poi uscirà il documento finale dell’appuntamento, che dovrebbe segnare un accordo su una riforma della fiscalità internazionale, compresa una tassa minima globale sulle multinazionali. A illustrare l’intesa raggiunta, in una conferenza stampa programmata perle 17.30, saranno i padroni di casa, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.

 


G20: Yellen, “L’accordo sulla tassa globale è buono per tutti i governi”

Trump: “Noi americani veniamo spennati da tutti, anche dall’Ue e dalla Cina”

"Siamo il salvadanaio del mondo ma veniamo spennati dalla Cina, dall'Unione europea e virtualmente da tutti coloro con cui facciamo business". Così il presidente Donald Trump durante la conferenza stampa congiunta con il presidente polacco Andrzej Duda alla Casa Bianca. Ieri il presidente Usa ha annunciato nuovi dazi del 10% su 200 miliardi di importazioni cinesi.

Agi News

L’accordo sull’Ilva ottenuto da Di Maio ha soddisfatto tutti. Anche Calenda

Una vera e propria trattativa-fiume di 18 ore al termine della quale sindacati e ArcelorMittal hanno trovato l'accordo sull'Ilva. Un tavolo iniziato ieri e terminato oggi pomeriggio con tanto di maratona notturna sotto la supervisione del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio.

L'ipotesi di intesa sarà sottoposta, entro una settimana, al referendum dei lavoratori all'esito del quale seguirà la firma ufficiale. Sarà anche revocato lo sciopero proclamato per l'11 settembre. In sintesi l'accordo prevede: l'assunzione di 10.700 lavoratori invece dei 10.300 della proposta avanzata ieri; un piano di incentivi all'esodo volontario che preveder 100.000 euro lordi per il lavoratore che decidesse di andare via subito; 4,2 miliardi di investimenti da parte di ArcelorMittal sul piano industriale e ambientale (TPI).

L'intesa, ha sottolineato Di Maio, rappresenta "il miglior risultato possibile nella peggiore situazione possibile" e scongiura la possibilità di annullare la gara. Ora, ha proseguito il ministro, il "vero" obiettivo è rilanciare Taranto e il governo si metterà a lavoro "per una legge speciale" per la città, "stanziando le risorse in legge di bilancio".

A sottolineare l'importanza della partita anche le parole del premier Giuseppe Conte secondo cui nella vertenza Ilva "è stato raggiunto un risultato di assoluta eccellenza. Devo ringraziare Di Maio – ha aggiunto – per aver svolto un lavoro egregio. Ci siamo sentiti questa notte. Siamo partiti da una situazione difficile ed è stata superata con un percorso costruito dal Governo" (Il Post).

Soddisfatti i sindacati. "Dopo una lunga notte di trattativa – hanno rilevato la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David e il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini – abbiamo finalmente siglato l'ipotesi di accordo, grazie anche al ruolo decisivo del Governo per lo sblocco della vertenza. Esprimiamo grande soddisfazione perché abbiamo ottenuto gli obiettivi che ci eravamo prefissati.

ArcelorMittal ha accolto molte delle condizioni poste dalle Fiom-Cgil". Quella sull'Ilva "è stata la trattativa più lunga e complessa della moderna storia sindacale. Ora – ha spiegato il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo – occorre dare attuazione all'accordo perchè si puo' e si deve guardare al futuro dei lavoratori e della città di Taranto in una prospettiva di sviluppo e di salvaguardia della sicurezza e dell'ambiente" (Il Sole 24 Ore).

Su Twitter arrivano i complimenti anche dell'ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che in passato ha criticato più volte Di Maio, ma oggi scrive: "Una grande giornata per #ILVA,per l’industria italiana e per Taranto.Finalmente possono partire gli investimenti ambientali e industriali.Complimenti a aziende e sindacati e complimenti non formali a Luigi Di Maio che ha saputo cambiare idea e finalmente imboccare la strada giusta" (La Repubblica).

Sulla stessa linea la Cisl che con la segretaria generale Annamaria Furlan evidenzia l'importanza della "firma dell'accordo" rimarcando l'atteggiamento "pragmatico e responsabile" delle parti. Anche per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, si tratta di "un bel segnale per il Paese". Insomma, ha concluso l'amministratore delegato di Arcelor Mittal, Matthieu Jehel, al termine della trattativa, "oggi è l'inizio di un lungo percorso per fare dell'Ilva una impresa più forte e più pulita". 

