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Le grandi città sono quelle che soffrono di più per l’assenza di turisti per Covid

AGI – Nel 2021 le grandi città e i comuni a vocazione montana sono quelli che registrano le maggior perdite a livello di presenze turistiche. Lo rileva l’Istat in un report sul movimento turistico in Italia nei primo nove mesi dello scorso anno. La categoria “grandi città” (composta dai 12 comuni italiani con più di 250mila abitanti), che nell’anno precedente la pandemia aveva registrato circa un quinto delle presenze dell’intero territorio nazionale, subisce la maggiore riduzione della domanda rispetto allo stesso periodo del 2019 (-71% contro -38,4% della media nazionale) ma recupera leggermente nel confronto con il 2020 (+3,0% le presenze).

Le difficoltà delle grandi città si confermano anche in estate, quando registrano una flessione delle presenze dei clienti residenti pari a circa -18% rispetto allo stesso trimestre del 2019.

Tra i territori più colpiti vi sono poi i comuni con un turismo a vocazione prevalentemente montana (-42,1%), a causa, come già evidenziato, della mancata stagione invernale. Questi stessi comuni avevano mostrato nel 2020 una maggiore capacità di tenuta. 

Rispetto allo stesso periodo del 2019, cali meno intensi sono stati registrati dai comuni a vocazione lacuale (-21,8%) e dai comuni a vocazione marittima (-25,0%) che recuperano ampiamente nel confronto con i primi nove mesi del 2020 (rispettivamente +80,8% e +36,3%). I comuni a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica registrano invece una flessione pari al 35% rispetto allo stesso periodo del 2019 e un recupero del 33,2% sul 2020.

Focalizzando l’attenzione sui clienti residenti nel periodo estivo (la componente più rilevante nell’estate 2021), emerge la loro preferenza per i comuni a vocazione culturale, storica, artistica e paesaggistica (+26,5% ad agosto 2021 su agosto 2019), verso i comuni montani, che nel trimestre estivo registrano un recupero rispetto all’inesistente stagione invernale e vedono un aumento sia ad agosto (+6,5%) sia a settembre (+23,7%) e verso le località del turismo lacuale (+17,5% ad agosto e +37,8% a settembre rispetto agli stessi mesi del 2019).

Come nel 2020, anche nell’estate del 2021 la scelta degli italiani si è orientata verso destinazioni presumibilmente meno affollate, a discapito delle destinazioni estive più tradizionali come le località balneari. I comuni a vocazione marittima chiudono infatti il trimestre estivo con un -5,6% rispetto allo stesso trimestre del 2019.


Le grandi città sono quelle che soffrono di più per l’assenza di turisti per Covid

In otto anni sono spariti 77 mila negozi nelle nostre città

AGI – Tra il 2012 e il 2020 è proseguito il processo di desertificazione commerciale e, infatti, sono sparite, complessivamente, dalle città italiane oltre 77mila attivita’ di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (-14,8%).

E’ quanto rileva l’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio ‘Demografia d’impresa nelle citta’ italiane‘, secondo cui per il Covid nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrera’ per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). 

Inoltre aumentano le imprese straniere e diminuiscono quelle a titolarità italiana e a livello territoriale, il Sud, rispetto al Centro-Nord, perde più ambulanti, ma registra una maggiore crescita per alberghi, bar e ristoranti.    

Con l’arrivo del Covid, poi, anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi, registra cambiamenti: nel 2020 è in calo del 2,6% rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7% e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9%). Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più.    

Per Confcommercio “il rischio di non ‘riavere’ i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”.      

Sangalli, contro desertificazione sostenere imprese

“Per fermare la desertificazione commerciale delle nostre città, bisogna agire su due fronti – sottolinea il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – da un lato, sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre finalmente una giusta web tax che risponda al principio ‘stesso mercato, stesse regole’. Dall’altro, mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città”.

Tutti i numeri di Confcommercio

Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi – si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare.

Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%).

Significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali. 

Il resto dei settori merceologici è invece in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.

La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, il futuro è molto incerto.

Ma occorre reagire per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici indicate sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese.


In otto anni sono spariti 77 mila negozi nelle nostre città

Taranto, 233 milioni per la ripresa produttiva della città

AGI – Con i decreti legge “Rilancio” ( già convertito) e “Agosto” (appena varato “salvo intese”), nonché con la seduta del Cipe del 28 luglio e il Consiglio dei ministri di ieri sera, taranto ha portato a casa, nel giro di un mese, un pacchetto di provvedimenti importanti per il rilancio della città e per cominciare a costruire una prospettiva di sviluppo diversa, meno condizionata dal siderurgico ArcelorMittal, ex Ilva, che resta comunque il problema numero 1. Sbloccati fondi per 233 milioni tra mobilità sostenibile, trasporti, mitigazione del rischio idraulico e base navale della Marina Militare, l’avvio del Tecnopolo per la ricerca, più 315 assunzioni per l’Arsenale Militare di Taranto. Intanto, nel decreto legge “Agosto” si mette un tassello anche per favorire la soluzione della vicenda ArcelorMittal prevedendo il coinvestimento dello Stato, attraverso Invitalia, accanto all’investitore privato. Vengono infatti liberate pro Invitalia risorse pari a 470 milioni di euro per entrare nella società siderurgica che non sarà più solo in capo al privato. Resta da vedere – ma questo lo si stabilirà prossimamente, dopo la ‘due diligence’ in corso sullo stato dei conti della società – se ArcelorMittal sarà in maggioranza o se invece questa apparterrà a Invitalia. I 470 milioni che Invitalia impiegherà nell’ex Ilva fanno parte del plafond di 900 milioni che tempo fa fu dato per intervenire nella crisi della Banca Popolare di Bari attraverso il Mediocredito centrale. Ma ne sono stati usati per l’operazione PopBari solo 430, quindi ne residuano 470 che ora Invitalia metterà nel capitale di ArcelorMittal dando così via al riassetto del gruppo, da perfezionarsi, in base all’accordo di marzo, entro novembre prossimo.  

