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Nel 2022 il caro-bollette è costato agli italiani 91,5 miliardi

AGI – Nel 2022 il caro bollette ha comportato un incremento dei costi per famiglie e imprese stimato in 91,5 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. Lo calcola l’Ufficio studi della Cgia, secondo il quale le spese per l’energia elettrica sono aumentate del 109,5%, provocando un extra-costo pari a 58,9 miliardi, mentre quelle del metano sono cresciute del 126,4%, “alleggerendo” il portafoglio degli italiani di 32,6 miliardi.

“La stangata” ha colpito più le imprese che le famiglie: se le prime hanno pagato 61,4 miliardi in più, le seconde, invece, hanno sostenuto un costo ulteriore di 30 miliardi di euro.

A livello geografico, è il Nord-Est l’area più interessata dagli aumenti: rispetto al 2021 la stima degli extra-costi per energia elettrica e gas è salita del 118,1 per cento. Seguono il Nord-Ovest con il +116,6 per cento, il Centro con il +113,6 per cento e il Mezzogiorno con il +109,9 per cento.

A livello regionale, invece, il rincaro più importante ha interessato l’Emilia Romagna (+119,2 per cento), il Friuli Venezia Giulia (+119 per cento) e il Trentino Alto Adige (+118,3 per cento). In termini assoluti, ovviamente, le più penalizzate sono state le regioni più popolate e maggiormente interessate dalla presenza delle attività economiche, come la Lombardia (+20,8 miliardi), l’Emilia Romagna (+10,2 miliardi) e il Veneto (+10 miliardi di euro).

Allo stesso tempo, però, l’incremento del gettito riscosso è stato molto importante per la cessa pubbliche. Nei primi 11 mesi del 2022, infatti, le entrate tributarie erariali sono aumentate di 44,5 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Questo risultato è riconducibile a tre fattori: agli effetti del “decreto Rilancio” e del “decreto Agosto” – che tra il 2020 e il 2021 avevano disposto proroghe, sospensioni, ecc. – e, in particolar modo, agli incrementi dei prezzi al consumo che hanno spinto all’insù il gettito dell’Iva.

 


Nel 2022 il caro-bollette è costato agli italiani 91,5 miliardi

Caro bollette: gli italiani prelevano dai conti 50 miliardi dopo tre anni di risparmi

AGI – L’onda lunga della crisi economica causata dalla pandemia e, soprattutto, l’aumento delle bollette energetiche si fanno sentire sui risparmi di aziende e cittadini: i ‘salvadanai’ degli italiani, dopo quasi tre anni di crescita costante, invertono la tendenza alla crescita e fanno segnare una riduzione di oltre 50 miliardi di euro. Si tratta di una diminuzione del 2,4% in appena tre mesi: a luglio, infatti, l’ammontare delle riserve delle famiglie e delle imprese depositate nelle banche del Paese era a quota 2.097 miliardi, mentre a ottobre è calato a 2.047 miliardi.

È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale il deflusso improvviso potrebbe avere qualche ripercussione sulla raccolta degli istituti di credito, perché potrebbe diventare più costosa, e, quindi, in prospettiva, taluni effetti negativi sugli impieghi, in particolare sui tassi di interesse praticati sui prestiti concessi alla clientela.

“Quella che abbiamo sotto gli occhi – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara – è la fotografia di una situazione drammatica, che noi, purtroppo, avevamo prospettato da tempo. Stanno venendo meno le forze e la liquidità, sia per le famiglie sia per le imprese, specie quelle più piccole. I costi sono insostenibili, le bollette energetiche non più gestibili. Ecco perché, chi ha la possibilità attinge alle proprie riserve. Al governo riconosciamo l’impresa di aver confezionato una legge di bilancio comunque positiva e in tempi brevissimi, tuttavia segnaliamo l’urgenza di avviare un piano straordinario di interventi pubblici e di sostegni a partire da gennaio”.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato i dati della Banca d’Italia relativi, il totale delle riserve delle famiglie e delle imprese, si è attestato a 2.047 miliardi di euro a ottobre scorso, in calo di 50 miliardi (-2,4%) rispetto ai 2.097 miliardi di luglio.

Fino a quel momento, da oltre due anni si era registrata una crescita costante: 1.823 miliardi a dicembre 2019, 1.956 miliardi a dicembre 2020, 2.050 miliardi a ottobre 2021, 2.075 miliardi a dicembre 2021. Una tendenza all’accumulo che è proseguita per tutto l’anno in corso, salvo invertire la rotta da agosto in poi per calare fino ai 2047 miliardi di ottobre. Su base annua, da ottobre 2021 a ottobre 2022, la diminuzione è di 3 miliardi (-0,1%), mentre la variazione complessiva del periodo osservato, da dicembre 2019 a oggi, rivela una crescita di 252 miliardi (+13,8%).