Agi News

Salvi tutti i 417 lavoratori della Embraco

​"Finalmente si chiude in modo positivo una vertenza durata mesi che ha vissuto punte drammatiche, come quando l'Embraco aveva avviato la procedura di licenziamento collettivo per tutti i lavoratori". Così Lino La Mendola, della segretaria provinciale della Fiom-Cgil, e Ugo Bolognesi, responsabile di Embraco per la Fiom-Cgil, comunicano l'intesa raggiunta oggi presso la sede dell'Amma per la reindustrializzazione dello stabilimento Embraco di Riva di Chieri, azienda del gruppo Whirlpool, con il passaggio, a partire dal 16 luglio, del sito e di tutti i 417 lavoratori alla Ventures srl. "Con questo accordo – proseguono i rappresentanti della Fiom – parte la reindustrializzazione che consente il salvataggio di tutti i posti di lavoro. È un successo ottenuto grazie all'impegno dei lavoratori che non hanno mai smesso di lottare per salvare il proprio posto di lavoro: adesso – concludono- trattera' di monitorare attentamente l'avanzamento del piano industriale".

Il verbale di incontro siglato oggi sancisce di fatto la conclusione del percorso che vedrà il passaggio alla societa israelo-cinese Ventures Production di tutti i lavoratori Embraco di Riva di Chieri (Torino). I 417 lavoratori, entro il 15 luglio, saranno assorbiti tramite articolo 47 (cessione di ramo d'azienda) dalla società per produrre sistemi per la depurazione delle acque e robot per la pulizia a secco dei pannelli solari.

L'azienda richiederà 24 mesi di cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione aziendale, che sarà utilizzata secondo le esigenze anche formative del percorso di ricollocazione. Nella prima fase i rientri saranno circa 90, saliranno a 280 entro aprile 2019, 330 entro settembre dello stesso anno, 370 entro l'inizio del 2020, per raggiungere la piena ricollocazione entro luglio 2020.
Azienda e sindacati hanno inoltre raggiunto un'intesa sul contributo che Embraco verserà ai lavoratori come compensazione "una tantum" per il periodo luglio-dicembre 2018 durante il quale partiranno gli ammortizzatori sociali.

"Siamo soddisfatti del risultato ottenuto e fiduciosi sul buon esito dell'operazione, anche in virtù delle garanzie sulle solidità della società fornite dal Mise", commentano il segretariato della Uilm di Torino Dario Basso e il responsabile Embraco del sindacato Vito Benevento.

Agi News

Altro che salvataggio. Gli aiuti alla Grecia sono finiti quasi tutti alle banche

La 'troika' abbandona la Grecia dopo otto anni di commissariamento che lasciano un Paese stremato da tagli durissimi al welfare e una popolazione impoverita dagli effetti recessivi della dottrina dell'austerità. Certo, due anni fa l'economia ha ripreso a crescere e quest'anno dovrebbe raggiungere un'espansione superiore al 2%. I conti sono tornati in ordine, con un deficit sceso lo scorso anno sotto l'1% del Pil. Il costo sociale delle riforme imposte da Ue, Bce e Fmi è stato però elevatissimo. Secondo l'ultimo rapporto Eurostat sulle povertà estreme, un cittadino greco su cinque non riesce a pagare le utenze di luce e gas o acquistare carne regolarmente. Ci sono studi secondo i quali dal 2010 al 2015 la percentuale di greci che ha dovuto rinunciare a spese mediche per mancanza di denaro, potendo contare sempre meno sul sistema sanitario pubblico, è più che raddoppiata, dal 10% al 22%. Il tasso di suicidi, in precedenza bassissimo, e il numero di persone colpite da depressione, nel frattempo, sono aumentati. 