La crisi del centro siderurgico resta grave 

    La crisi dell’azienda siderurgica resta intanto acuta e a soffrire molto è l’indotto-appalto che non viene pagato rispetto alle fatture scadute, tant’e che da ieri sera alle 23 una delle aziende di pulizia industriale, Alliance Green Service, ha sospeso le attività, tranne le urgenti, e lunedì mattina ci sarà, con la modalità call conference, un vertice tra ArcelorMittal, Confindustria Taranto, Camera di Commercio Taranto e i sottosegretari Mario Turco (presidenza del Consiglio) e Alessandra Todde (Mise). Le 315 assunzioni per l’Arsenale della Marina – che avverranno in un triennio – permettono invece di rafforzare la più antica industria della città, che, tra quota 100 e pensionamenti ordinari, stava ormai perdendo quote importanti di personale, soprattutto tecnico,  mettendo così a rischio la sua capacità di intervenire, per manutenzioni  e lavori, sulle navi della Marina. 

    Nei mesi scorsi, proprio in Arsenale, con l’apporto di personale diretto e delle aziende private, tra cui Fincantieri, è stato portato a termine l’ammodernamento della portaerei Cavour, nave ammiraglia, destinata ad ospitare sul ponte di volo gli F35. Un intervento da circa 70 milioni di euro. E Taranto, per la sua collocazione nel Mediterraneo, è la più importante base navale della Marina. Ruolo ora rafforzato con l’ok del Cipe, lo scorso 28 luglio, ai primi 79 milioni, su 200, per il potenziamento infrastrutturale della base di Mar Grande anche nella prospettiva dell’arrivo delle nuove unità.
   

Si consolida il polo della Marina Militare

   Tra Arsenale e base, si può dire che il polo di Taranto della Marina si consolida molto. Guarda invece alla ricerca scientifica, alla prospettiva di un’industria green e al coinvolgimento di ricercatori e Università, il Tecnopolo del Mediterraneo, per il quale ieri sera il Governo ha approvato lo statuto. Il Tecnopolo dovrà ora avere una sede e strutturarsi come attività, personale e iniziative da svolgere. Intanto, con la legge di bilancio 2020-2022 ha avuto una dote di 9 milioni. Nell’ottica della sostenibilità, infine, ma relativamente ai trasporti, i 150 milioni che Taranto ha avuto, divisi in più anni, col recente decreto “Rilancio”. Con l’intervento del ministero Infrastrutture e trasporti, 130 serviranno per la costruzione della prima delle due linee di Bus rapid transit (linee elettriche veloci che uniranno la città da un capo all’altro) e 20 infine per il potenziamento del parco bus tra elettrici e ibridi.  

Agi

Le città d’arte non ripartono, 34 mln di presenze dall’estero in meno nel 2020

AGI – Le grandi città d’arte non ripartono. L’assenza dei turisti stranieri sta mettendo in ginocchio la loro economia, in particolare di quelle maggiori. Roma, Venezia, Firenze, Torino e Milano, che insieme valgono oltre un terzo del turismo italiano, si apprestano a perdere nel 2020 quasi 34 milioni di presenze dall’estero, con conseguenze importanti per tutta l’economia cittadina, soprattutto per le imprese dei centri storici. Lo stop dei visitatori causerà infatti una perdita di 7 miliardi di euro circa di spese turistiche complessive, di cui 4,9 miliardi a carico del settore alloggio, della ristorazione e delle attività commerciali e dei servizi.  A lanciare l’allarme è Confesercenti, su elaborazioni condotte sulla base delle previsioni di Tourism economics. Stime conservative, sottolinea una nota, che potrebbero rivelarsi ottimistiche in assenza di un avvio del recupero del flusso di viaggiatori entro la fine dell’anno.

– Il calo di visitatori, maglia nera a Venezia
La maglia nera va a Venezia: per la millenaria Serenissima, simbolo del turismo Made in Italy e solitamente tra le mete più ambite a livello globale, si prevede una diminuzione di 13,2 milioni di presenze, per un totale di 3 miliardi di euro di spesa turistica perduta. Segue Roma: per la Capitale le previsioni sono di 9,9 milioni circa di presenze in meno e 2,3 miliardi di consumi dei viaggiatori sfumati. A Firenze le perdite si attesteranno su -5 milioni di presenze e -1,2 miliardi circa di consumi. A Milano la contrazione di presenze dovrebbe invece arrivare sfiorare i 4 milioni, mentre per i consumi la riduzione sarà superiore ai 900 milioni di euro. A Torino, si stima un calo di oltre 800mila presenze e di 186 milioni di euro di spese turistiche.  

– L’aggravante smartworking
Alla flessione dei turisti stranieri – non compensati dagli italiani, che hanno preferito mete balneari e borghi – va sommato il contributo negativo derivante dal permanere di una quota elevata di lavoratori ancora in smartworking. Una quota destinata a non diminuire troppo fino alla fine dell’anno, visto il prolungarsi dello stato di emergenza e le incertezze complessive. In queste 5 città, che registrano oltre 6,5 milioni di occupati totali, Confesercenti stima un 13% di lavoratori agili, la cui assenza dai luoghi di lavoro sta causando la perdita di circa 250 milioni di euro al mese di spese per alloggio e ristorazione. Fino a fine anno, l’effetto smartworking farebbe perdere a queste imprese 1,76 miliardi di euro.