Sono soprattutto i conti correnti, la forma di accumulo più utilizzata da aziende e cittadini, sia durante la fase di accumulo sia come fonte a cui attingere in caso di liquidità necessaria in tempi rapidi: il saldo totale era pari a 1.182 miliardi a fine 2019, a 1.349 miliardi a fine 2020, a 1.449 miliardi a ottobre 2021 e a 1.480 miliardi a dicembre 2021; e ancora in aumento fino a 1.497 miliardi fino a luglio 2022, poi la discesa di 45 miliardi (-3,0%) a 1.452 miliardi toccati a ottobre scorso; la variazione annuale, da ottobre 2021 a ottobre 2022, fa emergere un aumento lieve di 3 miliardi (+0,2%), quella complessiva del periodo osservato porta alla luce una crescita rilevante di 298 miliardi (+25,2%).

Più lineare l’andamento dei saldi totali delle altre forme di deposito e accumulo di liquidità: per quanto riguarda i depositi con durata prestabilita, il saldo era 216 miliardi a dicembre 2019, a 207 miliardi a dicembre 2020, a 186 miliardi a ottobre 2021, a 188 miliardi a dicembre 2021, a 175 miliardi a luglio 2022 e a ottobre scorso; se non si registra alcuna variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, la diminuzione è di 11 miliardi (-5,9%) e quella complessiva del periodo osservato è di 28 miliardi (-13,0%). Per quanto riguarda i depositi rimborsabili con preavviso, il saldo era 306 miliardi a dicembre 2019, a 313 miliardi a dicembre 2020, a 316 miliardi a ottobre 2021, a 315 miliardi a dicembre 2021, a 319 miliardi a luglio 2022 e a ottobre scorso; se non si registra alcuna variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, la crescita è di 3 miliardi (+0,9%) e quella complessiva del periodo osservato è di 9 miliardi (+2,9%). Per quanto riguarda i pronti contro termine, il saldo era 119 miliardi a dicembre 2019, a 87 miliardi a dicembre 2020, a 99 miliardi a ottobre 2021, a 92 miliardi a dicembre 2021, a 106 miliardi a luglio 2022 e a 101 miliardi a ottobre scorso; è un calo di 5 miliardi (-4,7%) la variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, invece, c’è una la crescita è di 2 miliardi (+2,0%); complessivamente, nel periodo osservato si è registrato un calo di 27 miliardi (-22,7%).


Caro bollette: gli italiani prelevano dai conti 50 miliardi dopo tre anni di risparmi

In arrivo quasi 47 miliardi di tredicesime (ma 11,4 finiranno al Fisco)

AGI – In arrivo quasi 47 miliardi di euro di tredicesime, di cui 11,4 finiranno nelle casse dell’Erario. I pensionati cominceranno a riscuoterla giovedì prossimo; i dipendenti pubblici e quelli privati, invece, entro le prossime tre o quattro settimane. Lo afferma l’Ufficio studi della Cgia che ha già fatto i primi conti: quest’anno l’ammontare complessivo toccherà i 46,9 miliardi di euro, di cui 11,4 verranno “assorbiti” dal fisco.

I destinatari di questa gratifica ammontano a 33,9 milioni di italiani: 16,1 milioni di pensionati e 17,8 milioni di lavoratori dipendenti. Probabilmente una buona parte di questa mensilità aggiuntiva sarà spesa nel mese di dicembre per pagare, in particolar modo, le bollette di luce e gas, la rata del mutuo, il saldo dell’Imu della seconda abitazione, ma è altrettanto auspicabile che la rimanente parte venga utilizzata per rilanciare i consumi natalizi. Una voce, quest’ultima, che ha una incidenza molto importante sul bilancio annuale di molti artigiani e di altrettanti piccoli commercianti.

Va ricordato che per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, tutti i contratti nazionali di lavoro prevedono, per legge, la tredicesima mensilità. Infine, secondo una stima dell’Ufficio studi della Cgia, sono tra i 7,5 e gli 8 milioni i lavoratori dipendenti del settore privato che beneficiano anche della 14esima (pari a poco più della metà dei dipendenti privati totali).

I principali contratti nazionali di lavoro che prevedono questa mensilità aggiuntiva che tradizionalmente viene erogata a luglio sono: l’agricoltura, l’alimentare, l’autotrasporto, il commercio/turismo/ristorazione e il comparto pulizia/multiservizi.