Una vulgata da confutare

Ovviamente Atene ha le sue responsabilità, nelle spese allegre per le Olimpiadi che spinsero i governi di allora a truccare i conti per nascondere la voragine nei bilanci. Ciò non rende però meno inaccettabile la vulgata sugli operosi nordeuropei costretti a mettere mano al portafoglio per "salvare" gli scialacquatori levantini. E non solo perché, a conti fatti, il governo di Berlino ha guadagnato 1,3 miliardi dai prestiti concessi durante la crisi ellenica. I tre piani di prestiti alla Grecia, un totale di 241 miliardi dal 2010 al 2018, sono stati prima di tutto uno strumento per consentire alle banche francesi e tedesche (minima era l'esposizione di quelle italiane) di salvaguardare i propri investimenti nel Paese egeo, investimenti che una 'Grexit' avrebbe ridotto in poltiglia con i prevedibili effetti domino sulle rispettive economie nazionali. A confermarlo fu uno studio dell'European School of Management and Technology di Berlino risalente al maggio 2016, che analizzò la destinazione dei 216 miliardi di prestiti erogati fino ad allora.

I contribuenti europei hanno salvato i privati

Dallo studio risulta che il 95% della somma era stata assorbita dalle banche dell'Eurozona e solo il 5% era concretamente finito nelle casse statali di Atene. "L'Europa e il Fondo Monetario Internazionale negli anni scorsi hanno salvato soprattutto le banche europee e altri creditori privati", spiegò ad Handelsblatt Jorg Rocholl, direttore dell'istituto. Gli economisti che hanno partecipato allo studio hanno esaminato singolarmente ogni prestito per stabilire dove sia finito il denaro e hanno concluso che solo 9,7 miliardi di euro sono stati messi a bilancio dal governo greco a beneficio dei cittadini laddove 86,9 miliardi di euro sono stati utilizzati per rimborsare vecchi debiti, 52,3 miliardi per il pagamento degli interessi e 37,3 miliardi per la ricapitalizzazione delle banche elleniche. "È un qualcosa che tutti sospettavano ma che pochi sapevano davvero. Ora uno studio lo conferma: per sei anni l'Europa ha tentato invano di porre fine alla crisi in Grecia attraverso i prestiti e chiedendo riforme e misure sempre più dure", sottolineò il quotidiano tedesco, "del fallimento, come ovvio, è maggiormente responsabile la pianificazione dei programmi di salvataggio che il governo greco". In sostanza, chiosò Rocholl, "i contribuenti europei hanno salvato gli investitori privati".

L'Italia ha pagato il conto per gli altri

Buona parte dell'esposizione – attraverso i fondi salva-Stati europei Efsf ed Esm – è passata quindi dalle banche agli Stati. Il problema è che la cifra concretamente versata dagli Stati come quota dei prestiti non ha corrisposto certo all'esposizione del proprio sistema bancario, bensì alla propria partecipazione nei suddetti fondi. Pertanto la Francia, che nel 2011 risultava la più esposta con 60 miliardi di crediti a rischio, se l'è cavata sborsando 46 miliardi di euro, (considerando prestiti bilaterali e quote in Bce, Efsf ed Esm) laddove l'Italia, sempre al 2015, aveva versato ben 40 miliardi a fronte di un'esposizione pari ad appena 10 miliardi. Ancora peggio è andata alla Spagna, che è passata da un'esposizione quasi nulla a 25 miliardi. La Germania – secondo i dati della Banca internazionale dei regolamenti – risultava esposta per 40 miliardi e ne avrebbe versati in totale 60. Ci ha perso pure Berlino, quindi? Non è così semplice, e non solo perché questi dati, non tengono conto dei successivi, complessi spostamenti delle esposizioni e delle plusvalenze sui prestiti realizzate nei tre anni successivi.

"A guardare più da vicino, la ripartizione del credito per tipologia mostra che in realtà sono le banche tedesche le più esposte perché hanno 22,7 miliardi di debito governativo ellenico contro i 15 miliardi della Francia", spiegava allora Formiche, "ed è proprio il debito governativo quello su cui focalizzarsi, come specifica Boris Groendahl in un articolo di Bloomberg". Non solo. Se a settembre 2014, “in valore assoluto solo Belgio e Germania avevano incrementato la loro esposizione al settore pubblico greco", sottolineò Bruegel, "l’unico Paese dove l’esposizione pubblica è aumentata in maniera massiccia come percentuale sul totale è l’Italia”. Tutto questo oggi non potrebbe più accadere. Con la direttiva sul bail-in, a sopportare il prezzo di una crisi bancaria sarebbero i creditori degli istituti, non i contribuenti europei.

