Con il viaggio del presidente Xi Jinping in Europa, l’Ue scopre che la Cina non è solo un’opportunità ma anche un pericolo e cerca di costruire una politica comune verso Pechino. Tuttavia, come racconta il Financial Times in un lungo articolo intitolato ‘Il nuovo realismo europeo sulla Cina’, Bruxelles si scopre divisa e potrebbe aver deciso di muoversi troppo in ritardo.
L’ultima volta che i leader dell’Ue hanno tenuto colloqui strategici sulla Cina è stato subito dopo il massacro di piazza Tiananmen, nel 1989. In quell’occasione i 12 capi di Stato e di governo avevano imposto sanzioni, incluso un embargo sulle armi per quella che chiamarono la “brutale repressione” del governo cinese.
Quasi 30 anni dopo, nel giorno stesso il cui il presidente cinese sbarca in Italia per l’inizio di importante tour europeo, il Consiglio europeo tiene un vertice per concentrarsi nuovamente sulla Cina e decidere se sia arrivato il momento di alzare ancora una volta la voce.
Le preoccupazioni di Bruxelles stavolta riguardano le mire egemoniche di Pechino e cioè la sua politica industriale, la sicurezza informatica e le guerre commerciali. “Ora il gioco è cambiato – spiega al Financial Times un alto funzionario dell’Ue – il Pil della Cina è cresciuto molto e negli Usa è stato eletto Donald Trump“. Anche la visione europea della Cina è cambiata: è svanita l’idea di poter mungere il mercato cinese, tenendo a bada politicamente Pechino.
I timori dell’Europa
Ora Bruxelles si è accorta che la Cina è diventata una potenza mondiale in grado di usare la sua accresciuta influenza per espandersi e imporre le sue regole del gioco nel commercio e in diplomazia. Secondo il Ft, alcuni governi europei (il giornale non fa nomi ma il riferimento in primo luogo a Berlino e Parigi, cioè al cuore politico ed economico dell’Ue, è implicito) si lamentano che la Cina discrimini le società straniere e le costringa a rinunciare alla propria tecnologia, mentre gli investimenti esteri di Pechino sono opachi e rischiano di lasciare i Paesi beneficiari indebitati e alla mercé delle condizioni cinesi.
Un’altra fonte di preoccupazione riguarda la sicurezza, minacciata dagli investimenti cinesi i quali si concentrerebbero in settori particolarmente sensibili, come le telecomunicazioni, la logistica e i trasporti. Le rassicurazioni di Pechino al riguardo sono parse finora piuttosto inconsistenti. “È scioccante che non trovino mai il tempo per discuterne”, spiega al Ft Fraser Cameron, direttore del gruppo di esperti del Centro Ue-Asia con sede a Bruxelles, il quale sintentizza così il pensiero di alcuni leader dell’Ue.
“Dicono: ‘Non illudiamoci di poter cambiare la Cina. A volte è dura e brutale, quindi dovremo essere anche noi duri e brutali”. “Dobbiamo inviare dei messaggi politici perché altrimenti i cinesi non ci prenderanno sul serio”, afferma un diplomatico al Ft di uno Stato membro dell’Ue. “Abbiamo un peso molto forte – aggiunge – come gli americani, o potremmo averne”. Queste parole erano arrivate alla vigilia del viaggio in Europa di Xi, che appare cruciale per la messa in atto di un’ambiziosa politica estera cinese verso il Vecchio Continente.
Un viaggio ambizioso
Giovedì 21 marzo Xi è atterrato in Italia, dove resterà fino al 23 marzo, trattenendosi poi in Europa fino al 26. In programma incontri con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e con il premier, Giuseppe Conte, per la firma di accordi bilaterali istituzionali e commerciali, e il possibile memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla “Belt and Road Initiative” (Bri), il vasto progetto lanciato nel 2013 dallo stesso Xi e meglio noto con il nome di “Nuova via della seta”. Dopo l’Italia, Xi andrà a Parigi, dove incontrerà il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker. Da lì si recherà nel principato di Monaco per un breve incontro con il principe Alberto II.
Il 9 aprile toccherà al premier Li Keqiang venire a Bruxelles per un breve summit con i leader dell’Ue. Poi Li si tratterà piu’ a lungo in Croazia, dove parteciperà al gruppo 16+1 dei Paesi dell’Europa centrale e orientale, di cui fanno parte 11 Paesi membri dell’Ue, un gruppo di Stati che, secondo il Ft, i diplomatici europei temono da tempo Pechino voglia utilizzare per dividere l’Unione. “La Cina ha scoperto che può contare su diversi Stati membri e impedire a Bruxelles di avere una politica sulla Cina”, rivelano al Ft Robert Cooper, ex consigliere dei capi della politica estera Ue Catherine Ashton e Javier Solana. “I più grandi Stati membri dell’Unione – aggiunge – hanno di volta in volta pensato: ‘Dovremmo prendere la Cina più sul serio'”.