– De Luise, istituire zone zone franche urbane speciali
“Il turismo sta pagando un prezzo molto alto per l’emergenza scatenata dal Covid. Un duro colpo che si avverte in modo particolare nelle grandi città d’arte. Qui il combinato disposto di frenata dei viaggiatori e allungamento del lavoro agile rischia di far saltare i sistemi imprenditoriali locali. Soprattutto quelli legati alla spesa turistica: dai ristoranti ai bar, fino ai negozi dei centri storici”, spiega Patrizia De Luise, presidente nazionale Confesercenti.  “E’ una situazione di gravità eccezionale, che richiede misure straordinarie”, aggiunge De Luise, che chiede di “istituire delle zone franche urbane speciali nei centri storici dei Comuni di interesse culturale ad alto flusso turistico, che sono i più colpiti dall’onda lunga della crisi scatenata dall’emergenza Covid. Le zone franche dovrebbero consentire alle imprese che vi operano di godere di un sostegno speciale, sotto forma di un contributo da usare in compensazione dei versamenti tributari e contributivi. In questo modo”, conclude, “daremmo un po’ di ossigeno ad attività ricettive, servizi turistici, imprese del commercio e di ristorazione e bar, adesso in asfissia. Senza un intervento, migliaia di Pmi rischiano di saltare come birilli”.

Agi

Milano città aperta

Il governo ha reso tutta la Lombardia e altre 14 province ‘zona rossa’. Nel decreto illustrato a tarda notte dal premier, Giuseppe Conte, vengono vietati l’ingresso e l’uscita, e sono previste ulteriori restrizioni, dalla Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Alessandria, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli. 

“Cominciamo dalla sostanza. Dobbiamo cambiare le nostre abitudini di vita, dobbiamo evitare il più possibile contatti non strettamente necessari” ha scritto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, in un post su Facebook in cui invita a seguire le norme restrittive previste nel decreto. “E ve lo dice uno che in queste settimane ha sempre sostenuto che le regole vanno applicate e non discusse, ma che ha anche cercato di mantenere alta la speranza e la volontà di non fermarsi di fronte alle difficoltà. Per cui il mio invito, semplicemente, è di stare in casa il più possibile”, aggiunge il primo cittadino.

Critici i governatori delle regioni con Attilio Fontana, presidente della Lombardia, che lo ha definito un provvedimento ‘pasticciato’.

I trasporti non si fermeranno “ma ci saranno regole da rispettare” ha detto Conte, “Dovremo tutti essere più responsabili”. Poi un appello ai ragazzi che restano a casa per la chiusura delle scuole: “devono capire che questa non è l’occasione per ritrovarsi a fare festicciole: bisogna evitare gli assembramenti.

Tutte le misure annunciate da Conte

Si adotta tra l’altro la misura di “evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da indifferibili esigenze lavorative o situazioni di emergenza”. Le misure alle quali si sta lavorando scatteranno dall’8 marzo e saranno in vigore sino al 3 aprile. ​

 

 

Zingaretti è tra i contagiati

“I medici mi hanno detto che sono positivo al Covid19. Sto bene ma dovrò rimanere a casa per i prossimi giorni. Da qui continuerò a seguire il lavoro che c’è da fare. Coraggio a tutti e a presto!” ha scritto su Facebook il segretario del Pd e presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti.

 

Agi

A Taranto il governo tenta il rilancio del Contratto di Sviluppo. La città prepara la protesta  

Cinque ministri (Di Maio, Lezzi, Grillo, Costa e Bonisoli) attesi oggi a Taranto mercoledì 24 per riavviare l’operazione rilancio della città, ancora stretta dalla questione Ilva. Ma dal 24 aprile al 4 maggio la protesta contro quella che è stata l’Ilva ed ora si chiama ArcelorMittal, avrà un’impennata attraverso tre distinti momenti.

Tre momenti caldi

Il primo: l’arrivo del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, oggi sarà in Prefettura per presiedere il riavvio del tavolo del Contratto istituzionale di sviluppo ed incontrare le associazioni ambientaliste.

Il secondo: il concerto del 1° Maggio, promosso dal movimento “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”, che da anni rivendica la chiusura dell’acciaieria e delle fonti inquinanti.

Infine il terzo: la manifestazione del 4 maggio all’esterno della fabbrica, con arrivo a Taranto di movimenti e associazioni da tutta Italia, dal titolo “Ancora Vivi”.

Anche se la sua posizione non è da mettere in relazione con chi contesta Di Maio e l’M5s, è molto critico verso ArcelorMittal anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci.

“ArcelorMittal Italia – rileva il sindaco – ha fatto fin qui per Taranto troppo poco e lo ha fatto molto male”. Melucci sostiene: dall’azienda “mi aspettavo davvero di più”. E sottolinea che “il credito é esaurito” a cinque mesi dal loro ingresso in fabbrica al posto dei commissari dell’amministrazione straordinaria Ilva.

La presenza di Di Maio era attesa già da fine settembre scorso, quando al Mise venne firmato l’accordo per Il passaggio dell’Ilva ad ArcelorMittal.  Sebbene il vice premier sia responsabile dello Sviluppo economico e venga a Taranto per rifare il punto sul Contratto di sviluppo (lo strumento messo in pista dal precedente Governo per investire in infrastrutture, bonifiche ambientali, porto, sanità, recupero della città vecchia e riqualificazione urbana), il tema del siderurgico, con tutte le sue implicazioni, è comunque all’ordine del giorno.

Anzitutto perché l’arrivo di Di Maio a Taranto avviene dopo il Consiglio dei ministri di ieri,  quello che è stato convocato con all’ordine del giorno il decreto “Crescita”.  

Un provvedimento considerato delicato a Taranto per via della progressiva abolizione dell’immunità penale che una legge del 2015 ha concesso ai commissari Ilva, loro delegati e agli acquirenti della fabbrica (in quest’ultimo caso ArcelorMittal) solo relativamente alle condotte per l’attuazione del piano di risanamento ambientale.