@CiccioRusso_Agi

Agi News

Le 10 società in cui tutti vogliono lavorare. Amazon è prima

Sognate di lavorare in Google? Siete fuori moda. E’ Amazon il colosso che fa più gola oggi. Almeno secondo LinkedIn, il social network per professionisti che ogni anno registra movimenti e ‘gusti’ dei suoi oltre 500 milioni d’iscritti. Secondo i dati della società aggiornati a febbraio di quest’anno, per la prima volta a dominare la classifica c’è Amazon, la seconda più grande società privata che dà lavoro a 566 mila persone.

La ricetta vincente

Per entrare in Amazon, i lavoratori, rinuncerebbero persino ai caffè gratis e alle pareti rocciose per una pausa ‘arrampicata’ che per anni hanno fatto di Google il miglior posto di lavoro al mondo. Ben vengano, invece, le criticatissime scrivanie minimaliste e le merendine dei distributori automatici di Amazon. 

A fare centro è l’approccio del suo amministratore delegato Jeff Bezos che paga profumatamente per assicurarsi i migliori talenti. “Ragioniamo ancora come una start up”, ha spiegato Jeff Wilke, l’alter ego di Bezos con l’incarico di supervisionare i consumi (e la forza lavoro) in tutto il mondo.

Sarebbe questo, dunque, il segreto che ha permesso al gigante dell’e-commerce di espandere i propri interessi anche nell’industria dei robot, dei droni e persino di Hollywood con la produzione del servizio di streaming online “Amazon Prime”. L’ultima frontiera è quella della sanità, su cui Bezos sta lavorando insieme a JP Morgan e Berkshire Hathaway.

La top ten

2 – Al secondo posto della top ten si piazza Alphabet, fondata nel 2015 come holding a cui fanno capo Google Inc. e altre società controllate. Solo Google riceve 1,1 milioni di richieste di lavoro ogni anno e la società sta lavorando sull’apertura o sull’espansione dei suoi uffici in nove stati americani. D’altronde il gruppo può già contare su una forzalavoro di 80.110 persone.

3 – La terza società più desiderata è Facebook, il social network di Mark Zuckerberg che vale 521 miliardi di dollari ma che si ritrova nel mezzo di una bufera senza precedenti per il suo coinvolgimento nel caso di Cambridge Analytica. Ad oggi la società ha un organico di 25 mila persone in tutto il mondo.

4 – Al quarto posto c’è Salesforce, società di cloud computing statunitense che dà lavoro a 30mila persone. Alla Salesforce l’ambiente è familiare, lo stabilisce “l’Ohana”, filosofia hawaiana adottata dal gruppo. “E’ quando sei focalizzato solo sul prodotto e non sui dipendenti che sorgono i problemi”, ha dichiarato il Ceo Marc Benioff.

5 – Elon Musk e la sua Tesla dominano la quinta posizione. Nel 2017 500 mila persone hanno fatto domanda per lavorare alla corte del visionario sudafricano naturalizzato statunitense. Musk guarda lontano, oltre la stratosfera e le fonti energetiche tradizionali. Vuole arrivare su Marte, rivoluzionare le strade metropolitane con le sue auto elettriche e costruire enormi batterie in grado di risolvere i problemi di approvvigionamento di interi paesi. E gli ingegneri di tutto il mondo sognano di farlo insieme a lui.

6 – Apple è ‘solo’ sesta. Oltre 120 mila persone nel mondo lavorano per la Mela morsicata e si dicono soddisfatte soprattutto per il 25% di sconto sui prodotti del marchio, per le 18 settimane di maternità e per la possibilità di poter congelare gli ovuli a carico dell’azienda.

7 – Al settimo posto si piazza Comcast NBCUniversal, il gruppo dell’’intrattenimento americano che lo scorso anno ha assunto 36 mila persone arrivando a un organico di 164 mila persone. Come le ha attirate?  Con benefit che comprendono internet e tv gratis e pass per entrare negli Universal Studios.

8 – The Walt Disney Company è all’ottavo posto della top ten. In totale per la casa di Topolino lavorano 199 mila persone, tuttavia chi cerca un lavoro nel campo dei media ha smesso di guardare alla Banda Disney. E così la società cerca di adeguarsi: in cantiere c’è il lancio di due servizi di streaming previsto per la fine dell’anno.