I legami tra Cina ed Europa
L’Ue è il principale partner commerciale della Cina, mentre la Cina è il secondo partner commerciale dell’Ue, dietro agli Stati Uniti. Nel 2018, la Cina ha rappresentato circa un quinto delle importazioni di merci dell’Ue e oltre un decimo delle sue esportazioni. Inoltre la Cina è diventata un’importante destinazione e fonte di investimento per i Paesi europei. Volkswagen è stato il marchio di auto più venduto in Cina per gran parte degli ultimi due decenni e Pechino ha rappresentato il 39% delle sue vendite lo scorso anno, mentre aziende big Ue, che vanno da Basf, a Carrefour, a Siemens hanno una forte presenza in Cina.
Ma la storia ultimamente è cambiata e le imprese cinesi, in rapida espansione, stanno mostrando un crescente interesse per le risorse europee. I livelli degli investimenti diretti cinesi nell’Ue sono aumentati vertiginosamente negli ultimi cinque anni. Il crescente peso economico di Pechino – e la sua volontà di usarlo – ha quindi messo in apprensione, secondo il Ft, influenti Stati Ue: in primo luogo la Germania e, in misura leggermente minore ma con crescente ansietà la Francia, il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Svezia.
La Germania guida la reazione a Pechino
Peter Altmaier, ministro dell’Economia tedesco, ha sostenuto che la crescente capacità tecnologica della Cina è uno dei principali motivi per cui l’Europa ha bisogno di una nuova strategia industriale europea che supporti lo sviluppo di campioni regionali. In particolare, si è parlato del polo ferroviario franco-tedesco Siemens-Alstom, su cui Bruxelles ha posto il veto per motivi legati ai rischi per la concorrenza, scatenando una dura reazione da parte di Berlino. Più di recente il governo tedesco ha caldeggiato la nascita di una superbanca con la fusione, tutta tedesca in questo casi, di Deutsche Bank e Commerzbank.
Altmaier comunque è stato il piu’ importante esponente politico europeo a segnalare i rischi per la futura prosperità della Germania dalla concorrenza cinese. La Bdi, la Confindustria tedesca, ha chiesto a gennaio che l’economia del Paese sia resa più “resiliente” verso i pericoli che pone la competizione dell’economia “dominata dallo stato” della Cina. La potente lobby ha denunciato, in un suo documento, le sovvenzioni di Pechino, che hanno causato sovraccapacità produttiva e altre distorsioni, specie in mercati come l’acciaio. La Bdi inoltre ha lanciato l’allarme sugli incentivi fiscali e sui prestiti agevolati da parte delle banche statali, che danno alle società cinesi la potenza di fuoco necessaria per acquistare le società tecnologiche occidentali.
Più in generale, tutta l’Europa si è preoccupata dell’utilizzo da parte di Pechino delle apparecchiature Huawei nelle reti di comunicazione mobile 5G, preoccupazioni che la Cina afferma essere infondate e ingiuste. Tuttavia queste rassicurazioni non sono risultate del tutto convincenti e a dicembre Berlino ha rafforzato le norme sullo ‘screening’ (la valutazione) degli investimenti per dare alle autorità maggiori possibilità di intervenire quando le società non europee iniziano a costruire partecipazioni in società tedesche.
Il fronte dei nuovi amici europei della Cina
Nonostante il mutato atteggiamento dell’Ue nei confronti della Cina, lo scetticismo verso Pechino non è uniforme. Il crescente sospetto che riguarda soprattutto il nord Europa contrasta con le apertura manifestate da altri Paesi come l’Ungheria e la Grecia, che sono stati i primi a sostenere la politica di avvicinamento di Pechino. Anche il Portogallo si è schierato con Pechino e il premier Antonio Costa all’inizio del mese ha criticato “l’uso improprio” da parte dell’Europa delle procedure di sicurezza per lo screening degli investimenti stranieri dalla Cina e altrove, definendole misure che potrebbero portare il Vecchio Continente a diventare più protezionista. Inoltre Costa ha descritto gli investimenti cinesi in Portogallo come “molto positivi”.