Da tempo l’area ambientalista, ma anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, rivendicano l’abolizione dell’immunità penale, e il fatto che sia stata mantenuta col passaggio dell’Ilva ad Arcelor Mittal ha acceso le proteste.

Delusione

Proteste che si sono concentrate proprio sul Movimento 5 Stelle che, secondo l’accusa, nella campagna elettorale di un anno fa aveva promesso non la soppressione dell’immunità, ma addirittura la chiusura dell’Ilva per far spazio alla riconversione economica.

Il 24 aprile, a partire dalle 10, i movimenti Giustizia per Taranto, Taranto Respira, Tamburi Combattenti, Flm Cub e Tutta mia la Città, manifesteranno davanti alla Prefettura, “contro le politiche di Di Maio e di tutto il governo giallo-verde”.

“Dopo quasi un anno di ipocrisia, tradimenti, bugie e latitanza, il 24 aprile – sostengono i movimenti – il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, sarà finalmente a Taranto. Ci preme sottolineare che, come associazioni, movimenti e comitati ascoltati a Roma durante le audizioni al Mise lo scorso giugno per la questione Ilva, abbiamo fornito a Di Maio, ed al Governo tutto, dati, valutazioni e possibili soluzioni per una riconversione ecologica della nostra economia che passi necessariamente dalla chiusura delle fonti inquinanti, con la riqualificazione ed il reimpiego delle maestranze in opere di risanamento del territorio”.

E “oggi – si prosegue -, in piena campagna elettorale per le europee, Di Maio pensa di venire a Taranto a raccontare nuove bugie”.

Questi movimenti, un anno fa, hanno votato Cinque Stelle proprio per gli impegni sull’ex Ilva e poi hanno accusato l’M5s di “tradimento”.

Non meno forte la critica all’M5s rinnovata dai “Liberi e Pensanti” in occasione del prossimo concerto del 1° Maggio (sul palco, tra gli altri, Max Gazzè, Elio e Malika Ayane).

Anche in questo caso si tratta di un movimento che un anno fa era molto vicino ai pentastellati. Due loro esponenti sono stati eletti in Consiglio comunale a Taranto ma per la vicenda ArcelorMittal hanno poi abbandonato l’M5s dichiarandosi indipendenti, mentre l’ex candidato sindaco Francesco Nevoli si è dimesso da consigliere comunale.

“Un anno dopo la proposta avanzata dal comitato – sostengono i “Liberi e Pensanti” alla vigilia dell’evento del 1° Maggio – di creare un Accordo di Programma, che così come accaduto a Genova avrebbe potuto cambiare le sorti di Taranto e di tutta la Puglia, non è possibile non registrare le promesse disattese di chi sposò quel progetto ma che oggi, pur essendo al governo del Paese, persegue progetti industriali opposti per la città e il suo siderurgico. Quell’insieme di azioni economiche e legislative nate dal lavoro coordinato di associazioni e cittadini è stato dimenticato il giorno dopo le elezioni politiche. Una consuetudine a cui i tarantini sono stati abituati”.

Infine, il 4 maggio sono attesi a Taranto tutti i movimenti e le realtà che dalla Tav al Tap al Muos in Sicilia hanno fatto della protesta il loro punto forte. “Noi vogliamo vivere” si legge sul volantino che alle 14 del 4 maggio partirà da piazza Gesù Divin Lavoratore, nel rione Tamburi – il quartiere vicino all’acciaieria -, per portarsi davanti ad ArcelorMittal.

Un contratto da rilanciare

Per “l’Ilva di Taranto, ora ArcelorMittal – si legge nell’appello nazionale -, vecchie e nuove forze politiche si sono costruite una falsa identità, tradendo le promesse fatte nelle solite campagne elettorali e riciclandosi a nuovi tutori ambientali”.

Ora l’obiettivo del presidio del 4 maggio è rendere “la questione Ilva molto di più di una battaglia ambientalista”. I promotori del 4 maggio, infine, nelle notti del Giovedi e Venerdi Santo, ma anche la mattina del Sabato Santo, hanno issato striscioni di protesta (restando però in silenzio) in occasione del passaggio delle processioni dell’Addolorata e dei Misteri. “Traditi con la nostra croce a carico – si leggeva su uno di essi -: anche Taranto vuole risorgere”.

I cinque ministri saranno oggi a Taranto, in Prefettura, a partire dalle 10.30. SI tratterà di procedere al riavvio del tavolo del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) previsto da una legge del 2015 con l’obiettivo di aiutare l’area a superare la crisi Ilva.

Oltre al vice premier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, sono annunciate a Taranto anche le presenze dei ministri Barbara Lezzi (Sud), Giulia Grillo (Salute), Sergio Costa (Ambiente) e Alberto Bonisoli (Beni culturali).

Il Contratto di sviluppo, infatti, si muove su un’ampia gamma di interventi che vanno dal potenziamento delle apparecchiature diagnostiche e sanitarie alla riqualificazione urbana, dalle bonifiche ambientali al recupero della città vecchia. Il che implica le competenze di più ministeri. Si parlerà anche di Ilva, ora ArcelorMittal, con Di Maio che incontrerà le associazioni ambientaliste. Alle 17.30 in Prefettura conferenza stampa conclusiva.

Negli incontri preliminari a Roma, avvenuti nei giorni scorsi a Roma, il Comune di Taranto ha già portato le sue proposte per il Contratto istituzionale.