9 – In penultima posizione si piazza Oracle, società di informatica fondata nel 1977. Gli sviluppatori e gli ingegneri si affollano nel brillante campus di Redwood Shores per dare il loro contributo a una società che fornisce software e hardware aziendali per alcune delle attività più importanti del mondo. In cambio, i dipendenti hanno accesso a un permesso di malattia vantaggiosa, la pulizia a secco in loco e cambio olio alle auto.

10 – Chiude la top ten Netfix, la piattaforma di streaming che sta cambiando il modo in cui le persone guardano serie e film. La società vale 100 miliardi di dollari frutto dei 117 milioni di consumatori in tutto il mondo. Per ora il gruppo conta 5.500 dipendenti, ma presto il numero potrebbe salire. 

Agi News

6 cose che non tutti sanno sui Bitcoin

Domenica il Bitcoin ha fatto il suo debutto ufficiale alla borsa di Chicago, la Chicago Board Options Exchange (CBOE). Una partenza sprint con la criptovaluta che da 15 mila dollari ha superato in poche ore i 16 mila dollari, per poi toccare quota 18mila sui mercati asiatici. Della moneta digitale si conosce il nome del padre: Satoshi Nakamoto. E il fatto che, probabilmente, un padre non ce l’ha affatto e che quel nome e cognome sono solo uno pseudonimo dietro cui si cela un gruppo di nerd che l’ha inventata. I più preparati hanno seguito la storia sin dall’inizio e conoscono bene il percorso stellare del Bitcoin.

Ecco allora 6 curiosità che (forse) non tutti sanno su quella che hanno definito la moneta del futuro.

1) Il primo negozio fisico è italiano: La rivoluzione bitcoin ha trovato casa in un ex negozietto di abbigliamento all'angolo di una strada di una cittadina che non arriva a 40mila abitanti nel profondo Nord: Rovereto. E’ qui che si trova il primo sportello "fisico" al mondo dedicato alla criptovaluta. Si chiama “Compro Euro” e l'hanno aperto in una manciata di giovani soci, già presenti sul territorio con le loro start-up. Perché a Rovereto? "Usare i bitcoin significa fidarsi di qualcosa, più che di qualcuno. Ma quando si parla di moneta la fiducia è fondamentale", spiega Marco Amadori, già ceo di Inbitcoin e ora anche socio di Compro Euro. E qui ci sono persone che già li usano e che si conoscono fra di loro. Ma guai a perdere la card, o il proprio codice segreto di accesso al portafoglio bitcoin: è una valuta al portatore, perdere i dati equivale a perdere il denaro.

2) Italia, il primo Paese in cui si possono acquistare case in bitcoin: Ci sono 123 appartamenti nel quartiere San Lorenzo di Roma, che posso essere acquistati in bitcoin. L’iniziativa – la prima al mondo del suo genere – è del gruppo immobiliare Barletta, che vuole scommettere sulla criptovaluta al punto da accollarsi le spese d’agenzia e notarili, consentendo un risparmio tra i 15 e i 45mila euro, in base al taglio degli immobili, all’acquirente che sceglierà il nuovo metodo di pagamento. L’operazione si è potuta effettuare in virtù di una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del settembre scorso, che ha di fatto riconosciuto i bitcoin come una valuta straniera, rendendo quindi possibile usarla in un atto notarile.

3) Il primo disco acquistabile con la criptovaluta è di Bjork. Si chiama “Utopia”, è il nono album di Björk uscito il 24 novembre e potrà essere acquistato anche pagando con criptovalute come Bitcoin, Audiocoin, Litecoin e Dashcoin. L’operazione  – riporta Music Ally – nasce dalla collaborazione tra la start-up londinese Blockpool, impegnata nella diffusione della tecnica del pagamento elettronico, e lo staff della cantautrice islandese. “Il pubblico e gli artisti – ha spiegato nell’intervista al portale londinese Kevin Bacon, AD di Blockpool – hanno già usato le criptovalute in precedenza, ma questo è, in ogni modo, il primo caso di artista globale che permetta di utilizzarle per fare qualcosa del genere. Mentre sarà interessante vedere come la comunità legata alle criptomonete risponderà a questa operazione, Utopia può rappresentare il primo approccio per molte persone nei confronti di questa tecnica di pagamento”.