Il Portogallo, suggeriscono fonti diplomatiche al Ft, è uno dei 13 Paesi Ue – quasi la metà del blocco – che hanno firmato sottoscrizioni ufficiali e segrete nell’ambito del Bri, che anche l’Italia si appresterebbe a siglare e con il quale Pechino punta a finanziare e costruire infrastrutture in oltre 80 Paesi. La maggior parte degli Stati del nord Europa hanno preso le distanze da questa iniziativa, sulla quale l’Italia è ora al centro dell’attenzione.
Il probabile via libera del nostro Paese a siglare un Memorandum d’intesa nell’ambito del Bri, rappresenterebbe un gran colpo diplomatico per Pechino. L’Italia è membro fondatore del blocco e membro del G7. Il progetto di accordo di cinque pagine dice che i due Stati stanno pianificando di “esplorare tutte le opportunità di cooperazione”, con la possibilità che l’Italia riceva prestiti dalla Banca asiatica per gli investimenti per avviare numerose opere soprattutto infrastrutturali.
L’Italia si propone come ponte verso la Cina
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per giustificare la posizione di Roma, ha fatto riferimento a una nota citazione: “Se non sei al tavolo, sei nel menu”. Inoltre ha detto che l’Italia può rappresentare un ponte tra Stati Uniti e Cina, aiutando le due superpotenze a fermare il loro “approccio conflittuale”. La Cina nega che stia cercando di dividere l’Ue. Sostiene che un’Europa forte aiuta la stabilità internazionale e favorisce Pechino.
I funzionari cinesi fanno appello all’Ue per contribuire a preservare strutture commerciali internazionali multilaterali come il Wto, che è stata pesantemente criticata dal presidente Trump. “L’Europa manterrà sicuramente i suoi interessi fondamentali a lungo termine e perseguirà una politica cinese coerente, indipendente e orientata al futuro”, ha detto il ministro degli Esteri Wang Yi, a Bruxelles in settimana. “In generale, le relazioni tra Cina e Ue sono in buona forma. Ci sono molte più aree in cui siamo d’accordo che in disaccordo”.
Gi ostacoli a una politica comune
L’altra difficoltà che l’Europa deve affrontare, mentre sta cercando di plasmare una sua politica più coerente sulla Cina, proviene dagli Usa e dalla guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Solo in superfice l’Ue è d’accordo con l’aggressiva posizione di Washington. Il Vecchio Continente potrebbe anche trarre beneficio dai frutti della pressione americana, come una nuova legge sugli investimenti esteri approvata dalla Cina la scorsa settimana che allevierà le restrizioni a tutte le compagnie straniere, un obiettivo di vecchia data per gli europei. Tuttavia diplomatici e analisti fanno sapere al Ft che l’approccio statunitense crea grossi problemi all’Europa.
L’Ue infatti vuole cooperare con la Cina per salvare i grandi accordi multilaterali ripudiati dagli Stati Uniti, in particolare l’accordo sul nucleare iraniano e l’accordo sul clima di Parigi. Sul commercio, Washington ha minacciato di innalzare anche le tariffe contro le aziende europee, in particolare nel settore dell’auto, dove la Germania ha gli interessi più forti. E questo rende inimmaginabile l’idea di un fronte commerciale transatlantico comune contro Pechino. L’attenzione dell’amministrazione Trump sulle tariffe commerciali piuttosto che sugli standard comuni crea un’ulteriore difficoltà per l’Ue.
Il blocco è ora isolato nella sua lotta per far sì che le regole cinesi adottino degli standard globali “per il peso delle loro capacita’ tecnologiche e industriali”, afferma Fabrice Pothier, senior associate presso la Rasmussen Global consulting business. “Molti clienti con cui lavoriamo guardavano l’Europa come un mercato – ma ora si stanno rendendo sempre più conto che l’Europa è in una competizione geopolitica”, dice Pothier, che rappresenta diversi governi asiatici nel loro impegno con Bruxelles e afferma che l’Europa potrebbe trovarsi schiacciata dalla contesa tra le due superpotenze.
L’altro timore dei diplomatici europei è quello che l’agenda cinese possa scatenare un’altra crisi interna, questa volta più vasta della Brexit. Il vero timore è che i leader europei, alla ricerca di un nuovo approccio verso Pechino, abbiano in realtà già perso il treno. “Ora è molto più realismo e molta più consapevolezza di quelli che sono i nostri interessi e di come dobbiamo difenderli con più forza”, dice al Ft un diplomatico Ue di alto livello. “Speriamo, non sia troppo tardi”.