L’Ufficio studi della Cgia stima che la spesa per i regali natalizi di quest’anno dovrebbe toccare almeno la stessa soglia registrata l’anno scorso, quando sfiorò i 9,5 miliardi di euro. Niente a che vedere, tuttavia, con quanto spendevamo prima della grande crisi del 2008-2009, quando per i regali natalizi gli italiani facevano acquisti per 18/19 miliardi di euro.

La contrazione registrata in questi ultimi anni in parte è anche ascrivibile al fatto che molti italiani anticipano a novembre l’acquisto dei regali, approfittando del “black friday”. Con meno acquisti, tuttavia, a pagare il conto sono stati soprattutto i negozi di vicinato, mentre gli outlet e, almeno in parte, la grande distribuzione organizzata sono riusciti ad ammortizzare il colpo.


In arrivo quasi 47 miliardi di tredicesime (ma 11,4 finiranno al Fisco)

La tempesta a Wall Street è costata oltre 480 miliardi ai super ricchi della tecnologia

AGI – I venti miliardari della tecnologia più ricchi del mondo hanno perso tutti insieme quest’anno, a giovedì scorso, più di 480 miliardi di dollari, a causa della caduta del mercato azionario. È quanto risulta dal Bloomberg Billionaires Index, la classifica quotidiana delle persone più ricche del mondo:in cui figurano, in ordine di miliardi, i tecno magnati Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates, Larry Ellison, Sergey Brin, Steve Ballmer, e fuori dalla top ten, anche Mark Zuckerberg.

I deludenti rapporti sugli utili di una sfilza di giganti della tecnologia di questo mese hanno alimentato i timori di recessione, spinto i prezzi delle azioni al ribasso e pesato sulle fortune delle persone più ricche del mondo.

Non tutti piangono (si fa per dire) però. La ricchezza di Zhang Yiming, il fondatore di ByteDance, la società madre di TikTok, è cresciuta di 10,4 miliardi: ora si attesta su 54,9 miliardi di dollari, è ventiduesimo in classifica. Robert Pera, il fondatore del produttore di apparecchiature wireless Ubiquiti e proprietario dei Memphis Grizzlies della NBA, ha visto la sua ricchezza aumentare di 1,3 miliardi, dandogli un patrimonio netto di 14,7 miliardi.

Secondo Oxfam International, le perdite per molti dei più grandi magnati della tecnologia del mondo sono arrivate dopo che la ricchezza collettiva dei miliardari è cresciuta di più durante i primi due anni della pandemia di Covid-19 che tra il 1987 e il 2010. Nei primi mesi della pandemia, sempre secondo Oxfam, ogni 30 ore veniva creato un nuovo miliardario.

Giovedì il patrimonio netto di Mark Zuckerberg è crollato di 11,2 miliardi di dollari. Le azioni di Meta, la sua società, hanno perso un quarto del loro valore dopo la diffusione della trimestrale. Le entrate della società sono rallentate per il secondo trimestre consecutivo e le perdite legate al Metaverso, la sua grande scommessa, sono aumentate.

Finora quest’anno, la ricchezza dell’amministratore delegato di Meta è diminuita di oltre 87 miliardi di dollari. A oggi il suo patrimonio netto è di 37,7 miliardi: secondo la classifica di Bloomberg è la ventottesima persona più ricca del mondo. Era tra i primi dieci all’inizio dell’anno.

Elon Musk , la persona più ricca del mondo, e Jeff Bezos , il fondatore di Amazon, hanno visto ciascuno oltre 58 miliardi di dollari di ricchezza spazzati via quest’anno. In passato entrambi si sono contesi il primato di persona più ricca del mondo.  Poi Musk ha preso il largo ed è stabilmente al primo posto con un patrimonio di 212 miliardi. Segue Bezos con 134 miliardi. Venerdì scorso le azioni di Amazon sono scese del 7%: Wall Street è rimasta delusa dalle previsioni di vendita della società per il trimestre in corso, che non sono state all’altezza delle aspettative degli analisti. 

Anche i co-fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, che sono tra le 10 persone più ricche del mondo, hanno accusato un colpo al loro patrimonio netto. Ognuno di loro ha perso più di 40 miliardi di dollari quest’anno: questa settimana Alphabet ha riportato il primo calo in assoluto nelle vendite pubblicitarie su YouTube.

Fuori degli Stati Uniti Jack Ma ha fatto del suo ecommerce Alibaba uno dei più grandi imperi commerciali della Cina. Ma quest’anno ha perso 9,3 miliardi dollari e, secondo l’indice, ha un patrimonio netto di 29,1 miliardi: è in trentasettesima posizione.