Nella riformulazione del Contratto, il Comune chiede l’inserimento di Taranto nella “Via della Seta”, l’autonomia piena del polo universitario decentrato dall’Università di Bari, l’utilizzo turistico e culturale dell’isola di San Pa­olo in Mar Grande, che appartiene alla Marina Militare, la trasformazione in museo della Garibaldi quando sarà dismessa dal ruolo operativo nella squadra navale della Marina. Queste proposte sono contenute negli indirizzi che il sindaco Melucci ha presentato al ministero dello Sviluppo economico nella riunione a Roma dell’8 aprile.

Si tratta, spiega il sindaco nel documento, di un aggiornamento della visione disegnata dall’amministrazione comunale rispetto a quanto già previsto dal Cis.

Un aggiornamento per il triennio 2019-22 rispetto a quanto stabilito nel 2015. Nel documento presentato al ministero, il sindaco fa riferimento anche “alle tecnologie applicate alla conservazione ed al ripristino am­bientale” nonché “alla filiera marittima, turistica e dell’aerospazio”.

Il sindaco chiede anche di “dare impulso alle bonifiche straordinarie e, soprattutto, a dare soluzione, una volta per tutte, alle pendenze giudiziarie, alle compensazioni ai residenti dei quartieri più esposti, alla valutazione preventiva di impatto sulla salute dei cittadini, al riposizionamento dell’immagine stessa di Taranto secondo i principi del moderno marketing territo­riale”.

Soggetto attuatore del Cis Taranto è Invitalia, che fa capo al Mef. Invitalia si è occupata in particolare del concorso internazionale di idee per il recupero e la valorizzazione della citta vecchia di Taranto, dell’analisi di fattibilità per la valorizzazione turistica e culturale dell’Arsenale militare, realizzato in collaborazione con i ministeri della Difesa e dei Beni culturali, delle azioni di accelerazione per alcuni interventi, tra cui la realizzazione del nuovo ospedale “San Cataldo” di Taranto, per la quale Invitalia è stata attivata dalla Regione Puglia-Asl Taranto come Centrale di Committenza.

Il Contratto di sviluppo per l’area di Taranto (compresi anche i Comuni di Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola), inizialmente stipulato per 33 interventi, ne comprende oggi 39 per un valore di 1.007 milioni di euro (+16,5% rispetto alla dotazione finanziaria iniziale). Invitalia ha fornito anche un quadro riassuntivo ad oggi del Cis.

Che comprende: 10 interventi conclusi per un valore di 92,3 milioni di euro; 9 interventi in realizzazione per un valore di 452 milioni di euro; 10 interventi in progettazione per un valore di 357 milioni di euro e 10 interventi in riprogrammazione per un valore di 105 milioni di euro.

Agi

Già chiusi 43 negozi in diverse città. Cosa sta succedendo al gruppo Trony

Non ci sono ancora comunicazioni aziendali ufficiali ai media ma solo poche righe di comunicato sindacale. Molti negozi Trony (elettronica di largo consumo) stanno chiudendo in diverse città d’Italia. Cinquecento sarebbe complessivamente il numero di lavoratori senza più un posto. La Dps, la società che controlla un pacchetto di aziende commerciali a insegna Trony, circa 43 in Italia, ha dichiarato fallimento secondo quanto reso noto appunto dai sindacati. Lo rende noto Il Sole 24 Ore: I negozi che oggi sono rimasti chiusi si trovano in Liguria, Piemonte, Lombardia (dove sono a rischio 140 dipendenti con 9 punti vendita fra cui il negozio di San Babila) Veneto, Friuli e Puglia. In quest'ultima regione oggi è scattata la mobilitazione dei lavoratori con un sit-in davanti ad uno dei tre negozi di Bari. I dipendenti che, a Bari, sono coinvolti nelle conseguenze del fallimento sono una trentina ma in tutta la Puglia, dove ci sono 13 negozi Trony, i lavoratori a rischio sono circa 120, una fetta significativa particolarmente provata visto che dopo aver avuto un pesante taglio della busta paga a dicembre, a febbraio non hanno ricevuto gli stipendi. In Puglia l'unico negozio Trony rimasto aperto è quello di Taranto perché è rimasto in mano alla società Vertex.

In alcune città sono già stati avviati colloqui tra i rappresentanti sindacali e la società. Il tentativo è quello di scongiurare le chiusure e trovare soluzioni alternative ai licenziamenti dei lavoratori.

La situazione della società Dps – aggiunge il quotidiano di Confindustria – era in bilico da diverso tempo. L'azienda aveva chiesto un concordato preventivo che però non è stato giudicato percorribile dal giudice fallimentare che lo ha rifiutato decretando il fallimento. “Ora resta da gestire questa fase – dice Alessio di Labio responsabile nazionale diFilcams Cgil -. L'obiettivo è quello di individuare uno o più soggetti interessati a rilevare i 43 punti vendita. E poi chiedere un incontro sia al Mise e sia al ministero del Lavoro perché ci sarà da gestire la cassa integrazione dei lavoratori”.

L’azienda è fallita ufficialmente il 15 marzo, ma la comunicazione ai dipendenti è arrivata il giorno dopo, il 16  marzo. I dipendenti della catena non hanno ricevuto lo stipendio di febbraio.

Dallo scorso dicembre gli addetti alla catena sono pagati soltanto al 20% dello stipendio dovuto, spiega il Corriere della Sera: La società  è in crisi da alcuni anni a causa di scelte manageriali sbagliate e della concorrenza dell’ecommerce. Dal 24 gennaio scorso la catena, controllata da Dps Group e che fa capo all’imprenditore pugliese Antonio Piccino, è stata ammessa alla procedura del concordato in bianco e da allora è alla ricerca di un possibile acquirente. La proceduta concordataria prevede che i lavoratori dal 24 gennaio verranno pagati nella quota che verrà stabilita dal commissario della Dps Alfredo Haupt, nominato dalla giudice delegata del Tribunale di Milano Irene Lupo. Per le spettanze antecedenti a questa data i pagamenti sono bloccati e fermi, appunto, al 20% degli stipendi.