4) Sui banchi a lezione di criptovalute: Sono sempre di più gli atenei che offrono corsi su blockchain e bitcoin per formare una categoria di professionisti fra le più richieste sul mercato. Secondo un recente studio di Deloitte, infatti, il 28% delle maggiori compagne di tech e finanza ha già investito più di cinque milioni di dollari in tecnologie blockchain e un altro 25% prevede di investirli nel 2018.

5) Per estrarre un bitcoin ci vuole tanta energia quanta se ne consuma in Ecuador: Secondo le ultime stime poiché le operazioni computazionali da effettuare per produrre nuovi bitcoin e ridistribuirli tra gli utenti diventano sempre più complesse, l’energia necessaria ogni ora sarebbe diventata oggi comparabile al fabbisogno annuo dall’Ecuador. A risolvere il problema verde ci sta pensando il programmatore Bram Cohen, già fautore di BitTorrent. In che modo? Lanciando attraverso la Chia Network, la società che ha da poco creato, un tipo di crittografia che non sfrutti il proof-of-work (meccanismo per verificare le transazioni), che è esattamente quello che richiede il dispendio di potenza delle macchine e capacità di calcolo e quindi, energia. Per verificare il blockchain (che raccoglie tutte le transazioni) Chia vuole utilizzare lo spazio di archiviazione inutilizzato (più economico) su hard disk.

6) In Usa gli hanno già dedicato una serie: Si chiama StartUp, la serie che ha assoldato nel cast Martin Freeman e Adam Brody, prodotta dal servizio on demand Crackle – la piattaforma di Sony -, e distribuita in Italia da Amazon Video. La storia ruota intorno a un genio dell’informatica, Izzy Morales, il figlio di un ricco finanziere invischiato in affari di riciclaggio di denaro, Nick Talman (interpretato da Adam Brody, noto per la sua interpretazione nella serie “The O.C.”, ndr); un gangster spietato, Ronald Dacey e, infine, un agente corrotto dell’FBI, interpretato da Martin Freeman (conosciuto al grande pubblico per “Fargo” e “Sherlock) incrociano i loro destini. Sarà proprio Izzy a creare una criptomoneta nel garage di casa e a trovare in Nick, un finanziatore e socio che usa i soldi delle attività illecite del padre per avviare la startup.

Leggi anche: Perché non possiamo più non occuparci del Bitcoin

 

 

 

 

Agi News

Stx-Fincantieri, ecco l’accordo che chiude la querelle e soddisfa tutti (per ora)

Fumata bianca nella trattativa tra Italia e Francia sui cantieri di Saint-Nazaire: l’affaire Stx-Fincantieri sembra essersi risolto con un accordo fatto di compromessi diplomatici, più che economici, che mira a salvare la faccia dei due contendenti, dopo un’estate di rappresaglie giocate sulla linea Maginot alpina della cantieristica navale.  La conferma viene da fonti del Tesoro che, come si legge sul sito di Rai News, spiegano che "l'intesa raggiunta è migliorativa rispetto a quella precedente sotto tutti i punti di vista".

L'intesa tra Italia e Francia
 

A Fincantieri disponibilità del 51%

"Fincantieri avrà la disponibilita' diretta del 51% così da avere pieno controllo nella governance aziendale, cosa che non era stata concessa nella precedente formulazione dell'intesa", spiegano le stesse fonti che ricordano che prevedeva per Fincantieri il 48%, mentre il 4% "era destinato a un'istituzione finanziaria italiana".

All'Italia presidente, Ad e maggioranza in consiglio

"La società italiana – affermano le fonti – avrà inoltre presidente, amministratore delegato e maggioranza in consiglio attraverso il casting vote. La maggioranza – proseguono – è frutto di un prestito dell'1% che il Governo potrà revocare solo a condizione di un inadempimento di Fincantieri rispetto agli impegni presi". 

Il piano presentato al vertice Gentiloni-Macron

Ufficialmente, scrive ancora Rai News, il piano d’intesa tra Francia e Italia sui cantieri di Saint-Nazaire sarà presentato oggi, in un vertice intergovernativo tra Macron e Gentiloni a Lione. Come spiegano ancora fonti ministeriali, "sbloccata la vicenda Stx si potrà procedere a studiare la costruzione di un campione mondiale nel settore navale, civile e militare, attraverso una partnership paritetica tra Italia e Francia". 