MacKenzie Scott, che ha costruito la sua fortuna creando Amazon con il suo ex marito, Jeff  Bezos, ha perso più di 31 miliardi di dollari. Giovedì era l’unica donna tra i primi 20 magnati della tecnologia più ricchi. È scesa al 45° posto nel giro di due giorni.


La tempesta a Wall Street è costata oltre 480 miliardi ai super ricchi della tecnologia

L’Italia spende 313 miliardi all’anno per pagare le pensioni

AGI – Sono oltre 16 milioni (precisamente 16.098.748), al 31 dicembre scorso, i beneficiari di prestazioni pensionistiche, in aumento del 3,6% rispetto al 2020.

Le prestazioni sono 22.758.797 (+0,2% rispetto al 2020), per un ammontare complessivo annuo di 313 miliardi (+1,7% rispetto al 2020). Lo rende noto l’Inps.

Si tratta di una media di 1,4 pensioni a testa, anche di diverso tipo: il 68% percepisce una sola prestazione, mentre il 32% ne percepisce due o più; in particolare, il 24% dei beneficiari percepisce due prestazioni, il 75% tre e l’1% quattro o più.

Le donne rappresentano la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici: l’importo medio dei redditi percepiti dalle donne è infatti inferiore rispetto a quello degli uomini del 27% (16.501 contro 22.598 euro).

Il 78% delle pensioni è di tipo IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti), mentre le assistenziali (invalidità civili, assegni e pensioni sociali, pensioni di guerra) costituiscono il 19% del totale; il rimanente 3% circa è rappresentato dalle prestazioni di tipo indennitario, costituite dalle rendite Inail.

Il gruppo più numeroso di pensionati è quello dei titolari di pensioni di vecchiaia: sono 11.263.961, di cui 3.131.469 (il 28%) sono anche titolari di trattamenti di altro tipo.

I pensionati di invalidità previdenziale sono circa un milione, il 49% dei quali cumula pensioni di tipo diverso. I titolari di pensioni ai superstiti sono 4.276.943; circa un terzo (il 33%) percepisce solo pensioni ai superstiti, mentre il restante 67% percepisce anche pensioni di altro tipo.

I beneficiari di prestazioni assistenziali sono circa 3,7 milioni; il 50% e’ titolare anche di prestazioni diverse da quelle assistenziali. Sono principalmente i beneficiari di indennita’ di accompagnamento che percepiscono anche pensioni di tipo previdenziale. 


L’Italia spende 313 miliardi all’anno per pagare le pensioni

Il nuovo governo dovrà trovare 40 miliardi in 100 giorni, dice la Cgia

AGI – Senza approvare alcuna misura promessa in questa campagna elettorale, il nuovo Governo dovrà comunque trovare entro il prossimo 31 dicembre almeno 40 miliardi di euro; di cui 5 miliardi per estendere anche al mese di dicembre gli effetti contro il caro energia introdotti la settimana scorsa con il decreto Aiuti ter e altri 35 miliardi per consentire, attraverso la prossima legge di bilancio, che alcuni provvedimenti introdotti dal Governo Draghi non decadano con l’avvio del nuovo anno.

Lo afferma l’ufficio studi della Cgia, secondo cui il nuovo esecutivo che “uscirà” dalle urne “ha già una ipoteca da 40 miliardi di euro e sarà quasi impossibile mantenere, almeno nei primi 100 giorni, le promesse elettorali annunciate in questi ultimi due mesi; come, ad esempio, la drastica riduzione delle tasse, la riforma delle pensioni, il taglio del cuneo fiscale”.

Senza contare, aggiungono gli artigiani mestrini, che “se il nuovo inquilino di Palazzo Chigi vorrà intervenire con ulteriori provvedimenti per mitigare il caro energia saranno necessari altri 35 miliardi di euro per ridurre di almeno la metà i rincari che si sono abbattuti quest’anno su famiglie e imprese”.

Entro il 27 settembre, spiega la Cgia, “sarà il governo uscente a presentare la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), mentre spetterà al nuovo esecutivo redigere entro il 15 ottobre il Documento programmatico di bilancio (Dpb) ed entro il 20 ottobre il disegno di legge di bilancio. Scadenze, queste ultime due, che quasi certamente non potranno essere rispettate, visto che la prima seduta delle nuove Camere è stata fissata il 13 ottobre. Anche approvare in tempo la finanziaria 2023 non sarà facile: per legge il voto definitivo deve avvenire entro il 31 dicembre, altrimenti scatta l’esercizio provvisorio. Pertanto, i tempi a disposizione sono strettissimi e non sarà facile trovare le tutte le risorse per confermare anche per l’anno venturo molti provvedimenti introdotti dal governo Draghi”.