“La vera preoccupazione riguarda le prospettive future. Circa un mese fa si era parlato di un possibile acquirente per 15 dei punti vendita di Trony , il che avrebbe permesso di puntare al risanamento dell’intero gruppo", spiega il segretario nazionale di Fisascat Cisl Mirco Ceotto. "Il fatto che fino a questo momento non sia ancora arriva alcuna proposta concreta è motivo di grande allarme".

Il marchio Trony è nato nel 1999 come catena di negozi di elettronica del gruppo La Rinascente che aprì un primo negozio il 28 settembre di quell'anno presso il centro commerciale Rho Center, nel milanese. Trony, era una società allora controllata al 51% dalla Rinascente, mentre la quota restante era nelle mani di Sogema, un gruppo d'acquisto costituito dagli aderenti al consorzio di distribuzione specializzata Expert che controllava in Lombardia una quota rilevante del mercato degli elettrodomestici.

Oggi Il gruppo Dps, uno dei soci di Gre, che a sua volta possiede Trony, è in difficoltà. Gre sta per Grossisti riuniti elettrodomestici, che dal 1997 possiede appunto il marchio Trony. Sotto questa insegna oggi in Italia sono attivi oltre 200 punti vendita, che danno lavoro a più di tremila dipendenti, informa Wired. “Il gruppo Gre – riporta il mensile – ribadisce la propria volontà di proseguire nello sviluppo sul territorio italiano, annunciando un piano che prevede per il 2018 circa 40 nuove aperture a marchio Trony". Ma certo le chiusure di questi giorni non lasciano sperare in un rilancio a breve, a meno di nuovi soci e nuovi investimenti.

 

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Qual è la città più cara d’Italia?

È Bolzano la città più cara d’Italia, seguita da Firenze e Genova. Questo il podio elaborato dalle nuove stime dell’Unione Nazionale Consumatori sulla base dei dati Istat. Nella città trentina con il picco dell'inflazione, 1,6%, equivalente, per una famiglia da 4 componenti, la spesa supplementare su base annua è di 895 euro, contro una media per l'Italia di 347 euro. Al secondo posto si piazza Firenze, dove il rialzo dei prezzi dell'1,3% determina un aumento del costo della vita, per una famiglia di 4 persone, pari a 652 euro. Al terzo c’è Genova, dove l'inflazione dell'1,4% comporta un aggravio annuo di spesa di 626 euro. La classifica continua con Aosta (580 euro), Milano (568), Trento (561), Bologna (480), Venezia (468), Torino (404) e Cagliari, una città del Sud con (346).

“Negativo che l’Istat non confermi l'indice Nic”

L'Istat non conferma i dati preliminari dell'inflazione di gennaio per quanto riguarda l'indice Nic, che sale dello 0,9%, dal +0,8% della stima precedente. "Negativo che non sia confermato il rallentamento dei prezzi, visto che avrebbe consentito di aumentare il potere d'acquisto alle famiglie”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. "L'inflazione a +0,9%, per una coppia con due figli, la classica famiglia italiana, significa avere una maggior spesa annua complessiva di 352 euro, 204 euro di questi se ne vanno solo per i beni ad alta frequenza di acquisto e 93 per il carrello della spesa, ossia per la sola spesa di tutti i giorni". Secondo i calcoli dell'associazione, per l'inesistente famiglia tipo Istat da 2,4 componenti, l'incremento dei prezzi dello 0,9% si traduce, in termini di aumento del costo della vita, in 273 euro in più nei dodici mesi, 158 per i beni ad alta frequenza e 72 per la sola spesa di tutti i giorni.

Il Trentino la regione più costosa

In testa alla classifica delle regioni più costose, in termini di rincari, c’è ancora una volta, il Trentino Alto Adige, dove l'inflazione dell'1,4% significa, per una famiglia di 4 persone, una batosta pari a 757 euro su base annua. Segue la Toscana, dove l'incremento dei prezzi pari all'1,3% implica un'impennata del costo della vita pari a 593 euro e, terza, la Valle d'Aosta, dove l'inflazione dell'1,2% genera una spesa annua supplementare di 580 euro. Al quarto posto c’è la Liguria (523), la Lombardia (518), Abruzzo (516), Piemonte (445), Emilia-Romagna (435), Umbria (355) e al decimo posto c’è la Sardegna, con 335 euro.

 

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Ecco perché una sede Amazon fa gola a molte città (non solo italiane)

E’ stato inaugurato ufficialmente il 18 settembre il terzo centro di distribuzione italiano di Amazon. Jeff Bezos ha scelto Larizzate in provincia di Vercelli come luogo di smistamento dei migliaia di articoli che finiranno nei prossimi mesi dentro le case degli italiani. Per il momento l’hub è operativo e i circa 200 dipendenti hanno iniziato a stoccare il materiale sugli scaffali, ancora non si conosce però il periodo in cui prenderà il via l’attività di smistamento.

In Italia Amazon già distribuisce da Caste San Giovanni in provincia di Piacenza e da Passo Corese in provincia di Rieti. 

Tutto quello che c’è da sapere sul polo di Vercelli

Il polo logistico da 107.000 metri quadrati – si legge su La Stampa – è sorto in pochi mesi alle porte di Vercelli. Il logo scelto per il capannone è un airone cinerino, uccello tipico delle campagne vercellesi. Migrando dall’Asia e dall’Africa, il volatile dal becco e dalle zampe di forma curiosa ha trovato nelle risaie il suo habitat: “Anche Amazon viene da lontano, dall’America – sottolineano dal colosso mondiale dell’e-commerce – ma proprio come l’airone, vogliamo diventare parte integrante del territorio”. Ed è anche per questo motivo che tutte le sale riunioni del centro di distribuzione sono state intitolate alle diverse tipologie di riso, elemento d’identità della zona. Quindi c’è la sala Carnaroli, la Arborio, la Sant’Andrea e così via.  