Francia avrà potere di blocco

Secondo quanto anticipato oggi dalla stampa italiana, "agli italiani andrebbe il 50 più uno nella plancia di comando e ai francesi il diritto di veto su diverse questioni strategiche, compreso gli assetti occupazionali. In altre parole la guida operativa sarebbe italiana, ma ai francesi spetterebbe un potere di blocco che sarebbe esercitato dall’Ape, l’Agence des partecipations de l’Etat", come riportato dalla Stampa.

Il gruppo di lavoro ad hoc

Secondo Il Sole 24 Ore, "i dettagli della nuova governance di Stx così come i confini dell’accordo militare dovranno essere definiti da un apposito gruppo di lavoro del quale dovrebbero far parte azionisti e società coinvolte (Stx, Fincantieri, Naval Group). Al gruppo spetterà il compito di dettagliare, in un tempo stabilito, il percorso che sostanzia la volontà di procedere a un’alleanza nel militare, secondo la traccia già manifestata a inizio agosto dalla riunione ministeriale Italia-Francia. Sarà il gruppo ad hoc a disegnare il perimetro dell’alleanza paritaria, che terrà conto, da un lato, del “peso” di Fincantieri, la quale, numeri alla mano, si è dimostrata più profittevole di Stx e Ng e capace di imporre sui mercati internazionali il suo modello di fregata Fremm a dispetto della versione francese di NG, e, dall’altro, dovrà salvaguardare le specificità delle due aziende".

Marcegaglia: "Macron sia europeista con i fatti"

Una fonte, riportata da Libération, afferma che l’Eliseo è “ragionevolmente ottimista che ci sarà un accordo che soddisferà entrambe le parti, che saranno equilibrate". Mentre il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha detto: “Comprendiamo gli interessi degli altri purché non siano a danno di altri. Le regole vanno applicate tra Europa e mondo esterno e non tra Paesi europei”. Emma Marcegaglia, numero uno di BusinessEurope, leggiamo sul Sole 24 Ore, di aspettarsi “una buona soluzione, con una maggioranza da parte di Fincantieri e una governance che garantisca la Francia. Però agli europeismi di facciata di Macron devono seguire i fatti”.

Rinviata 'partita' Tim-Vivendi

La partita Stx-Fincantieri è così centrale, nelle strategie del governo Gentiloni, che altri dossier sono rimasti in sospeso. Come ricostruito da Repubblica, "soltanto domani l'unità di crisi di Palazzo Chigi deciderà se contestare al colosso francese dei media Vivendi la mancata comunicazione della conquista di Telecom Italia. La legge 56 del 2012 – questa l'ipotesi accusatoria – imporrebbe la notifica al governo italiano una volta raggiunto il controllo di fatto di Telecom. A quel punto, Vivendi avrà 90 giorni di tempo per giustificare la sua condotta. Mentre sempre Vivendi è chiamata dal Garante per le Comunicazioni a scegliere fra Tim e Mediaset, di cui ha il 28,8% delle azioni e il 29,9 per cento dei diritti di voto".

 

Agi News

Petrolio: Opec, tutti stanno rispettando accordo su tagli

(AGI) – Parigi, 14 mar. – I paesi Opec e non Opec stanno rispettando l'accordo sui tagli di produzione decisi a novembre dello scorso anno. Lo riferisce il cartello nel suo bollettino mensile spiegando che i prezzi nel mese di febbraio sono saliti del 2% a una media di 53,37 dollari al barile. La ripresa dei prezzi, sottolinea l'organizzazione, e' in ogni caso minacciata dai produttori shale americani che hanno ricominciato a trivellare, incoraggiati proprio dalla risalita delle quotazioni e dall'aumento della produzione canadese. Dopo l'accordo di fine novembre in seno all'organizzazione, a dicembre l'Opec ha raggiunto una seconda intesa con 11 Paesi non membri, compresa la Russia, per un taglio aggiuntivo. Nel bollettino l'organizzazione ha poi rivisto al rialzo le propie stime sulla domanda per il 2017 a 1,26 milioni di barili al giorno, in crescita di 70.000 barili al giorno rispetto al report precedente. L'incremento dovrebbe derivare dall'aumento della domanda in Europa e nella regione dell'Asia Pacifico. I 13 membri dell'Opec producono un terzo della produzione mondiale di petrolio. (AGI)
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