Le Cgia passa ad elencarle: “quasi 15 miliardi di euro per rinnovare nei primo trimestre le misure contro il caro energia previste dal decreto Aiuti ter; almeno 8,5 miliardi di euro per indicizzare le pensioni; almeno 5 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego; 4,5 miliardi di euro per lo sconto contributivo del 2 per cento a carico dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 35 mila euro; 2 miliardi di euro di spese indifferibili”. 


Il nuovo governo dovrà trovare 40 miliardi in 100 giorni, dice la Cgia

Per le imprese la stangata luce-gas sfiorerà i 106 miliardi

AGI – Sfiora i 106 miliardi di euro il costo aggiuntivo che le imprese italiane subiranno quest’anno a causa dei rincari di energia elettrica e gas. La stima è dell’Ufficio studi Cgia che è giunto a questo risultato ipotizzando, per l’anno in corso, gli stessi consumi registrati nell’anno pre-pandemia, applicando però per l’intero 2022 le tariffe medie di luce e gas sostenute in questi ultimi sei mesi. “Una stangata che rischia di provocare una vera debacle al nostro sistema produttivo”, secondo l’associazione.

I 106 miliardi di extra costo, tuttavia, potrebbero essere addirittura sottostimati; se dal prossimo autunno la Russia dovesse chiudere ulteriormente le forniture di gas verso l’Europa, è probabile che il prezzo di questa materia prima subirà un’impennata che spingerà il costo medio dell’ultima parte dell’anno a un livello molto superiore a quello registrato nei primi sei mesi del 2022.

Per la Cgia, seppur ancora “insufficienti” le misure di mitigazione, va comunque segnalato che il governo Draghi ha in parte smorzato l’impennata dei costi energetici. I soldi messi a disposizione per mitigare i rincari nel biennio 2021-22, infatti, ammontano, includendo anche il decreto Aiuti, a 22,2 miliardi di euro (di cui 16,6 nel 2022). Di questi, 3,2 hanno ristorato le famiglie, 7,5 le imprese e 11,5 sosterranno sia le prime sia le seconde. Se nel 2019 il costo medio dell’energia elettrica ammontava a 52 euro per MWh, nei primi sei mesi del 2022, invece, si è attestato a 250 euro (+378 per cento).

Pertanto, a fronte di un consumo di 217.334 GWh, il costo totale in capo alle imprese nel 2019 ha toccato i 35,9 miliardi di euro. Quest’anno, invece, la bolletta toccherà i 108,5 miliardi di euro (differenza + 72,6 miliardi). Per il gas, viceversa, se tre anni fa il costo medio era di quasi 16 euro per MWh, nel primi sei mesi del 2022 il prezzo ha sfiorato i 100 euro (+538 per cento).

Perciò, a fronte di un consumo medio annuo di 282.814 GWh, nel 2019 le imprese hanno sostenuto un costo medio complessivo pari a 9,5 miliardi di euro, contro i 42,8 miliardi del 2022 (differenza +33,3 miliardi di euro). Ebbene, sommando i 72,6 miliardi di extra costi per la luce e i 33,3 per il gas otteniamo i 105,9 miliardi di costi aggiuntivi che le aziende dovranno farsi carico quest’anno rispetto al 2019 (anno pre-Covid).

A livello territoriale le realtà che più delle altre subiscono i rincari maggiori sono, ovviamente, quelle dove la concentrazione delle attività imprenditoriali è più elevata. Se, rispetto al 2019, in Lombardia il costo aggiuntivo per far fronte ai rincari di luce e gas toccherà quest’anno i 24,4 miliardi di euro, in Emilia Romagna sarà di 12,4, in Veneto di 11,8 e in Piemonte di 9,8 miliardi. Oltre il 63 per cento dell’extra costo totale nazionale di luce e gas è in capo alle aziende del Nord.

Nell’ultimo anno. sottolinea la Cgia, gli incrementi di prezzo per le imprese sono stati “spaventosi”. Quello dell’energia elettrica è aumentato del 220 per cento; infatti, se a giugno 2021 la media mensile del Prezzo Unico nazionale era pari a 84,8 euro per MWh, lo scorso giugno è salito a 271,3 euro.

E l’associazione segnala che a marzo aveva toccato il picco massimo di 308,1 euro. Il prezzo del gas, invece, sempre nell’ultimo anno è cresciuto addirittura del 274 per cento; se nel giugno dell’anno scorso di attestava sui 28,1 euro al MWh, 12 mesi dopo si è attestato a 105,2 euro, anche se a marzo di quest’anno aveva toccato la punta massima di 128,3 euro. Con aumenti dell’energia elettrica e del gas che nell’ultimo anno sono stati rispettivamente del 220 e del 274 per cento, i settori energivori sono più a rischio degli altri.