Inoltre quello di Vercelli sarà un centro di distribuzione di categoria 'Non Sort' ('Non Sortable'), a differenza ad esempio di quello di Piacenza, che è invece 'Sort'. Questi si occupano della gestione di tutti i prodotti che, per dimensioni e peso, sono al di sotto dei 13 chili di peso e non devono essere alti più di 25 centimetri e lunghi più di 45. In questi magazzini gli articoli vengono stoccati in scaffalature di media grandezza, e non servono mezzi per movimentare la merce, bastano dei semplici carrelli. Tutti gli altri articoli che superano queste dimensioni sono definiti «Non Sortable», e saranno quelli custoditi nel polo di Larizzate. La procedura, in questo caso, è differente: in base al peso dell’articolo, vengono utilizzati carrelli più grandi rispetto a quelli tradizionali, ma anche dei mezzi che permettono di stoccare i prodotti in scaffalature che si sviluppano in altezza.

Le prossime aperture italiane

Il prossimo 3 ottobre – scrive Diariodelweb –  un magazzino di 8mila metri quadrati sorgerà a Crespellano, alle porte di Bologna. Lo stesso vale per Casirate d’Adda (Bergamo), dove dovrebbe sorgere un capannone ultra-tecnologico di 40mila metri quadrati, per il quale sarebbero previste ben 400 assunzioni. Piano piano anche in Italia sta nascendo una serie di magazzini pronti a distribuire merce on-demand in qualsiasi momento, il più in fretta possibile. Le logiche del colosso di Jeff Bezos sono sempre state chiare: rapidità e una customer experience soddisfacente.

Negli Stati Uniti è scattata la gara per aggiudicarsi la sede Amazon

E’ bastato un annuncio per scatenare la fantasia e la frenesia di molte città americane che vogliono aggiudicarsi la seconda sede americana – in ordine di grandezza – di Amazon.

D’altra parte non possono essere biasimate, visto che la seconda casa di Amazon porterebbe 50.000 posti di lavoro e un investimento di 5 miliardi di dollari, oltre che una popolarità senza precedenti, considerando che si tratta dalla sede dell’Internet company più grande al mondo. Ogni città ha cercato di farsi notare in vari modi – scrive Mashable -, ad esempio Tucson in Arizona ha deciso di tagliare un cactus di 21 metri e di inviarlo come dono a Jeff Bezos.

Anche il sindaco di Pittsburgh, Bill Peduto, ha corteggiato su Twitter il gigante dell’e-commerce e quello di Kansas City, Sly James, ha elencato tutti gli aspetti positivi della città scrivendo un editoriale sul Kansas City Star.

Con un post su Facebook si è fatta notare Huntsville, in Alabama. La città ospita già la sede Nasa e altre grandi aziende di ingegneria.L’interesse è arrivato anche da parte di grandi città come Houston, New York e Boston.

 

 

 

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Bike e car sharing, app rivoluzionano la mobilità in città

Roma – La mobilità condivisa è in costante crescita ed evoluzione. In Italia i servizi che hanno avuto maggiore diffusione sono il Bikesharing, il Carsharing ma anche car pooling, scooter sharing, bus sharing e park sharing, oltre alle App che in un'unica piattaforma permettono di prenotare e acquistare tutta la sharing mobility oggi a disposizione nelle città italiane. Questo successo è confermato anche dai numeri che negli ultimi anni sono lievitati per arrivare ad oltre 13.000 biciclette offerte in bike sharing in 200 Comuni e 5.764 auto in car sharing per 700.000 utenti nelle due formule free floating (l'auto che si preleva e lascia ovunque) e station based (si preleva e lascia in appositi spazi).

La prima Conferenza Nazionale della Sharing Mobility, che si è svolta oggi in Campidoglio, organizzata dall'Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, nato da un'iniziativa del Ministero dell'Ambiente e della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e composto da più di 50 membri fra cui tutti gli operatori di sharing, in collaborazione con il Comune di Roma, ha fatto il punto sullo stato dell'arte della sharing mobility italiana e ha presentato il Primo Rapporto Nazionale sulla sharing mobility.

"Le città, dove gravitano oltre i due terzi della popolazione italiana" – ha osservato il direttore della fondazione Sviluppo Sostenibile, Raimondo Orsini – stanno diventando veri e propri laboratori per la rivoluzione della mobilità. I cittadini tendono sempre più a privilegiare l''utilizzo di servizi di mobilità piuttosto che la proprietà del mezzo di trasporto e ciò aiuta anche il trasporto pubblico".

Il Primo Rapporto sulla Sharing Mobility offre una panoramica completa sulla mobilità condivisa in Italia e mette sotto la lente di ingrandimento le best practice e le storie di successo.  Ecco una sintesi.

Bike sharing

L'Italia con più di 200 comuni ed altri enti territoriali in cui è attivo il bikesharing e 13.770 bici condivise, è il paese europeo in cui la diffusione, in termini di numero di servizi attivi, è più alta. In Francia, dove il bikesharing ha avuto un grande successo di pubblico, i servizi attivi non superano le 40 città. La parte del leone per il bike sharing la fa il Nord con il 64% dei servizi e l'81% delle bici condivise, contro il 14% del Centro e il 22% del Sud.