Per quanto riguarda il consumo del gas, segnaliamo le difficoltà che da mesi stanno colpendo le imprese del vetro, della ceramica, del cemento, della plastica, della produzione di laterizi, la meccanica pesante, l’alimentazione, la chimica etc.

Per quanto concerne l’energia elettrica, invece, rischiano il blackout le acciaierie/fonderie, l’alimentare, il commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.), alberghi, bar-ristoranti, altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, etc.). 


Per le imprese la stangata luce-gas sfiorerà i 106 miliardi

Sui conti correnti di famiglie e imprese 100 miliardi in più in solo un anno

AGI – Dopo il Covid, la guerra tra Russia e Ucraina continua a far crescere le riserve e i risparmi di famiglie e imprese italiane: da maggio 2021 a maggio 2022, il totale delle somme lasciate in banca dalla clientela privata è cresciuto di oltre 105 miliardi di euro. Il saldo totale dei conti correnti e dei depositi ammonta a 2.101 miliardi di euro in aumento di oltre il 5% rispetto ai 1.995 miliardi di un anno fa.

Le riserve delle famiglie sono cresciute dei oltre 48 miliardi arrivando a 1.178,8 miliardi complessivi (+4%), mentre quelle delle aziende sono salite di quasi 29 miliardi fino a quota 416 miliardi (+7%). Sono questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale sui conti correnti ci sono quasi 100 miliardi in più. Il saldo complessivo è pari a 1.481 miliardi, in crescita dal 7% rispetto ai 1.384 miliardi di maggio 2021: su questa cifra pesano i rischi legati alla crescita costante dell’inflazione che riduce sensibilmente il potere d’acquisto dei risparmi infruttiferi.

“Per far ripartire i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese servirebbe fiducia, ma le tensioni nella maggioranza e l’ormai conclamata crisi di governo rappresentano un freno clamoroso per la ripresa e, allo stesso, favoriscono gli atteggiamenti conservativi. Ci stiamo avvitando in una spirale negativa e la prospettiva della recessione nel 2022, purtroppo, è sempre più realistica. Il decreto annunciato dal governo per la fine di luglio deve rappresentare una risposta concreta ai bisogni del Paese”, commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.

Secondo l’analisi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, da maggio 2021 a maggio 2022 il totale delle riserve delle famiglie e delle aziende italiane è passato da 1.995,9 miliardi a 2.101,1 miliardi, in aumento di 105,1 miliardi (+5,27%) su base annua.

Nel dettaglio, sono cresciuti di 45,5 miliardi (+4,29%) da 1.130,3 miliardi a 1.170,8 miliardi i risparmi delle famiglie, mentre quelli delle aziende sono saliti di 28,9 miliardi (+7,47%), da 387,1 a 416,1 miliardi, i depositi delle imprese familiari sono aumentati di 8,8 miliardi (+11,33 %), da 78,1 a 86,9 miliardi. Su di 2,3 miliardi (+11,33%) i salvadanai delle onlus, saliti dai 32,9 miliardi della primavera 2021 ai 35,2 miliardi di maggio 2022, mentre sono aumentati di 41 milioni (+0,19%) i depositi degli enti di previdenza (da 21,42 miliardi a 21,46 miliardi).

La liquidità dei fondi d’investimento è salita di 16,8 miliardi (+5,24%), da 321,1 miliardi a 338,1 miliardi. L’incremento complessivo sarebbe stato ancora piu’ marcato se non fossero calate le riserve di due comparti: nel dettaglio, risultano in calo di 331 milioni (-1,48%) i depositi delle assicurazioni (da 16,4 miliardi a 16,1 miliardi) e di 43 milioni (-0,63%) quelli dei fondi pensione (da 8,38 miliardi a 8,32 miliardi).

Quanto all’analisi per strumento, la crescita delle riserve si deve per la quasi totalità ai 96,8 miliardi aggiuntivi (+7,00%) lasciati sui conti correnti, passati dai 1.384,4 miliardi di maggio 2021 ai 1.481,2 miliardi di maggio scorso.

L’altro strumento col saldo attivo è quello dei depositi rimborsabili, saliti di 1,8 miliardi (+0,59%) da 317,1 miliardi a 318,9 miliardi. In calo, invece, i depositi vincolati, scesi di 18,8 miliardi (-9,54%) da 197,3 miliardi a 178,5 miliardi: nel dettaglio, quelli con scadenza fino a 2 anni sono diminuiti di 9,9 miliardi (-24,30%) passati da 40,9 miliardi a 30,9 miliardi, mentre quelli con scadenza oltre due anni sono calati di 8,8 miliardi (-5,68%) da 156,4 miliardi a 147,5 miliardi.

In fortissimo incremento, invece, l’esposizione verso i pronti contro termine, salita complessivamente di 25,2 miliardi (+25,98%) da 97,1 miliardi a 122,3 miliardi. “I comportamenti delle famiglie e delle imprese, fotografabili dall’analisi per strumento, mettono in evidenza un atteggiamento orientato soprattutto alla massima prudenza. Se i cittadini proseguono nel frenare la spesa, le aziende continuano a congelare qualsiasi investimento di breve e medio periodo. Non solo: le scelte fatte dalle aziende e dalle famiglie portano alla luce, inoltre, la volonta’ di accumulare denaro con forme di deposito particolarmente liquido e, contestualmente, evidenziano la sensibile riduzione dei servizi bancari con vincoli di durata (per esempio, i depositi fino a 2 anni o oltre)”, osservano gli analisti del Centro studi di Unimpresa.


Sui conti correnti di famiglie e imprese 100 miliardi in più in solo un anno

I videogiochi in Italia valgono 2,2 miliardi di euro

AGI – Il settore dei videogiochi in Italia vale 2 miliardi e 243 milioni di euro, in crescita del 2,9% rispetto al 2020. L’avanzamento non era scontato, visto il confronto con un’ annata – causa pandemia – da record. Sono i dati dell’IIDEA, l’Associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia.

Software e hardware

Il segmento software si riconferma il più forte del mercato, con un valore di 1,8 miliardi di euro, ossia l’80% del totale. Rispetto al 2020 è rimasto sostanzialmente piatto, a causa – ha spiegato Juan Insausti Alonso De Celada, account manager Iberia & Italy di Sparkers – di un leggero calo nelle vendite. La flessione non è dovuta tanto alla disaffezione dei giocatori quanto alla mancanza di nuove uscite. “Da un lato gli editori sono in attesa di un maggior numero di console distribuite sul mercato, dall’altro si sono accumulati ritardi dovuti alla pandemia”.

A sorreggere il segmento sono stati i giochi per smartphone e tablet. Con una crescita dell’8,7%, le app valgono 762 milioni di euro, a un soffio dal valore combinato dei software per pc e console (771 milioni). Restano invece ancora una nicchia le piattaforme di streaming.

L’hardware, con 442 milioni di euro, costituisce il 20% del mercato. ma nel 2021 ha registrato una crescita a doppia cifra (+12,1%). Merito soprattutto dell’ultima generazione di console. Positivo anche l’andamento degli accessori (+3,3%). Lo scorso anno, ad esempio, i videogiocatori italiani hanno speso quasi 58 milioni in gamepad, poco meno di 20 per gadget audio, circa 12 per volanti e altrettanti per sedute e postazioni.

Meno giocatori, più tempo di gioco

Il numero dei videogiocatori è leggermente diminuito. Probabile che alcuni si siano avvicinati durante il lockdown a un mondo che hanno abbandonato poco dopo. I videogiocatori restano comunque 15,5 milioni, più di una persona su tre fra i 6 e i 64 anni.

Se la platea si è ristretta, è aumentato il suo coinvolgimento: ogni utente ha giocato, in media, per 8,7 ore a settimana, mezz’ora in più rispetto al 2020. Chi ha una console ci ha giocato in media per 8 ore (con un picco di 9 sulla Nintendo Switch). Più contenuto il tempo dedicato alle app (oltre 5 ore), che comunque supera quello speso davanti ai pc (quasi 4 ore e mezza).

I dispositivi mobili sono però i più utilizzati, con 9 milioni di videogiocatori italiani. Seguono pc e console domestiche, con 6,9 milioni di utenti. Resiste il segmento delle console portatili, utilizzate da 1,4 milioni di persone.

Donne e trentenni: dove crescere

Il 56% dei giocatori è composto da uomini e il 44% da donne. La differenza di genere resta pronunciata per quanto riguarda l’uso di console e pc (i maschi sfiorano il 60%). C’è invece molto più equilibrio nei giochi per smartphone e tablet, dove il 47% degli utenti è donna.

Il “fattore D” potrebbe non solo aumentare la platea ma anche cambiare la geografia dei titoli di maggior successo. Nelle console, infatti, i videogiochi più venduti sono tipicamente maschili: azione e sport, con Fifa 2022, Grand Theft Auto V e Fifa 21 in cima alle vendite.