Le principali aziende che forniscono sistemi di Bikesharing in Italia sono: Bicincittà, operativo in 115 comuni per un totale di 6.241 biciclette e 1.418 stazioni, Clear Channel presente su Milano e Verona con 4.900 biciclette circa e 289 stazioni, Centro in bici, invece, attivo in 31 centri urbani con 2.498 biciclette e 230 stazioni, By Bike con 272 biciclette e 32 stazioni, Ecospazio operativo in 24 comuni con 217 biciclette e 30 stazioni. A queste aziende si è recentemente aggiunta Tmr srl, che ha da poco istallato il sistema di Palermo e di altri quattro comuni con 191 biciclette ed E-Move presente in tre comuni con 22 bici e 3 stazioni.

Car sharing

Circa 700.000 iscritti, 5.764 veicoli e 29 città interessate. Questi i numeri attuali del carsharing che ha preso il via in Italia a nel 2001 grazie al servizio station based Ics, Iniziativa Car Sharing. Oggi le città in cui è attivo il Carsharing di Ics sono otto, gli iscritti hanno raggiunto i 20.000 in tutta Italia e le auto a disposizione sono quasi seicento. Con l'ingresso del servizio di car sharing free floating con Car2go ed Enjoy nel 2013 e a seguire con altri operatori privati (Share'Ngo), il Carsharing italiano ha innestato un'altra marcia. Il numero di veicoli condivisi globalmente in Italia tra il 2013 e il 2015 è quadruplicato, mentre il numero degli iscritti e dei noleggi è cresciuto rispettivamente di dodici e trenta volte. Tutte le 12 città italiane con popolazione maggiore di 250.000 abitanti dispongono di almeno un servizio di Carsharing. I capoluoghi provincia in cui è presente almeno un servizio di Carsharing sono però solo 29 sui 118 totali e non sono ancora presenti servizi di Carsharing nelle città metropolitane di Reggio Calabria e Messina. Napoli è servita da un solo operatore e in termini sperimentali. Ventuno delle città in cui sono presenti servizi di Carsharing si trovano nell'Italia Settentrionale. Il Centro Italia vede coinvolte tre città, mentre nel Sud il numero di città coinvolte sono cinque. Dei 5.764 veicoli in car sharing censiti a luglio scorso , il 34% è al servizio della sola città di Milano che conta 370.000 iscritti , seguita da Roma (il 26% dei veicoli e 220.000 utenti), Torino (16% dei veicoli) e Firenze (11%). In Italia nel 2015 sono stati fatti complessivamente circa 6,5 milioni e mezzo di noleggi con una percorrenza complessiva di 50 milioni di veicolo chilometri.

Carpooling

Si tratta di un servizio che consente di condividere con altre persone uno spostamento in automobile prestabilito (potremmo considerarlo un discendente tecnologico dell'autostop). In Italia esistono tutti i tipi di sistemi di Carpooling (extraurbano, urbano e per gli spostamenti casa-lavoro) con numerosi operatori: Clacsoon, iGoOn, Easymoove, Zego, Moovely, Scooterino, Strappo, Jojob e UP2GO. L'operatore che domina il mercato italiano ad oggi è il servizio extraurbano di BlaBlaCar con più di 20.000.000 di utenti nel mondo. Il car pooling è in rapida crescita e, grazie alle app, promette di esplodere nei prossimi anni.

Il caso Milano

Milano è la città italiana più avanzata sul fronte della mobilità condivisa e sta alla pari con le maggiori capitali europee. Quasi sette intervistati su dieci a Milano (67,5%) possiedono un'automobile (presente nel 75,6% delle famiglie) ma quasi il 30% dei milanesi non ne ha nessuna: percentuale che sale al 37,5% tra chi abita da solo (famiglie con unico componente). Circa 60.000 milanesi dichiarano di utilizzare con frequenza i servizi di mobilità condivisa nelle varie tipologie. La possibilità di rinunciare completamente al veicolo privato è molto alta tra gli utilizzatori dei servizi. Il 22,7% degli associati ai vari sistemi e il 19,4% di utenti specifici del car sharing ha già fatto questa scelta; rispettivamente il 36,4% e il 45,1% degli stessi si dichiara disposto a farla a certe condizioni come per esempio un ulteriore sviluppo dei servizi di sharing mobility a disposizione.

Sostenibilità

Riduzione delle percorrenze con veicoli privati tra il 16% e 20%, riduzione conseguente delle emissioni di CO2, riduzione del numero di auto di proprietà tra il 10 e il 40% per chi sceglie car sharing e circa il 50% degli utenti di bike sharing che passa dal volante al manubrio. La mobilta' condivisa fa bene all' ambiente e al traffico. Da un'indagine fatta dall'agenzia francese per la protezione dell'ambiente (Ademe, 2013) relativa al caso di alcune grandi città francesi, emerge che in seguito all'iscrizione al carsharing si registra un aumento del 31% degli spostamenti a piedi, del 30% dell'uso della bicicletta e del 25% del trasporto pubblico urbano e del treno. Dalle indagini sull'uso del carpooling extraurbano (tipo BlaBlacar) emerge che il carpooling di media-lunga distanza permette una riduzione delle emissioni di CO2 di circa il 12% per equipaggio. Le indagini a carattere su campioni di utenti che utilizzano un servizio di carpooling di breve distanza rivelano che vi siano riduzioni considerevoli delle percorrenze veicolari complessive e una diminuzione delle emissioni di CO2 fino al 30%.

Una roadmap per la sharing mobility

A seguito di un processo di partecipazione attiva dei suoi membri, l'Osservatorio ha elaborato una Roadmap condivisa che individua alcuni temi prioritari su cui intervenire subito, fra cui l'inserimento della sharing mobility nel nuovo Codice della strada, l'avvio di incentivi fiscali agli operatori e agli utilizzatori di sharing, la definizione di nuove forme di assicurazione ed una pianificazione urbana che consideri la sharing mobility come alleato del trasporto pubblico.

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