Sulle app, per ragioni di utilizzo ma anche di pubblico, il quadro cambia. Il riequilibrio di genere è quindi uno degli spazi di crescita. L’altro riguarda l’età. C’è infatti una forte polarizzazione in due fasce: 15-24 e 45-64 anni si spartiscono – praticamente alla pari – quasi la metà dei videogiocatori italiani.

È l’ennesima conferma (se mai ce ne fosse bisogno) che i videogame non sono un passatempo per ragazzini ma, come afferma Marco Saletta, Presidente di IIDEA, “uno dei più interessanti e innovativi media di intrattenimento”. LA polarizzazione conferma anche, come sottolineato da Eduardo Mena, research director di Ipsos MORI, che c’è grande margine, soprattutto tra i 25 e i 44 anni.  


I videogiochi in Italia valgono 2,2 miliardi di euro

Il mercato delle criptovalute ha superato i 2 mila miliardi di dollari

AGI – Il valore totale del mercato di tutte le criptoattività ha superato i 2.000 miliardi di dollari a settembre, dieci volte di più rispetto all’inizio del 2020. I soli stablecoin hanno toccato quota 120 miliardi. quadruplicando dall’inizio dell’anno.

Il calcolo è del Fondo monetario internazionale secondo cui, insieme a “un nuovo mondo di opportunità”, crescono anche “sfide e rischi”. Finora, sottolinea il Global financial stability report, gli incidenti registrati “non hanno avuto un impatto significativo“, ma “man mano che il settore diventerà sempre più mainstream, la loro importanza in termini di implicazioni potenziali per tutta l’economia è destinata ad aumentare”.

 In particolare, l’Fmi mette in guardia sui rischi che corrono i consumatori. Di oltre 16.000 token quotati in vari scambi, soltanto 9.000 esistono ancora oggi, mentre il resto si è volatilizzato in varie forme. Ad esempio perché molti di loro non hanno più volume sufficiente o perché gli sviluppatori si sono ritirati dal progetto. O anche perché erano stati creati per mera speculazione o direttamente con intenzioni fraudolente.

Inoltre, osserva il rapporto, l’anonimato delle criptoattività crea lacune di dati per i regolatori e può aprire le porte al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo. Per quanto le autorità siano in grado di tracciare le transazioni illecite, possono avere difficoltà a risalire alle parti coinvolte. Senza dimenticare che la differenza delle cornici regolatorie tra i vari Paesi complica il coordinamento, con molte transazioni che avvengono tra entità che operano principalmente in centri finanziari offshore. “Ciò”, avverte il Fondo, “rende la supervisione e il controllo non solo complicato, ma quasi impossibile senza collaborazione internazionale”.

A preoccupare gli economisti di Washington è anche il rapido diffondersi delle criptoattività nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. “Guardando al futuro”, avverte il Gfsr, “un’adozione così rapida e diffusa può porre significative sfide rafforzando la dollarizzazione dell’economia – o in questo caso la criptizzazione – con i cittadini che cominciano a usare criptovalute al posto della moneta locale. E ciò può ridurre la capacità delle banche centrali di condurre con efficacia la propria politica monetaria”. Le criptoattività potrebbero inoltre favorire l’evasione fiscale e i deflussi di capitale. 

Di qui l’esortazione del Fondo ad agire in modo “deciso, rapido e ben coordinato a livello globale per consentire di mantenere i benefici ma, allo stesso tempo di ridurre le vulnerabilità”. Cinque sono i suggerimenti che arrivano da Washington. E il primo è l‘invito a regolatori e supervisori a monitorare il rapido sviluppo di questo ecosistema e i rischi che può porre, affrontando il nodo della carenza di dati.

I regolatori nazionali, inoltre, dovrebbero dare la priorità all’applicazione degli standard globali esistenti. E quanto al ruolo degli stablecoin, la regolamentazione “dovrebbe essere proporzionata ai rischi che pongono e alle funzioni che svolgono, allineandola a quella di altre entità che forniscono strumenti simili (depositi bancari o fondi monetari di mercato)”.

 Contro la ‘criptizzazione’ dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, l’Fmi sollecita a rafforzare le politiche macroeconomiche e a considerare i benefici che deriverebbero dall’emissione di una moneta digitale garantita dalla banca centrale. Infine, a livello globale, conclude l’Fmi, le autorità dovrebbero “rendere il sistema di pagamenti transfrontaliero, più veloce, meno costoso, più trasparente e più inclusivo”. 


Il mercato delle criptovalute ha superato i 2 mila miliardi di dollari